Confessioni

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Imbocco l'ultima stradina che porta a casa.
Non so che ora sono, ma il cielo è ricoperto di stelle.

Devo aver camminato tanto senza rendermene conto.

Il rombo di un auto cattura la mia attenzione.

La Bentley di Nickelous.
Quest'auto ha talmente tanta potenza che si sente da lontano il suo arrivo.

Ci fermiamo davanti casa nello stesso momento.
Cerco di mettere a fuoco la sua immagine, in quanto i miei occhi mi stanno giocando brutti scherzi.

La luce del lampione mi illumina talmente tanto che mi sembra di essere su un palco.

Sento lo sportello aprirsi, e affretto il passo per entrare in casa prima di lui.

Non ho abbastanza fortuna però.
Quando i miei piedi toccano i gradini del pianerottolo, Nickelous mi afferra dal braccio bloccandomi.

Guardo la porta cosi vicina.
Mancava poco così e lo avrei evitato.

<<Becky>>. La sua voce una supplica.

<<Guardami>>. La sua mano mi tira a se, ma continuo a guardare davanti.

Devo evitare...

Devo evitare...

Devo evitare...

Mi ripeto.

<<Parlami>>.

La bocca cucita.
Il panico mi assale.
So già come andrà a finire se la mia bocca non dirà una parola.

<<Almeno ascoltami>>. Il suo corpo cosi vicino.
La distanza spezzata dalla sua insistenza.
Il suo stato d'animo in tempesta.

Mi volto verso di lui.
Le sue pupille dilatate.
La pressione sul braccio incerta.
Il suo equilibrio instabile.

Ha bevuto.

<<Quanto hai bevuto?>>. La mia voce un rimprovero.

<<Abbastanza>>. Barcolla a malapena.
Ma riacquista un po di lucidità quando la mia mano sfiora il suo braccio per aiutarlo a sedersi sui gradini.

Mi siedo affianco.
La sua figura un cumulo di macerie.
Seduto scomposto, quasi stravaccato sui gradini.

<<Amo la sera>>. La sua voce biascicata.

La frase che mi ha detto la prima sera, quando cercava di avere un approccio con me.

<<Non suonavo da due anni>>. Ammette ricordando la nostra prima sera insieme.

<<Da quando lei non c'è più>.

Di nuovo lei.
Ma sento che questa sera, l'alcol lo farà parlare.

<<È stata colpa mia>>.

Sul suo viso la tristezza di un ricordo.
Le guance ora rigate dalle lacrime.
I suoi occhi chiusi a ricordare quel momento.

<<Cos'è successo?>>. Chiedo con voce flebile.

<<Lei stava suonando la sua chitarra. La stessa che le avevo regalato al suo compleanno. Gli avevo promesso di insegnargli a suonare. L'ho fatto...>>. Si stringe nelle spalle.

<<Quella sera abbiamo litigato. Ero sul bordo della finestra, seduto come faccio sempre quando mi manca l'aria. E lei pensava volessi buttarmi>>.

Più tasselli tornano al loro posto.
Più domande si riempiono di risposte.

Prendo la sua mano tra le mie, e la stringo.

<<Ha avuto un attacco di panico. Pensavo scherzasse giuro...>>. La sua voce inclinata dal pianto. Le sue parole che cercano di convincermi.

<<L'ho presa in giro, gli ridevo  in faccia... Quando il suo corpo è caduto a terra>>. Prende un forte respiro, devo ammettere che non è facile ricordare e parlare soprattutto di certi momenti.

<<Sono corso in camera sua, è stato troppo tardi. Il suo cuore aveva smesso di battere>>.

Ed ecco il peso che si porta dietro da due anni.
I sensi di colpa che gli lacerano il petto.
L'impotenza di non averla salvata.
La rabbia per non averla creduta.
Il burlarsi di lei, mentre questa aveva bisogno di lui.

<<Non è colpa tua. Anche se può sembrarlo. Anche se fossi arrivato prima non puoi sapere se sarebbe andata diversamente>>. Lo credo veramente.
E cerco di dimostrarglielo stringendo la sua mano.

<<Non è cosi per mia madre, che ha lasciato la nostra casa subito dopo i funerali>>.

L'abbandono di una madre che aveva il diritto di stargli accanto.
La predizione nel suo malessere.
La crescita del suo dolore.
La conferma che è stata colpa sua.

<<Le madri sono fatte così. Scappano quando si sentono deboli. Quando non riescono a sopportare il dolore. Non è andata via per colpa tua. È andata via perché non riusciva a sopportare la perdita>>.

Chissà perché mia madre mi ha abbandonata...

Ho sempre pensato alla sua assenza.
Ma mai al vero motivo che l'ha portata a lasciare una bambina ancora in fasce vicino ad un cassonetto dell'immondizia.

Ho concluso questa domanda con un'unica risposta, i soldi cambiano le persone.

L'ho cercata.
Qualche hanno fa, ho scoperto il suo nome.
Dove abita.
Con chi abita.

Vive a New York.
Sposata con un uomo ricco.
Gioca a fare la bella famigliola.
Ha due figli.

Non ero all'altezza di stare con lei.
Così dopo averla vista, sono andata via.

<<Anche la tua è andata via per lo stesso motivo?>>.

I suoi occhi lucidi.
Le mie mani ferme nella sua.
Il suo sguardo assente.
Il mio corpo affranto.
Il suo dolore che si mischia al mio.

<<Non lo so. Non so perché sia successo. Non l'ho mai conosciuta>>. Un singhiozzo spontaneo trapela dalla mia bocca.

Le sue braccia, avvolgono le mie spalle.
La mia testa sul suo petto.
Il suo abbraccio a confortarmi.
Le lacrime che scendono silenziose.

<<Non è stata colpa tua>>.

Una sola risposta.
Una sola certezza.
Due cuori che battono.
Il dolore che stringe un po meno nel petto.
La serata silenziosa.
Le stelle a farne da contorno.

<<Non è stata colpa tua>>. Ripete.

La sua voce più sicura.
Il suo barcollare meno presente.
La sua determinazione a farsi sentire.

Ho bisogno di lui, più di quanto penso.
Più di quanto io possa accettare.
Lui la mia cura, io la sua salvezza.

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