Anche i più stronzi possono cambiare...

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Sono sul balcone.
Il tramonto colora di rosso il cielo.
Le mani poggiate alla ringhiera in ferro.
L'altezza non è molta.
Eppure mi sento sospesa nell'aria.

Dopo la sfuriata di Nickelous, Touch è venuto da me.
Interrompendo il suono della mia chitarra.
Abbiamo chiacchierato un po e mi ha convinta a restare.

Ho annuito poco convinta.
Ma quando è tornato a chiamarmi per scendere giù e pranzare con loro, ho rifiutato.

Alla fine mi ha portato un bel piatto fumante di spaghetti, che ho divorato in men che non si dica.

Quando si dice una fame da lupo...

Per questo il mio corpo ha ceduto.
Non ho abbastanza forze.
Mangio poco.
Spesso metto da parte quel poco che guadagno, per portarlo alla casa famiglia, dove ci sono bambini come Lizzie che hanno bisogno di mangiare più di me.

Lizzie ha solo due anni.
Non ha perso i genitori.
Questi sono spariti lasciandola li.

Non è come i fratelli Violet, Sirius, Monnette e Cody o come Margaret.

Loro sono diventati orfani.
E coi soldi lasciati dai genitori sono riusciti almeno ad andare avanti, finché non hanno scelto di fare il lavoro di strada come me prendendo uno strumento in mano o utilizzando la loro voce come Violet o con braccia e gambe come Sirius e Monnette.
Mentre, quella più fortunata è stata Margaret, ma tralasciamo i dettagli.

L'aria mi accarezza la pelle.
Le mani fredde.
Il mio cappuccio in testa.
Io faccio parte degli invisibili.
Non posso espormi al mondo.
Mi nascondo da sempre.

Non sono stata accettata da mia madre, che per natura doveva amarmi incondizionatamente.
Invece, mi ha abbandonata.

Mi ha lasciato come se fossi spazzatura vicino ai cassonetti che si trovano vicino alla casa famiglia che mi ospita.

Il mio corpo marchiato dai segni di una cintura.
Cavolo se facevano male quelle frustate.
Ma non sono le cicatrici sul mio corpo a fare male. Ma quello che hanno lasciato dentro.
Le cicatrici che ho nel cuore fanno male.

Quelle che sono indelebili.
Quelle che mi hanno fatto credere per molto tempo che sono un reietto.

Mi stringo di più nella felpa.
Il sole è andato a dormire.
Da qui si vedono solo le luci delle villette vicine.
Dei giardini enormi a farne da contorno.

E il silenzio.
Quel silenzio che in una città come New York non ho mai sentito.
Sono abituata ai clacson che suonano.
Alla gente che corre per strada.
Alle grida di una mamma che non riesce a trovare il figlio.

Ma al silenzio no.
Non ci sono abituata.
E questo mi fa sentire ancora più a disagio.

Prendo la mia chitarra in mano.
E cullata dalle braccia del freddo della sera, inizio a premere sulle corde.
Un suono, il mio mormorio a creargli la strada.

I miei occhi puntati alla finestra di Nickelous.
Ha preso la sua Gibson SG in mano.
Lo so perché ora le sue note seguono la mia chitarra.
La stessa melodia.

La sua che emana suoni più intensi e precisi.

E questo mi fa notare ancora di più quanto siamo diversi.

Io sono come la mia chitarra.
Suoni incerti e quasi forzati escono dal mio essere.
La sua Gibson SG, che di incerto non ha nulla.
E Nickelous preciso come la sua chitarra.

La sua finestra si apre improvvisamente.
Mi blocco sul posto, cercando di nascondermi ai suoi occhi.
Non sono pronta per una delle sue reazioni esagerate.

Purtroppo, però, ai suoi occhi non sono poi tanto invisibile.
Si siede sul bordo della finestra.
Fa un gran respiro, come se volesse aspirare tutto l'ossigeno che c'è nel pianeta.

Ma so cosa sta facendo.
Cerca di trattenersi nell'urlarmi contro.
Stringo di più la mia chitarra, come se potesse proteggermi da lui in qualche modo.
Striscio sul pavimento per entrare nella stanza.

Quando la sua voce mi blocca.

<<Mi piace la sera>>.

Eh... Sta parlando con me?

<<Mi nasconde dalla luce del giorno>>.

Lo osservo come se fosse impazzito.
La sua voce rilassata.
I muscoli meno tesi.
Le sue mani tese sull'asta per tenersi.
E solo ora mi accorgo che anche lui si nasconde nel cappuccio della sua felpa.

Riesco a vedere a malapena il suo profilo.
E le labbra che continua a martoriare coi denti.

<<A te non piace la sera orfanella?>>.

Ancora quel nomignolo.
Non penso che uno schiaffo gli sia bastato.
Ma questa volta non lo ha detto con il tono che usa di solito.

Questa volta quasi non mi da fastidio sentirlo parlare.

<<Amo la sera. Mi permette di lasciar libera la mente, e di suonare la mia chitarra>>. Ammetto con un po di amarezza.

È quello che dovrei fare anche adesso.
In questo momento.

Chissà come se la sta cavando Kevin senza di me.

<<Ora non stai liberando la mente, e non stai suonando>>. Mi fa notare.

Forzo un sorriso. <<No. Non lo sto facendo>>.

Si alza sul cornicione e si lascia cadere nella sua stanza.

Sento il rumore che provoca al suo interno.

Che diavolo sta facendo?

Vedo il suo cappuccio uscire prima del suo corpo.
Si aggrappa al cornicione e inizia a camminare su di questi con la sua Gibson SG riposta nella sua custodia appesa sulla sua spalla.

Sta venendo verso il balcone, dove sono seduta in malo modo.
Il mio strumento poggiato alla ringhiera.
Mentre io sono poggiata con la schiena al muro.

Arriva alla ringhiera l'afferra con entrambe le mani.
Si da una spinta, ed eccolo davanti a me tutto intero.

Un po d'ansia l'ho avuta a vederlo sul cornicione, poteva cadere e farsi male veramente.

<<Non potevi entrare dalla porta?>>. Aggrotto le sopracciglia.

<<Amo l'entrata teatrale>>.

Uhm, non lo avevo capito.

Forse, anche i più stronzi possono cambiare...

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