Spero di rivederti presto

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-Grazie per la fiducia- mi risponde soltanto Lilibeth, alzando di nuovo il capo, e tra noi cala il silenzio.

Forse davvero ho esagerato. Sono stato troppo sfacciato, troppo, e non è da me. Ma sentivo di dirle quello che le ho detto e poi, come dice sempre il buon vecchio Harold May, un complimento fa sempre piacere a una donna. Chissà, magari Lilibeth non è risentita, non è arrabbiata con me per la troppa confidenza che mi sono permesso di prendermi, è semplicemente imbarazzata perché non si aspettava che proprio io, timido e impacciato all'ennesima potenza, le facessi un complimento dopo nemmeno ventiquattrore che ci conosciamo. Questo pensiero m'infonde coraggio e così sono io a riprendere la parola: -Quindi... quindi già da piccola vedevi Sanremo?- le chiedo e la guardo, in attesa di una risposta.

-Sì, lo vedevo già da piccola- riprende e si sistema una ciocca di capelli dietro l'orecchio, cosa che mi permette di ammirare meglio il suo viso senza trucco e bellissimo -Ci sono cresciuta con Sanremo. L'ho sempre visto, sempre, ma non soltanto perché da noi in Italia è un istituzione a livello musicale, no. L'ho sempre visto perché ho sempre sognato di parteciparvi e adesso che ci partecipo per davvero, anche se siamo costrette a esibirci in playback, per me è... è un'emozione stupenda, mai provata prima d'ora, anche se...-
-...anche se poi la notte non riesci a dormire perché sei agitata- proseguo, oramai penso di aver capito qualcosa di lei.
-Già, è vero, è un'emozione così grande che è ansia al tempo stesso. Ansia di non essere all'altezza di tutto questo, anche se ormai si canta in playback. Non immagini quante volte ho sognato di esibirmi sul palco dell'Ariston, con un bell'abito da sera-
-Beh... voi italiani siete maestri nella moda-
-Ma anche voi inglesi a quanto vedo non ve la cavate poi così male, sei così elegante- commenta lei, osservandomi attentamente.

Tailleur celeste, camicia bianca, cravatta blu e, soprattutto, scarpe bianche per me scomodissime visto che indosso sempre gli zoccoli. So benissimo che questo non è affatto l'abbigliamento di una rockstar, ma...

-Sai com'è, ci hanno detto espressamente che qui in Italia dovevamo vestirci in un certo modo e... e io, Roger e John siamo stati i più ubbidienti- le spiego -Freddie invece fa sempre di testa sua, anzi, ultimamente ancora di più, ma... ma questo è un altro discorso- mi fermo, non è questo il momento di parlare delle questioni private della band -Comunque, lasciamo perdere Freddie- proseguo, meglio cambiare discorso -Siete venute da sole qui a Sanremo?-

-Sì, sole.. cioè sole insieme al nostro manager perché la nostra casa discografica ha voluto così. Noi siamo con la EMI-
-Ah, anche noi siamo con la EMI, non è male- commento -E... fidanzati? Parenti? Amici? Nessuno vi ha accompagnato?-
-No, nessuno, abbiamo preferito venire da sole e poi, io... diciamo che mia madre non è molto felice della mia carriera da musicista- mi risponde e un velo di tristezza cala sul suo volto, sui suoi occhi che sono belli seppur troppo malinconici -Lei vorrebbe che facessi altro nella vita e ci ho anche provato: mi sono diplomata col massimo dei voti, ho cominciato a lavorare come segretaria in uno studio, ma... ma la musica mi mancava. Non riuscivo a relegarla a un semplice passatempo, no, io sentivo che era lei la mia strada- conclude e i suoi grandi occhi scuri mi fissano così intensamente da mettermi i brividi.

-Ti capisco. A me questo è successo con mio padre, lui avrebbe voluto che diventassi professore all'università e io dopo la laurea ho anche cominciato il dottorato, stavo quasi per terminarlo, stavo finendo la tesi, ma... ma come hai detto tu, la musica... la musica era anche la mia di strada-
-E adesso? Ora che siete una della rock band più famose al mondo cosa pensa di te tuo padre?-
-Io e lui abbiamo fatto pace otto anni fa e... e ieri per telefono mi ha detto che stasera lui e la mamma sarebbero rimasti incollati alla tv, alla pay-tv, per vedere la nostra performance sul palco dell'Ariston. Sai, in Inghilterra non abbiamo un avvenimento musicale così importante come Sanremo da voi qui in Italia-

-Beh, ne sono felice- replica lei sorridendomi, ma il suo è un sorriso amaro -Io penso che mia madre nemmeno mi ha guardata ieri sera in tv e penso che non lo farà nemmeno stasera e domani per la finale-
-No, perché dici così?- provo a consolarla di nuovo, ma stavolta mi astengo dall'accarezzarla ancora, anche se vorrei farlo -Se mia figlia partecipasse a una gara importante la guarderei e farei il tifo per lei, sempre, anche se in cuor mio non accettassi completamente la sua scelta, perché... perché è pur sempre mia figlia-
-Quindi tu... tu hai figli Brian-
-Sì, io ne ho due: un maschio e una femmina-
-Ah- dice soltanto, a voce molto bassa, ma non abbastanza da non permettermi di sentire la sua affermazione -E... e com'è essere genitore?-

-Io ci sto molto poco a casa, purtroppo, ma è bello, molto bello, riempie il cuore vedere che hai dato vita a qualcosa di così... di unico-

Lilibeth non mi risponde, sospira e si volta alla sua destra, verso il comodino. Chissà cosa sta pensando adesso.

-Penso che per me sia giunta l'ora di andare- riprende, alzandosi dalla poltroncina -Sono le tre e mezzo e alle cinque io e le ragazze dobbiamo esibirci. Sistemerò queste cose stasera, quando tornerò in camera- e si gira verso il letto dove la pochette e il foulard ancora giacciono inermi dopo esservi stati scaraventati con un lancio degno di un giavellottista olimpionico.

Stavolta sono io a volgere lo sguardo verso il comodino e scorgo la piccola sveglia da cui Lilibeth ha letto l'ora: cavolo, sono passati ben quindici minuti e non me sono proprio reso conto!

-Ma... me certo Lilibeth, hai ragione- convengo, alzandomi a mia volta -Anche io devo andare in camera mia a prepararmi, noi dobbiamo registrare per le sei-
-Giusto, me l'hai detto anche prima. Allora hai più tempo di me!-
-Beh, in effetti...- tentenno, ho solo un quarto d'ora a disposizione per farmi una doccia, sistemarmi e vestirmi, ma ce la posso fare tutto sommato -...sì, ho più tempo di te- concludo sarcastico.

Lilibeth mi sorride ancora poi, senza dire altro, raggiunge il comodino, prende la cintura di stoffa e si volta verso di me che sono rimasto a osservarla ai piedi del letto: -Allora, andiamo?- mi chiede.

-Certo, andiamo- e nello stesso istante giungiamo all'ingresso.

Apre la porta, varca l'uscio e dopo di lei esco anche io dalla stanza. Chiude la porta con la chiave e l'infila in tasca, lasciando che la nappina bordeaux del portachiavi penzoli verso l'esterno.

-Guarda che...che così rischi di perderla la chiave- l'avviso in tono severo, mi sembro suo padre adesso e non un suo corteggiatore.
-Sì, hai ragione, me se non faccio così rischio di dimenticarmi di lasciarla alla reception e di portarla con me all'Ariston!- mi spiega lei e comincia a camminare nel corridoio, verso l'ascensore.

La seguo, senza dire altro, in silenzio, ma quando giungiamo all'intersezione che porta alla mia stanza Lilibeth si ferma. Mi fermo anch'io, mi volto e la vedo guardarmi perplessa, penso di avere capito cosa sta tentando di dirmi.

-No, ti accompagno all'ascensore e poi vado in camera mia- le dico e poso delicatamente la mia mano sulla sua schiena -Mi fa...mi fa piacere farlo-

Lilibeth mi sorride, riprende a camminare e io riprendo a seguirla. Con la coda dell'occhio la osservo, è pensierosa, chissà forse è solo preoccupata per l'esibizione. D'improvviso si stropiccia energicamente il naso, la polvere di cui è impregnata la moquette deve darle davvero un fastidio tremendo, causa prurito persino a me che non sono mai stato allergico a nulla in vita mia. Raggiungiamo l'ascensore e Lilibeth preme il bottone per prenotarlo, la pulsantiera s'illumina sul numero quattro di un chiarissimo giallo limone.

-Ah, è al quarto piano, arriverà subito allora- commenta lei.
-Già, arriverà...subito- replico io, una leggera punta di tristezza nelle mie parole.

Ogni volta che vorresti l'ascensore arrivasse subito al tuo piano non arriva mia, quando invece vorresti che fosse all'estremo opposto...

Tin...

è più vicina a te della tua stessa ombra. Le porte si aprono, Lilibeth sospira prima di entrarvi e dopo averlo fatto si volta subito di nuovo verso di me.

-Spero...spero di rivederti presto, Brian- mi dice soltanto.

Preme il tasto 0 sulla pulsantiera, mi restano solo pochi secondi ancora per salutarla prima che l'ascensore cominci la sua discesa verso la hall e porti Lilibeth lontano da me, ancora una volta. Maledetto sia il Tempo, questo maledetto Tempo che non riesco mai a gestire, a controllare come vorrei.

-Anche io Lilibeth...anche io spero di rivederti presto- riesco soltanto a risponderle prima di vederla lentamente scomparire dietro le fredde porte di metallo.

The Luckycharm - A Brian May Fanfiction- ItalianoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora