Non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te

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           Hotel Royal - Camera 112
            Mezzanotte e mezza circa

BRIAN P.O.

Lo sapevo che avrebbero vinto. Stasera, dopo essere stato gentilmente cacciato via dal camerino di Lilibeth, ho prestato attenzione a quasi tutte le canzoni in gara al Festival e, secondo il mio modestissimo parere, quella delle RodaViva era la migliore. Sono state davvero fantastiche e anche se si sono esibite in playback hanno lasciato trasparire tutta la loro energia, la loro bravura, la loro determinazione. Quando poi c'è stata la premiazione mi sono commosso anch'io al vedere gli occhi di Lilibeth piangere di gioia, sono così belli quegli occhi scuri anche se tanto, troppo pieni di tristezza, di delusione, di solitudine.

-Ma dove diavolo ho messo la camicia...ah, eccola-

Dato che stasera non mi andava di uscire e godermi l'ultima serata in stile Dolce Vita così come hanno fatto gli altri, ho pensato che la cosa migliore fosse tornare in camera a preparare la valigia. Domani mattina a mezzogiorno abbiamo il volo per tornare a Londra. Chissà cosa m'aspetta quando tornerò a casa, non so nemmeno se Amalia vuole ancora parlare con me oppure no. Con Roger le cose per fortuna si sono sistemate, stamattina a colazione abbiamo chiarito e mi ha persino chiesto cosa avessi fatto ieri sera, dopo essere scappato via dal ristorante.

Ovviamente non gli ho raccontato la verità, gli ho detto che sono tornato in albergo e che sono andato a letto senza cena. Colossale bugia. Ho cenato ieri sera, eccome, insieme a Lilibeth, la mia stupenda distrazione da quando sono qui a Sanremo, la distrazione che a mia moglie Amalia non è sfuggita, così come tutte le altre che ho avuto in passato. Non mi ha più chiamato dopo la telefonata di ieri sera e nemmeno io, a dire la verità, ho avuto il coraggio di sollevare di nuovo quella maledetta cornetta e comporre il numero di casa mia. Penso che tra me e mia moglie sia davvero finito tutto e se pure dovesse continuare sarà soltanto una farsa che metteremmo su per i bambini. Si è stancata di me e ha ragione, non posso darle torto.

-Elena invece non si è ancora stancata di Umberto- penso, sistemando la camicia in valigia -Non se l'aspettava il signor manager che l'avessi riconosciuto-

Sorrido, compiaciuto di me stesso, raramente nella vita mi è capitato di dire la cosa giusta al momento giusto: il suo volto stupefatto, rancoroso e sconfitto non lo dimenticherò mai. Non lo facevo però un tipo smemorato Umberto Rosati, possibile che abbia già dimenticato il party post concerto dei Queen al Rainbow Theatre del 31 Marzo di dieci anni fa? C'erano produttori, discografici, manager della EMI e c'era anche lui insieme a una ragazza bellissima, molto simile a Lilibeth ora che ci penso, stessi grandi occhi scuri, stesso corpo arrotondato nei punti giusti. Ricordo che tutti si complimentarono con me e i ragazzi per l'esibizione, tutti tranne lui, tutti tranne Umberto. Ero fermo accanto al tavolo del buffet, avevo appena afferrato una flûte e stavo per bere un sorso di champagne quando all'improvviso s'avvicinò a me e così, senza nemmeno presentarsi, con lo stesso sguardo fiero, superbo e orgoglioso con cui mi ha fulminato stasera, mi disse: -Interessante il suo modo di suonare la chitarra, ma...ma può fare di meglio, signor May-

Turbato da quelle parole, rimasi scosso, molto scosso, ero giovane, inesperto, incapace a reagire alla crudeltà e all'invidia che circolano nel mondo della musica. Restai fermo, immobile, incapace di controbattere alla sua provocazione, lui sorrise beffardo prima andar via e lasciarmi lì, da solo accanto al tavolo del buffet, con la flûte ancora piena tra le dita, come uno stupido bambino sconvolto e turbato. Non ebbi nemmeno il coraggio di chiedergli il nome, fu Norman Sheffield a spiegarmi che era stato il signor Umberto Rosati, manager della EMI Italia, a farmi quel bell'apprezzamento e mi disse anche che la stupenda ragazza la suo fianco era Elena, sua novella sposa.

Quello sguardo arrogante e quel sorriso ironico mi sono rimasti impressi nella mente per tutti questi anni. Ieri sera, quando per sbaglio mi ha urtato sul lungomare, mi sembrava di averlo riconosciuto ma non ne ero convinto, troppa poca luce a rischiarare la mia vista e la mia memoria. Ma stasera, stasera era impossibile che non lo riconoscessi: stesso sguardo arrogante, stesso sorriso ironico e, soprattutto, quella sua fastidiosa, odiosa, inflessione nel pronunciare il mio cognome,

The Luckycharm - A Brian May Fanfiction- ItalianoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora