LILIBETH P.O.
-Perché stanotte non sei venuta da me?-
La domanda di Umberto mi fa leggermente trasalire. Ero sovrappensiero, assorta a osservare il mare a pochi passi da noi. Abbiamo passeggiato per circa una ventina di minuti senza parlarci, percorrendo completamente in silenzio il tragitto che dall'albergo ci ha condotti qui alla deserta passeggiata dell'imperatrice, camminando a testa bassa come se avessimo ognuno qualcosa da nascondere all'altro. In realtà, tra noi chi dei due ha più scheletri nell'armadio è lui: Umberto, il mio amante. E' lui ad essere sposato, è lui che ha tre figli, è lui che tradisce la moglie con la sottoscritta che ancora s'illude che un giorno il suo uomo possa lasciare la sua legale consorte per vivere liberamente questo amore clandestino. Umberto però non è solo il mio amante, no, è anche il mio manager, cioè è il manager delle RodaViva, e questo rende tutto più complicato, più difficile. Se lo lasciassi me lo ritroverei comunque davanti ogni santo giorno e non so fino a che punto riuscirei a sopportare questo tormento. Non so nemmeno io com'è nata questa storia, cosa mi ha fatto innamorare di lui.
Certo, Umberto è un uomo forte, carismatico, con le sue parole riesce ad ammaliarti, a incantarti al pari di un sortilegio o una magia e, nonostante abbia quasi cinquant'anni e tra i suoi corti capelli neri qualche filetto d'argento ha cominciato prepotentemente a spuntare, i suoi grandi occhi blu come il mare m'hanno affascinata fin da subito. Ma ieri è successo qualcosa in me, ieri i miei occhi scuri si sono scontrati con quelli nocciola dalle verdi screziature di Brian: è questo quel qualcosa che devo nascondere a Umberto, è questo il mio scheletro, il mio bellissimo scheletro, nell'armadio.
-Lilibeth sto parlando con te- mi ripete lui spazientito, dato che non ha ancora avuto risposta.
Mi fermo e a passo lento m'avvicino al muretto basso che separa il lungomare dalla spiaggia, lui mi segue e si ferma accanto a me -Allora? Perché non sei venuta in camera mia stanotte? Ho preso apposta la 109 che è sul tuo stesso pianerottolo e tu che fai? Mi lasci da solo. Perché Lilibeth?- mi domanda ancora, fissandomi con sguardo incollerito.
-Perché non mi andava Umberto, semplicemente non mi andava- gli rispondo -I miei desideri non possono sempre coincidere con i tuoi, o sbaglio?-
-No, certo che non possono sempre coincidere con i miei, ma...- tentenna e si avvicina a me ancora di più, sfiorandomi il viso con le sue dita infreddolite -...ma abbiamo solo altri due giorni di tempo, domenica torneremo in città e dobbiamo approfittarne ora, amore mio-
-E non mi chiamare amore mio, per favore!- stavolta sono io a essere spazientita con lui.
-E perché non dovrei chiamarti amore mio? Tu sei l'amore mio--Non dire stupidaggini Umberto, se fossi io l'amore tuo avresti lasciato tua moglie già da chissà quanto tempo e invece...-
-Ma lo sai che le cose non sono così semplici come le vedi tu dall'esterno. Elena è una donna furba, molto furba: se la lasciassi e venisse a scoprire che l'ho fatto per stare con un'altra donna sarebbe la fine per noi, per me. Perderei tutto: il lavoro, il successo, il denaro...-
-Appunto, a te è questo che interessa, il denaro, solo il denaro!- esclamo stufa e senza dirgli altro comincio a camminare per tornarmene in albergo.
-Lilibeth! Lilibeth aspetta, torna indietro!- prova a fermarmi lui, correndomi dietro.Io non mi fermo, continuo a camminare spedita, decisa come non mai a voler mettere fine a quest'assurda storia, ma quando in lontananza scorgo un uomo uscire da uno dei ristoranti che costeggiano la passeggiata mi fermo di scatto. Sanremo è piena di fotografi e giornalisti in questi giorni e per me e Umberto, amanti clandestini, quest'assembramento è una rischiosa minaccia.
-Finalmente hai deciso di fermarti- mormora Umberto, ormai mi ha raggiunta.
Con la mano afferra il mio braccio, costringendomi a voltarmi nella sua direzione.
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The Luckycharm - A Brian May Fanfiction- Italiano
Fanfiction"Soltanto la musica è all'altezza del mare" Albert Camus