Paparazzi

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-Eccoli! Stavolta sono loro, stavolta sono loro!-

Delle urla, molto più energiche di quelle di cinque minuti fa, mi fanno subito aprire gli occhi e rivolgere la mia attenzione verso il cancello dell'albergo, dove il folto gruppetto di fotografi s'è posizionato in assetto da guerra. Quattro facchini, nella loro impeccabile divisa bordeaux e con gli alti cappelli tondi a mò di cilindro, aprono la cancellata mentre due stupende ed elegantissime limousine nere giungono dinanzi all'ingresso dell'hotel. I paparazzi s'avvicinano il più possibile ai finestrini delle automobili e cominciano a scattare foto all'impazzata, i click degli otturatori delle loro macchine fotografiche si susseguono velocissimi e il bagliore dei flash è così insistentemente potente che quasi m'acceca nonostante io stia osservando la scena dall'attico dell'albergo.

-Eccoli qui i Queen, sono arrivati- faccio tra me e me, poggiandomi al davanzale della finestra per poter ammirare più comodamente la scena.

Le due limousine varcano velocemente l'ingresso facendo attenzione a non investire nessuno dei fotografi, i quali non hanno mostrato minimamente l'intenzione di abbandonare la preda, anzi le prede. I camerieri richiudono il cancello con altrettanta velocità e i paparazzi rimangono così imprigionati all'esterno dell'albergo come leoni in gabbia, alcuni addirittura infilano gli obiettivi tra le inferriate per continuare a scattare foto alle limousine che adesso stanno percorrendo celeri il lungo viale che porta direttamente dinanzi all'ingresso principale dell'Hotel Royal.

-Certo che davvero noi italiani ci dobbiamo far sempre riconoscere- mormoro tra me e me -Non li lasciano proprio in pace-

Mi sporgo un po' di più dal davanzale, vedo le automobili giungere all'ingresso e fermarsi proprio dinanzi all'uscio. Due facchini aprono le portiere per permettere agli illustri e attesissimi ospiti di scendere: compaiono prima Freddie e John, accompagnati da un bodyguard completamente vestito di nero, dalla seconda auto scendono invece Roger, Brian, un'altra guardia del corpo e un signore bassino e abbastanza magro che penso sia il loro manager. Speditamente varcano la soglia dell'albergo, nel frattempo i facchini aprono i bagagliai e vi estraggono le loro valigie per portarle nelle loro camere.

-Su Lilibeth, lo spettacolo è finito- borbotto ancora, un po' delusa a dire la verità perché pensavo durasse qualche minuto in più -Forse sarà meglio che torni dentro-

Amo la brezza marina, è così piacevole quel salato pizzichio che lascia sulla pelle, ma l'umidità fa calare la voce terribilmente: è vero che domani devo cantare in playback, ma la voce mi serve comunque!

Di mala voglia mi alzo dal davanzale, rientro in camera e chiudo la finestra. Resto ferma per qualche secondo e sospiro, adesso che il silenzio regna di nuovo nella mia stanza mi sento sola per l'ennesima volta.

-Io non posso stare qui, non riesco...- mi dispero, accasciando la fronte sulla lastra della finestra -Cosa posso fare per calmarmi, cosa posso fare?- mi domando e chiudo gli occhi.

Provo a concentrarmi solo sul mio respiro, controllandone il ritmo. In genere questo maldestro tentativo di meditazione funziona sempre quando voglio rilassarmi, ma dopo nemmeno due minuti mi rendo conto che stavolta il Pranayama proprio non vuole funzionare su di me. Riapro allora gli occhi, alquanto nervosa, e scorgo l'ultimo gruppetto paparazzi andar via dal cancello d'ingresso dell'hotel.

-E se scendessi a fare una passeggiata?- mi chiedo -Camminare in genere mi distende, mi concilia il sonno e poi i fotografi se ne sono pure andati, quindi ho campo libero-

Orgogliosa della mia buona idea, scosto la tenda e mi dirigo a passo veloce verso una delle poltroncine ai piedi del letto dove meno di due ore fa, illudendomi di riuscire ad addormentarmi, ho sistemato i miei abiti per indossare la camicia da notte. Afferro i jeans che penzolano da uno dei due braccioli della poltroncina e li infilo, tolgo la camicia da notte e la sistemo sull'altro bracciolo, così l'avrò a portata di mano quando tornerò dalla mia passeggiata notturna.

-Ma la maglia? Dove ho messo la maglia?- mi domando guardandomi intorno, allacciando il bottone dei jeans -Ah, sì, ma certo, è qui sotto-

Sollevo gli spartiti adagiati alla rinfusa sulla poltroncina e sotto vi trovo il mio maglioncino celeste. Stasera, dopo essermi messa al letto, ho cominciato a lavorare a una nuova canzone e, prima di intraprendere i vani tentativi di addormentarmi, ho letteralmente fatto volare gli spartiti sulla poltroncina perché mi stufavo di alzarmi e portarceli come una persona civile dovrebbe fare. Infilo anche il maglioncino e corro allo specchio che sovrasta la cassettiera stile impero.

-Certo, i tuoi capelli hanno conosciuto giorni migliori Lilibeth- rimugino, ammirando la mia capigliatura del tutto scomposta -Ma, cosa ancora più orripilante: sei senza trucco-

Sospiro, anzi sbuffo al pensiero che per una semplice e innocua passeggiata notturna debba addirittura rifarmi il make-up -Ma se non mi trucco nemmeno quando esco di giorno!- esclamo alla me stessa davanti allo specchio.

E così, dopo essermi autorincuorata sull'inutilità di fondotinta e matita nel cuore della notte, mi pettino alla bell'e meglio, infilo veloce il cappottino scuro e prendo le chiavi della stanza sulla consolle dell'ingresso. Non appena varco la soglia della mia camera, il pensante odore della moquette mi fa starnutire.

-Devo essere allergica alla polvere- penso, chiudendo a chiave la porta -Eppure non lo sono mai stata prima. Bah, sarà l'età- ragiono, nemmeno avessi ottant'anni -Anche in camera c'è la moquette, ma non mi fa quest'effetto. Forse perché il corridoio è claustrofobico e circola poca aria- concludo, anche se non del tutto soddisfatta delle deduzioni a cui sono giunta.

Infilo le chiavi in tasca, lasciando ciondolare la nappina bordeaux verso l'esterno così da ricordarmi di consegnarle alla receptionist una volta giunta nella hall. Non porto mai le chiavi della mia camera d'albergo fuori dall'albergo stesso, sono così sbadata che le perderei di sicuro!
Comincio a camminare a passo celere nel corridoio deserto, ma d'improvviso un pensiero mi balena nella mente: -E se andassi da lui? Sarebbe una buona idea?- mi domando, voltandomi verso la porta della sua camera, non molto lontana dalla mia -No... meglio di no. Hai solo bisogno di camminare un po' all'aperto, Lilibeth, solo di questo-

Proseguo allora in direzione dell'ascensore, direzione fuori da quest'albergo di extra-lusso per respirare liberamente come i carcerati nell'ora d'aria. Il silenzio che regna quassù sull'attico è alquanto inquietante, quasi mette i brividi e i quadretti appesi alle pareti, gioiose e viveaci nature morte, non contribuiscono di certo a rallegrare l'ambiente.

-Cacchio, siamo vicino al mare, potevano mettere qualche quadretto con una barchetta, una spiaggia, oppure con qualche composizione floreale visto che siamo nella città dei fiori- rifletto ancora, ormai sono giunta davanti all'ascensore -E' pure occupato, per la miseria!- impreco sottovoce, odio quando voglio andarmene da un posto e c'è qualcosa che me lo impedisce.

Sbircio la pulsantiera e constato che, per mia fortuna, l'ascensore non solo sta salendo ma è già al terzo piano e, considerato che io sono al quinto, non dovrebbe tardare a raggiungermi. Sempre se chi c'è all'interno debba arrivare fin quassù. E a quanto pare sì, deve proprio arrivare fin quassù dato che la pulsantiera s'illumina prima sul tasto numero quattro e, dopo pochi secondi, su quello numero cinque.

Tin...

Le porte dell'ascensore si aprono davanti a me e io resto per qualche secondo senza fiato, a fissare chi mi ritrovo di fronte.

The Luckycharm - A Brian May Fanfiction- ItalianoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora