12. E se ne va, lui e tutto il resto

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La bolla è di un rosa cangiante, più si gonfia più emana profumo di fragola. Finché raggiunge la sua circonferenza massima e, swap!, le si appiccica sulla punta del naso. La bambina ride, mentre la madre, paziente, cerca di staccare la gomma da masticare dal suo viso, e io non posso fare a meno di imitarla. La mia voce divertita scintilla nel primo sole di aprile.

"Mi scusi, potrebbe dirmi se l'indirizzo è corretto?", chiedo alla donna e, mentre mi avvicino ancora, le allungo il cellulare. Lei, china sulla bambina, si tira in piedi, ancora presa a controllare che di tutta quella poltiglia rosa non sia rimasta traccia, e mi rivolge le sue guance piene. Mastica una gomma, proprio come la figlia. Starà per soffiare fuori un enorme pallone aromatizzato?

"Era uno dei miei passatempi preferiti...", aggiungo indicando il fazzoletto che stringe nel pugno.

"E chi non ama scoppiare il chewing-gum?", scherza.

"No, intendevo ripulire quel che resta dopo lo scoppio", preciso io.

La signora resta per un attimo interdetta: "È una sorella maggiore?".

Scuoto la testa: "Mia nonna", rispondo. "Negli ultimi anni di vita, era tornata bambina. Solo che, quando era piccola, non aveva mai ricevuto in regalo della gomma da masticare. Io sì, di continuo. Così, scoppiare palloni di chewing-gum alla fragola era diventato uno dei nostri segreti, lo facevamo di nascosto. Lei soffiava, tratteneva il respiro e io con le mie mani acerbe le liberavo naso e mento. Conoscevo ogni sua ruga...".

La bambina mi guarda senza avanzare parola.

"Anche noi giochiamo così", mi sorride la signora, tenera. "Sono ricordi che non si dimenticano più. Me lo conferma lei stessa".

"Erano secoli che non ci pensavo, credo abbia proprio ragione".

"Posso?".

"Prego".

Mi sfila il cellulare dalle dita e legge velocemente il messaggio di Alessandro Aslan.   

"Ne vuoi una?", mi domanda allora la figlia, porgendomi uno dei cubetti rosa che ha strappato, non senza fatica, dal suo astuccio. 

"Sei molto gentile, ma devo rifiutare. Sono tue", la ringrazio.

"Non faccia complimenti, abbiamo appena preso una scorta", fa la madre, e mi ridà telefono con tanto di gomma da masticare. "L'indirizzo è questo, confermo: è nel posto giusto".

Le guardo allontanarsi, riconoscente: "Allora, grazie", le saluto.

"E di cosa?".

Alle gambette altalenanti della bambina vedo sovrapporsi un paio di bermuda stropicciati, dalla cui tasca sinistra balza fuori un braccio che mi fa segno di aspettare. Cappellino pigiato sulla fronte, il ragazzo è in un attimo di fronte a me.

"Ciao, Rossella".

Strabuzzo gli occhi: "Teo!".

"In persona", conferma ansante.

"Come mai qui?" gli faccio notare, punta dalla sorpresa.

"Ordini superiori".

"Oh".

"Forse ti aspettavi qualcosa di più, come dire, scontato: un semplice palazzo pieno zeppo di uffici, probabilmente; invece, il posto potrebbe sorprenderti. Niente di tutto questo".

"Lo vedo". Sembra che Teo riesca a leggermi nel pensiero: mi sto convincendo che non è uno scherzo, l'indirizzo è corretto, come mi ha assicurato quella passante; dunque, Aslan fa sul serio.

Crisantemi fritti a colazioneDove le storie prendono vita. Scoprilo ora