40. E poi nuotare

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"Che cosa? Tu sei pazzo!". Il vento ci scuote i capelli. Una ciocca imbizzarrita mi svolazza sugli occhi, la sposto con fastidio e Ömer mi ricompare davanti, il suo sorriso aperto e luminoso, l'espressione ammiccante. Una mano allungata, il palmo a coppa pronto per accogliere il mio.

"Non penserai che ti segua, vero?", esclamo mentre a fatica trattengo i capelli.

Lui tace, semplicemente sorride. Quel palmo insistente, una richiesta d'aiuto che non è sua, ma mia.

Arriccio gli alluci, cercando un appiglio sicuro sulla sabbia. Tremo, non appena avverto un'onda lambirmi la pianta dei piedi. Spuma fredda e frizzante che si insinua sotto, fino a mangiarmi la rena sulla quale premono i miei talloni, pronti a voltarsi, pronti a tornare.

"Non rimandare più", lo sento pronunciare con la sua voce calma e decisa. D'un tratto, si sfila la maglietta e le scarpe, le getta lontano. "Ci sono io, aggrappati a me e non ti succederà nulla di male".

C'è lui, assicura. E c'è il sale: il mare sembra chiamarci tra gli spruzzi che si infrangono contro gli scogli, poco più in là. L'aria ha un gusto diverso, io mi sento diversa. Capace di scavallare le creste d'acqua che si vengono a sciogliere sulla battigia, coraggiosa quanto basta per immergermi; e poi, nuotare.

"Come si fa?", gli chiedo con un filo di fiato. Davvero non lo so, non ho capito come dimenticare, come perdonare. Mio padre è lì dentro, tra le alghe e gli anemoni, in ogni bollicina, tra le bracciate che vedo Aslan tirare, ora, verso l'orizzonte.

"Semplicemente così", urla mentre torna a me, gocciolante.

Siamo vestiti. Lui in jeans, io con la camicia e i pantaloni che ho scelto con cura l'altra mattina, per festeggiare il Paese delle Stoviglie e il suo esordio sulla rete nazionale. Tentenno.

"Dai, dopo ci stenderemo sulla spiaggia e ci asciugheremo al sole", mi promette. E nel mentre avverto le sue braccia cingermi la vita, i suoi muscoli raggomitolarsi a nido solo per me.

"Ömer...", affondo il viso contro il suo collo, ne respiro il profumo, mi faccio forza. "Il contratto che non hai trovato sulla tua scrivania...", deglutisco un singhiozzo. "L'ha preso Lu", gli confesso. L'acqua che mi sale alle caviglie.

Aslan, però, non sembra ascoltarmi, mi solleva reggendomi per le cosce e, con una spinta armoniosa, fa scivolare i nostri corpi avvinti tra le onde.

Non mi dà retta, Aslan. E io, il pelo dell'acqua che mi arriva al seno, mi stringo a lui, ammutolita dalla paura. Ci ho provato, mi dico, un primo passo in direzione della verità; proprio adesso che sto muovendo, le gambe strette all'uomo che mi tiene a galla, verso la liberazione dall'ancora che rischia di trascinarmi giù. Papà, ti sto definitivamente lasciando andare.

"Mi ascolti, Ömer?", tento di sollevare la testa. I gomiti che si sfilano dalla sua stretta, giusto un poco, giusto per provare. "È stata Lu a prendere il contratto che ho firmato quando sono stata assunta all'Agenzia Re, poco prima che tu arrivassi da Londra".

Aslan mi guarda, fa per allentare ancora la stretta, ma io lo riagguanto, preda dell'agitazione.

"Lasciati andare", mi avvolge con la sua pelle che sa di sandalo, di salsedine, di posti lontani.

Lasciarmi andare, se solo ne fossi capace! Un'onda ci solleva e io mi aggrappo più decisa. Lui, di contro, mi carezza la schiena, il cotone della camicia bagnata che si è appiccicato contro.

"Mentre Daniela e gli altri ci coinvolgevano nella loro battaglia con i cuscini, ieri, Corrado e Lu sono entrati nel tuo ufficio, per togliere di mezzo quel foglio. Io non lo sapevo, me l'ha spiegato Teo mentre Odette si faceva versare da te del vino. Quel dannato contratto... L'hanno buttato".

Crisantemi fritti a colazioneDove le storie prendono vita. Scoprilo ora