4. Favorisca un documento

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«Signorina, favorisca un documento, per cortesia». Il tono è autoritario e il timbro profondo. E io che pensavo di passare inosservata, dopo almeno sei ore di infruttuosa attesa! Scoperta in questo modo, mi sento assolutamente colpevole.

Tengo lo sguardo basso e rovisto nella borsetta. Chiedo, con la voce rotta dall'imbarazzo: «Ho solo la patente, va bene lo stesso?».

Il sorvegliante mi guarda torvo e fa per strapparmi la tessera dalla mano, ma qualcosa mi frena e la trattengo: «Aspetti! Prima mi dica per quale motivo vuole sapere chi sono. Ho commesso qualche reato? Perché, se è così, sarebbe meglio che chiami un avvocato, giusto?».

«Non ha commesso nessun reato... - cerca con gli occhi il mio anulare - signorina».

«Ne ero certa - sospiro, rasserenata - Allora, posso proseguire senza problemi, non trova?».

L'uomo, mezza età capelli brizzolati un pancione sorretto da una cintura di cuoio consumata, si porta i palmi ai fianchi e, a petto gonfio, si schiarisce la voce: «Senta, sto semplicemente facendo il mio lavoro, che è quello di sorvegliare gli ingressi e le uscite di questo palazzo. Conosco tutti i dipendenti dell'Agenzia Re, perché li vedo ogni giorno. Lavoro qui dagli anni Settanta, da quando gli uffici sono stati aperti e il capo era Ercole Re. Lei non è una di loro e io, che se tutto va bene andrò in pensione a fine anno, devo chiederle di identificarsi».

«Identificarmi? - improvviso un'espressione stupita, anche se so bene che quel povero addetto alla sicurezza sta solo compiendo il suo dovere - Ho la faccia di una terrorista o di una rapinatrice, per caso?».

Mi guarda meglio: «Per niente, anzi è molto bella - sorride, sornione, poi torna serio - Purtroppo, però, non posso fare finta di non averla notata, ne va dei miei compiti: è da questa mattina che gironzola qui attorno, sosta all'entrata mettendo in azione le porte scorrevoli e poi esce. Non è la prima a provarci, e a tutte ribadisco lo stesso consiglio: che non ci riusciranno mai, solo facendogli la posta...».

«Mi scusi, non credo di aver capito...».

L'altro sospira. Non indovino se sia irritato o divertito: «Sto parlando del signor Damiano, il figlio del grande capo - sgrana le pupille per dirmi "ovvio, svegliati!" - Lei non è forse qui per lui? Le ripeto, non è la prima e non sarà l'ultima, non deve vergognarsi, però non posso proprio lasciarla fare, mi capisce?».

«Ah, questo intendeva! Guardi, si sta sbagliando di grosso - comincio a ridacchiare per la vergogna, ma mi schiaffeggio dentro: mi sono fatta scoprire dopo mezza giornata e, adesso, come ne esco? - Vede, io... Ma mi spieghi meglio, intende che le ammiratrici del signor Re cercano di incontrarlo proprio qui, nella hall della sua agenzia pubblicitaria?».

«Sì, esatto. In media ne blocco tre al giorno. La maggior parte non torna più; qualcuna è una assidua frequentatrice, invece. Lui lo sa e fa sempre in modo di muoversi passando inosservato».

A quelle parole, mi torna alla mente la fotografia che ho visto sul giornale, l'altro giorno a Verderaso. Uno scatto rubato durante una festa della più ricercata borghesia cittadina, che ritraeva Re in compagnia di una signorina secca secca, ricoperta di chiffon e applicazioni luccicanti. Ma dei due, ricordo bene, era lui il più eccentrico, avvolto come si era presentato in un completo turchese su un gilet argentato e comodamente infilato in un paio di ciabatte, sulla cui fibbia campeggiava il nome di una nota griffe dell'alta moda.

«Ora che mi ci fa pensare, il signor Re fa di tutto per passare inosservato...», scherzo. Ma il sorvegliante non sembra voler cogliere la mia battuta; resta, anzi, impalato a guardarmi interdetto, come se tentasse di leggere le mie reali intenzioni dal solo sguardo: «Mmm - grugnisce - E, allora, confessa finalmente cosa sta facendo qui?».

Crisantemi fritti a colazioneDove le storie prendono vita. Scoprilo ora