8. L'inaspettata verità

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Il vento, accidenti. Nonna Ines mi ha sempre messa in guardia dal vento: "Non ti fidare di lui - mi sussurrava piano, sotto al salice del giardino a Verderaso, la mia guancia paffuta contro la sua striata dalle rughe - Quando il mondo respira troppo forte, è segno che qualcosa di particolare sta per succedere. Vedi, il vento è un messaggero, piccola, porta e subito se ne va".

"Ma cosa porta, il vento, nonna?", era stata una volta la mia curiosità di bambina. A me il vento piaceva, e molto: il salice sembrava volerci ballare assieme, stretto in un tango flessuoso, con le sue esili, lunghe braccia di foglie. Perdevo ore a seguirne i movimenti, dal salotto di casa, il viso schiacciato contro la finestra. Quella volta, mi venne spontaneo chiederle, sapere. Perché averne timore?

"È questo che rende il vento infedele, Rosellina mia, mia Rosa - mi aveva accarezzata nonna, tenera - Quale sia il suo dono non possiamo prevederlo, questo dono viene sospinto a noi a forza e all'improvviso. Non possiamo tirarci indietro, prima o poi ci trova. Tu fai così: quando senti levarsi il vento, stai ben attenta, perché qualcosa o qualcuno ti arriverà. Non dimenticarlo mai".

Sono passati così tanti anni da quella conversazione a Verderaso; eppure, tra gli insegnamenti di nonna Ines, questo è quello che allora mi aveva colpita di più, e che non ho mai scordato. Ci ripenso anche adesso che un vento improvviso ha preso a lambire i vetri del palazzo e a insinuare la sua voce sibilante tra gli infissi. Sembra stia facendo tremolare anche i frutti esotici che osservo, un po' perplessa, stampati sul soffitto.

Mi alzo, cercando di non scuotere troppo la testa. La botta è ancora lì, dura sulla mia fronte. Dove mi trovo? Premo le piante dei piedi a terra e osservo le impronte rimaste sulla moquette verde oliva. Poco più in là, sonnecchiano, placide, due pantofole marchiate con un paio di lettere che sembrano familiari e, invece, non lo sono. "D.R. Le iniziali del capo!", sobbalzo. Allungo istintivamente lo sguardo al fondo della sala; eccolo, lo vedo: l'uovo sospeso mi osserva, solitario e vuoto. "Sono sola, sono salva!" sospiro, ma avverto la bocca dello stomaco serrarsi in un crampo di agitazione.

Devo andarmene subito, lasciare l'ufficio prima che Damiano Re rientri. Ce la posso fare, mi incoraggio. Raccolgo le forze e mi metto in piedi, muovo qualche passo verso la porta, lasciando che siano le spalle a guardare fuori. Il vento, però, mi parla, bisbiglia un segreto in una lingua che non comprendo. Alla fine, cedo e mi volto: è un cielo nero quello che grava sulla Metropoli, vedo; e la luce del giorno è diventata opaca, come soffocata dalle nuvole che si stanno addensando sopra di noi.

Un'energia grossolana mi attrae a sé. Raggiungo la vetrata dell'ufficio e mi sporgo: conto affrettarsi, giù in strada, solo cinque o sei persone; mentre i camerieri del bistrot, che sorge davanti all'Agenzia, sparecchiano, veloci e approssimativi, i tavoli agghindati nel dehors.

"Secondo me, nonna, il vento è buono e mi porterà un bel regalo. Vedrai se ho torto!", avevo ribattuto a nonna Ines, quella volta. Mi sforzo di ricordare la sua risposta, perché una risposta a questa considerazione l'avevo di certo ricevuta, ma non ci riesco. Sotto al salice del nostro giardino, ora mi sembra sia calato un silenzio che non c'era stato.

"Ancora qui, ragazza tutta matta?". Corrado Sermenti interrompe le mie riflessioni, varcando la soglia dell'ufficio carico come un mulo. Tiene due valigette sotto le ascelle, una busta appesa al polso, un taccuino premuto sotto al mento e un pacco tra le mani.

"Come stai'?", mi chiede con la bocca impastata, mentre si libera del suo carico.

"Così, così", gli dico vaga.

Coco, oramai leggero, butta fuori un sospiro: "Sono incidenti che possono succedere. Riferisci cos'è successo ad Annabella e ti lascerà in mutua per qualche giorno".

Crisantemi fritti a colazioneDove le storie prendono vita. Scoprilo ora