22. Diasporo

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Avete mai fatto caso a quanto l'ascensore possa rivelarsi traditore? Mi spiego meglio: vi è mai capitato, le volte che avete sentito di poter toccare il cielo con un dito, di pregare che scenda il più in fretta possibile, perché non vedete l'ora di schizzare con lui contro la volta celeste e infilarvi l'arcobaleno per cappello? E, invece, macché: quelle volte lì, quando è massima la vostra felicità, l'ascensore sembra voler rallentare. Un piano dopo l'altro, lento lento lento, arriva a voi che avete scordato la ragione del sorriso che tenete stampato in faccia.

Nei giorni grigi, al contrario, il mattacchione diventa pimpante: giù sempre più giù, non uno che lo prenoti poco sopra di voi, e in un attimo eccolo spalancare le sue ali di metallo. Da qui alle male bolge ti ci porto io, in un lampo - tin! - dammi solo cinque piani.

Ecco, mentre me ne sto davanti agli ascensori del palazzo dell'Agenzia Re incapace di decidermi a salire, è a questa considerazione - la discutibile condotta di un ascensore di mezza età - che la mia mente si sta attaccando per concedersi il lusso di girare vorticosamente, come sta facendo da ieri sera, senza mai soffermarsi - ma che dico? - senza neppure sfiorare l'argomento tabù: Alessandro Aslan.

Aslan, Rossella, Aslan. "L'ho detto!", sussurro e mi porto una mano al petto e una sulla bocca. "Aslan, oddio, l'ho detto!", comincio a sentire le punte delle orecchie arrossarsi e lo spolverino emanare un calore, intriso di umidità, che non gli è proprio. Arriccio gli alluci a fatica. Chi diavolo mi ha consigliato le galosce questa mattina? Un'occhiata mi basta, gialle con un nugolo di coccinelle sulle punte: "Sono così stupida...".

Aslan, ripeti con me, Aslan. "Asl...". Giuro, stavolta l'ho solo pensato. Avvicino il dito al pulsante di chiamata, ma tremo per la tensione. Accidenti a me, mi maledico: sinora ero riuscita a buttarlo fuori dalla mia testa, ho dormito tre minuti e ventidue secondi questa notte, ero sulla buona strada per superare lo sconforto, e adesso? "Oh, povera Ros, cos'hai combinato!" piagnucolo, guardandomi attorno e discutendo con me stessa: "Forza, premi quel pulsante, sali all'Agenzia Re, vai incontro al tuo tragico destino. Sì, con queste galosce ai piedi, perché ti meriti il peggio, Mossetti".

"Stai aspettando me?". Un ombrello nero, con un manico a forma di testa di pappagallo, batte contro le mie caviglie.

"Non proprio", borbotto. Non mi aspettavo di incontrarlo di buon'ora.

"Ti immaginavo esattamente così, sai?".

"Così come?", chiedo senza distogliere lo sguardo dalle coccinelle. Stupida, mi ripeto, stupidissima Rossella.

"Direi, passami il termine, bambina", e l'ombrello si solleva, lasciando dietro di sé una fila di goccioline trasparenti. Oggi piove, me ne sono accorta per metà: quella che mi trovo davanti, dall'altra parte dello specchio nell'ascensore, è una capellona zuppa, con due grandi pozzanghere per occhiaie.

Davvero, chi diavolo mi ha consigliato le galosce, questa mattina? "Ma che hai oggi, Ros? Mettiti queste, non ti sei accorta che sta diluviando? Altrimenti, te le rubo, sono così carine!". Ora ricordo: è stata Daniela. "Aspetta, Ros, l'impermeabile lo prendi?", questa è ancora Daniela. E no, la stupida Rossella all'impermeabile ha detto di no.

"Allora, vieni con me o aspetti qualcuno?", insiste.

Temporeggio, molleggiando sui talloni di gomma; poi mi decido: "Arrivo".

La testa di pappagallo in argento preme sotto il mio mento, sollevandomi il viso con delicatezza. Damiano Re, a sopracciglia alzate, sembra non trovare appigli per continuare a provocarmi. Devo essere davvero uno straccio, deduco affranta.

"La bambina e le coccinelle. Non è un male, non fraintendermi", cerca di spiegarsi Re, mentre l'ascensore comincia la sua salita. "Penso sia una delle vene dei creativi. C'è in te qualcosa di audace nell'ostentare questa sorta di verginità, ecco".

Crisantemi fritti a colazioneDove le storie prendono vita. Scoprilo ora