XXVII - La Valle-che-Fuma

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Per tutto il giorno il tunnel si era inoltrato salendo nelle viscere della montagna di ghiaccio, e lì si interrompeva, dopo un'ultima curva, sotto una volta che restituiva in mille riflessi la luce dorata del tardo pomeriggio.

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La caverna glaciale era come un'alcova di cristallo a forma di cuspide, archi rivestiti di punte si aprivano nelle pareti formando finestre naturali e il vento ululava irrompendo con la forza di una locomotiva dall'immensità sottostante del ghiacciaio, che intravedeva estendersi piatto e ininterrotto oltre il gioco abbacinante dei riverberi. Pochi passi più avanti una spaccatura perfettamente rotonda troncava il passaggio come se il suolo avesse ceduto sotto il suo stesso peso: vortici di ghiaccio polverizzato circondavano una massa di stalattiti color acquamarina che si staccava dalla volta e si fondeva in un ponte naturale teso sul crepaccio: due pertiche conficcate all'estremità indicavano che era proprio di lì che i musi rossi passavano sulla via del loro assurdo pellegrinaggio.

Stanco e intirizzito il bandito smontò, si accostò al precipizio, guardò giù: pareti blu a imbuto completamente lisce si interrompevano un centinaio di piedi più in basso, in uno squarcio bianchissimo che si dilatò sotto il suo sguardo come una fauce. Perché non fai un passo compare?
Montego allargò gli occhi e sentì i testicoli stringersi al corpo; una corrente ascensionale lo investì graffiandogli la faccia, il ponte tremò mandando tintinnii e l'uomo si fece indietro con la faccia nell'incavo del gomito, guardandosi intorno in cerca di una scappatoia: ma quella era l'unica strada...e tornare indietro era fuori discussione, semplicemente perché non aveva più un posto dove tornare.

Tu sei una carogna.

Fermo nel vento che lo batteva il bandito respinse la sua coscienza e guardò il sole basso oltre gli archi di stalattiti: il Collo d'Alce si estendeva immenso e ininterrotto dietro le volte della caverna glaciale, avvolto di foschia nella luce del giorno che si avviava alla fine...e l'uomo pensò che era proprio vero, ciò che talvolta aveva sentito dire: che da sé stessi non si scappa per quanto si possa andare lontani.
Il ponte di ghiaccio cantò scosso dalle raffiche, avvolto di turbini e arcobaleni, e Montego sollevò le labbra in un sorriso stanco sentendole spaccarsi senza il minimo dolore: aveva tradito la fiducia chi lo aveva accolto, aveva rinnegato i legami di una nuova vita che avrebbe voluto così disperatamente, aveva dato in pasto la sua gente alla macchina vivente che anche in quel momento, ne era certo, lo stava ancora tallonando...ed era giunto, solo, ai confini del mondo senza nient'altro in tasca che il suo puro egoismo.

Tu sei una carogna.

Il bandito chiuse gli occhi, sentì una lacrima congelarsi e pensò che era proprio vero, che lui era una carogna e si meritava mille volte di morire...e pur con tutto, voleva essere felice: perché io voglio te, io voglio nostro figlio.
Io voglio essere felice.

Montego sentì gli occhi spalancarsi come molle, l'espressione indurita nella maschera di determinazione che lo aveva accompagnato attraverso tutte le porcherie con cui si era lordato le zampe: guardò il passaggio glaciale e pensò che avrebbe potuto pure finire di sotto, e crepare se così voleva il diavolo, ma lui avrebbe fatto tutto ciò che era in suo potere per portarsi a casa anche quell'ultima e più importante ruberia.
Perché io voglio te, io voglio solo te e se ne vada affanculo il mondo ribadì, e una voce di ragazza lo chiamò in risposta a quell'invocazione: che Teschio-in-Mano non esiti, egli è un grande guerriero e il suo coraggio nello sfidare il tabù, onora sua moglie e i sacri Antenati.

"Così è mia sposa" raschiò staccando dalla sella l'arco e passandoselo a tracolla assieme alla faretra e al sacco da viaggio. Io sono Boss Montego, io non morirò e tu non mi avrai, sbirro bastardo, perché io ti fermerò.
Quindi l'uomo si raccomandò al diavolo patrono, strinse le redini in pugno e fece un passo avanti sentendo il ghiaccio scricchiolare.

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