Capitolo 25

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Un senso di angoscia continua ad invadermi e prima di entrare nell'hotel inspiro ed espiro una grande quantità d'aria fresca

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Un senso di angoscia continua ad invadermi e prima di entrare nell'hotel inspiro ed espiro una grande quantità d'aria fresca. Il mio aspetto sarà sicuramente da film horror, ma al momento poco mi interessa.

Appena varco la soglia dell'entrata mi guardo velocemente intorno e devo ammettere che quest'hotel sprizza lusso da tutti i pori.

«Mi sa dire qual è la camera di Alexander Carter?» chiedo all'anziano receptionist dai capelli bianco gesso.

«Ma certo, la camera del signor Carter è la cinquantadue» risponde senza smettere di fissarmi le tette. Gli chiedo di darmi la chiave della stanza e subito me ne lascia una elettronica. Avrebbe dovuto esitare dato che non sa nemmeno se lo conosco davvero, ma è come ipnotizzato dal mio décolleté. Dovrei ringraziarlo ma mi sa tanto di viscido e porco che decido di allontanarmi velocemente.
Scorgo un cameriere andare avanti e indietro con in mano un vassoio pieno di champagne e mi avvicino per chiedergli a che piano si trova la camera cinquantadue. Ho bisogno di iniziare a fare una doccia e prendere con urgenza una Tachipirina.

«Sesto piano, le conviene prendere l'ascensore» dice e io lo ringrazio velocemente.
Mi avvio verso l'ascensore e sto per digitare sul numero sei, ma qualcuno entra ed io subito mi blocco per far sì che la porta dell'ascensore non si chiuda.
È un uomo, ed è davvero molto strano. Indossa un cappello che gli nasconde quasi tutto il viso, infatti quando è entrato sono riuscita ad intravedere solo il mento senza un filo di barba.
Adesso è di spalle, ma sento un profumo che mi è molto familiare, un profumo che regala alla mia mente brutti ricordi. Senza girarsi, lo strano tizio digita il quindicesimo piano sul display dell'ascensore ed io vorrei protestare, ma non ho il coraggio di rivolgergli la parola.

«Sorprendente come le nostre strade si intrecciano» dice lo sconosciuto che solo adesso scopro che tanto sconosciuto non è. Quella voce potrei riconoscerla anche tra migliaia di persone.
Ho la gola secca e non riesco a respirare, voglio solo andare via da qui.

«Nicholas» sussurro a voce bassissima e lui si gira lentamente togliendosi il cappello. Le sue iridi scorrono lentamente sul mio corpo e subito mi si contorce lo stomaco.
Le immagini di quella notte mi passano davanti e un senso di nausea pervade il mio essere.
«Cosa vuoi da me? Mi hai seguita?» gli chiedo con disprezzo e lui, senza distogliere lo sguardo dal mio corpo, si porta una sigaretta alla bocca.

«Seguirti? Nah, ho bisogno di nuove conquiste che non facciano parte solo del gusto della vendetta» afferma tranquillo ma io continuo ad essere spaventata. Tenta di avvicinarsi ma io faccio istintivamente un passo indietro sbattendo contro il vetro dell'ascensore. Il pensiero che possa toccare o solo sfiorare una parte di me mi fa venire la pelle d'oca per il ribrezzo.

«Provo solo odio e repulsione nei tuoi confronti, ma se questo potrà farti diventare una persona migliore, ti dico che ti perdono. Perdono te, l'uomo che quella notte si approfittò del mio corpo, ma pretendo solo una cosa: non farti vedere mai più» dico scandendo bene le ultime parole e in questo preciso istante l'ascensore si apre. Entra un uomo molto elegante e subito cala il silenzio. Senza pensarci due volte esco dall'ascensore e prima che le porte si chiudano mi giro un'ultima volta e mi trovo di fronte solo l'elegante uomo di poco fa.
Nicholas se n'è andato, ed è meglio così.

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