Capitolo 18

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"Ecco signorina, questo è il suo caffè e questo è il suo muffin al pistacchio. Desidera altro?" Dissi servendo la cliente.

"No, grazie!" Rispose. Annuì e tornai dietro il banco a servire gli altri e a lavare le tazzine sporche.

Che vita deprimente.

"Me li fai due caffè buoni o dobbiamo preoccuparci ancora sono bruciati?" Mi girai di scatto con ancora la tazzina e la spugna fra le mani, avendo riconosciuto la voce alle mie spalle e con mia grande sorpresa mi ritrovai Erika e Tommy.

Non parlavo con loro da mesi, ero sicuro di non rivederli più come ero sicuro di non parlarci. Strabuzzai gli occhi e cercai di mettere a fuoco per rendermi conto del fatto che fossero davvero loro.

"Ciao Aron, come stai?" Mi chiese semplicemente Erika. Aveva gli occhi tristi come quelli di chi da tempo cercava qualcosa. In questo caso loro cercavano un vecchio amico.

Ma io avevo semplicemente deciso di stare solo.

Risistemai le cose nel lavandino e mi avvicinai alla macchina del caffè per prepararli, e nel frattempo servii piattino e cucchiaino per loro sul banco con tanto di bicchiere d'acqua.

Li stavo ignorando.

Non avevo mai visto Erika in quello stato, i suoi capelli dalle chiome rosa e castane erano raccolti in una coda alta disordinata, i suoi occhi castani sempre truccati in modo impeccabile avevano un non senso di malinconia. Vestita con il suo maglioncino grigio e i suoi jeans a mettere in risalto il suo fisico perfetto. Sembrava non essere cambiato niente, ma invece era cambiato tutto.

Tommy invece era lo stesso, con i suoi capelli castani ribelli, il sorrisino sfrontato e gli occhi castani sempre attenti. Fisicamente sembrava messo meglio rispetto a prima, molto più definito. O forse ero io ad essermi trascurato.
Nel suo dolce vita nero che metteva in risalto la sua definizione e il suo jeans nero altrettanto aderente.
Sempre elegante nella sua immagine.
Ma troppo stupido nella sua ignoranza.

"Non puoi continuare così lo sai? Ti stai distruggendo la vita per cosa? Per una ragazza che hai conosciuto in meno di un mese? Cos'è aveva la fica profumata d'oro? Sai quante ne puoi trovare?" Le parole affilate di Tommy mi scatenarono una rabbia irrefrenabile e gli tirai un pugno in piena faccia facendolo sanguinare!

"Tu non hai il diritto di parlare in questo modo di lei, mi hai capito?" Urlai... La gente cominciò ad affacciarsi nel locale e i miei colleghi corsero a vedere cosa stava succedendo.

"Aron, ma sei impazzito?" Disse Erika cercando di aiutare Tommy.

"Chi ve lo ha detto eh? Non vi avevo mai raccontato un cazzo di questa storia proprio perché sapevo che non avreste mai potuto capire. E proprio perché sapevo che tu saresti stato così superficiale a riguardo ignorando il fatto che magari per una volta nella mia vita potessi davvero tenere a qualcosa. Ma come vedi è proprio così, io non sono come te Tommy. Voglio stare da solo, se non fate più parte della mia vita c'è un motivo! Nessuno vi ha chiesto di venire a cercarmi." Risposi aggressivo con le lacrime agli occhi.

"Tommy sta calmo!" Si avvicinó la mia collega mettendomi una mano sulla spalla.

"Abbiamo obbligato Vittorio a raccontarci tutto perché volevamo capire cosa ti era successo, eravamo i tuoi amici di sempre e ci siamo sentiti tagliati fuori dalla tua vita. Volevamo solo provare a capirti, non siamo dei cuori di pietra. Io ho capito benissimo come ti senti, ma reagire come hai fatto e stai continuando a fare non ti aiuterà." Rispose Erika.

Aveva ragione, ma la mia vita era cambiata. E le mie decisioni avevano dei motivi validi.

"Tom ha esagerato con le parole Aron, ma lui più di tutti si è sentito abbandonato dal suo migliore amico. Prova a capire anche tu come ci siamo sentiti, non devi dare per scontato che nessuno possa capirti o meglio provare a farlo. Ma hai sbagliato..." Continuó a parlare con voce rotta.

L'avevo spaventata e mi dispiaceva, ma non volevo sentirli, non mi importava di niente.

"Andate via." Mi limitai a dire.

Erika annuì mentre trascinò fuori Tommy che in silenzio mi fissava deluso e arrabbiato.

Avevo l'anima in pezzi, credevo di aver fatto la cosa giusta, ma più andavo avanti piu mi rendevo conto che niente di quel che facevo andava bene.

Gettai nel lavandino i caffè che avevo preparato per loro e andai a spogliarmi dalla divisa di lavoro, il mio turno poteva considerarsi finito.
Sperai solamente che il capo non venisse a sapere di quell'episodio o potevo considerarmi licenziato.

Salutai i miei colleghi ancora sconvolti e accelerai il passo.

Mi fiondai in macchina e me ne andai a casa. Ormai vivevo da solo da qualche mese. Avevo litigato con i miei genitori che erano in fase di separazione... Non volevo più avere nulla a che fare con nessuno dei due, nemmeno considerare l'idea di vivere da solo con uno di loro.

Dopo mesi dal ritorno in città mi ritrovai ad origliare una conversazione. Erano sul lastrico di una crisi e avevano deciso di vendere la villa, per questo eravamo andati via. Per i soldi...
Perché quel bastardo di mio padre si era giocato tutto per una puttana con cui aveva messo le corna alla mamma.

I nuovi acquirenti la volevano subito e perciò eravamo partiti in anticipo dai tempi prestabiliti.

Ho dovuto scontare io i loro danni, soffrire per colpa loro. Quando vi erano altri mille modi per non farmi questo, parlare cazzo. Un fottuto dialogo che nella mia famiglia non esisteva.

La mamma poi, aveva fatto l'errore di non dirmi niente e di nascondermi tutto ciò. Senza contare che dopo nemmeno un mese che aveva cacciato mio padre di casa, la beccai a letto con un altro uomo.

Senza pudore e senza vergogna.

Le lacrime cominciarono a solcarmi il viso fino ad appannarmi la vista, me le ripulii di corsa altrimenti me ne sarei andato contro un muro.

Parcheggiai in fretta e furia nel vicolo per poi catapultarmi nel portone dell'edificio.

Una volta dentro casa, mi sfilai i vestiti e mi buttai sul letto a peso morto.

Peggio di così non poteva andare.

Cuore d'InvernoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora