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Marco Brugoli aveva il viso triste e spaventato quando l'ispettore Ricciardi e la dottoressa Ricci arrivarono a casa sua. Sua mamma Martina, aveva fatto accomodare il poliziotto e la dottoressa in salotto e aveva chiamato suo figlio che era comparso sulla soglia quasi vergognandosi. Il ragazzo aveva sicuramente un grosso peso nell'animo, almeno questo fu ciò che pensò Elisa appena lo vide.

«Marco questi signori sono della polizia vogliono chiederti di Amedeo» disse la mamma accennando un sorriso tranquillizzante verso suo figlio

Fu Elisa a rompere il ghiaccio avvicinandosi al ragazzo dopo aver lanciato un'occhiata a Massimo «ciao Marco come stai?» sorrise

«Bene» balbettò il ragazzo

«Volevamo chiederti dell'ultimo giorno che hai visto Amedeo»

Il ragazzo abbassò lo sguardo stringendo i pugni «cosa volete sapere?»

«Raccontaci cosa avete fatto quella mattina?»

Marco deglutì «abbiamo saltato le lezioni» ammise abbassando la testa «siamo andati al capanno e siamo rimasti lì tutta la mattina»

«Quando vi siete separati?»

«Dopo mezzogiorno, la campanella della fine della scuola era già suonata» disse «e decidemmo di tornare a casa».

«Hai per caso notato qualcosa di strano mentre eravate lì?»

«Strano in che senso?» riportò lo sguardo sulla donna

«Hai visto qualcuno o è successo qualcosa di particolare?» chiese ancora Elisa gentilmente

Il ragazzo sembrò rifletterci per qualche secondo «no» rispose alla fine

Elisa guardò Massimo muovendo leggermente la testa. Si era resa conto che il ragazzo era molto restio nel raccontare. Le frasi erano corte e asciutte, spesso abbassava gli occhi e si stringeva le mani nell'agitazione classica di chi ha un peso sulla coscienza

L'uomo intervenne «dove vi siete separati?»

Marco guardò il poliziotto «alla rotonda della scuola, io dovevo correre a casa e Amedeo stava tornando indietro perché aveva lasciato il cellulare al capanno»

Massimo lanciò un'occhiata d'intesa a Elisa «e Giuliano?»

«Non lo so, io avevo fretta e sono andato via, Giuliano, il giorno dopo, mi ha detto che lui era andato con Amedeo e che poi erano tornati a casa» strinse i pugni «si erano separati alla rotonda, come sempre»

«Quindi hai lasciato Amedeo e Giuliano tornare indietro da soli?» chiese lei sempre con un tono gentile e comprensivo, non voleva che il ragazzo si chiudesse ancora di più

Marco si portò le mani sul viso come a volersi nascondere «si, io dovevo tornare a casa» ripeté come a cercare di darsi una giustificazione.

«Capisco» si affrettò a tranquillizzarlo lei. Forse era questa la colpa che si portava nell'animo quel giovane

«Sei più tornato al capanno da quel giorno?» intervenne Massimo, provando a seguire lo stesso tono dimesso della donna

«No!» sospirò buttando fuori il fiato che aveva dentro e che sembrava comprimergli il petto

Massimo guardò Elisa e poi la mamma del ragazzo «ci porteresti la?» dolcemente

Anche il ragazzo guardò la madre come a chiedere cosa fare

«Pensate possa essere utile per ritrovare Amedeo?» chiese la donna intromettendosi

«Sicuramente apprendere la verità aiuta l'indagine» rispose l'ispettore

La donna accarezzò la testa di suo figlio asserendo in modo affermativo «vado a prendere la giacca, vengo anch'io con voi» disse

«Certamente» si affrettò a rispondergli l'ispettore

***

L'ispettore Gualtieri era seduto nel suo ufficio ormai da due ore. Aveva sempre avuto una mente analitica che con gli anni aveva affinato con considerevoli capacità deduttive. Un tempo era stato un ottimo investigatore, molti anni prima, quando ancora riusciva a dare tutto se stesso a quel lavoro che aveva sempre amato fare. Quando era a Milano aveva risolto casi importanti, aveva catturato criminali incalliti, aveva dato un senso a ciò che faceva. Ora invece, si era reso conto, non era più così. Da quando lo avevano trasferito in quella cittadina la sua vita era cambiata, era come se si fosse spenta. E pensare che aveva accolto favorevolmente quel trasferimento sei anni prima, pensava che la tranquillità di quel posto sarebbe servita a recuperare quel rapporto con sua moglie che, si stava rendendo conto, cominciava deteriorarsi, senza sapere ciò che invece sarebbe successo. Sua moglie non aveva mai accettato quella situazione, lasciare la grande città, lasciare la sua vita per una cittadina sperduta tra le montagne. Così erano cominciate le discussioni, prima piccole poi sempre più grandi, e nemmeno il lavoro riusciva a staccarlo da quella rabbia. Quella spina non si staccava e quel rancore aumentava. In un posto dove non succedeva mai nulla, dove le giornate erano tutte uguali, dove non riusciva più ad avere la tranquillità e l'intimità con la donna che credeva di amare, alla fine, tutte quelle cose messe insieme, lo avevano fatto crollare. Annalisa era giovane, era bella e lo aveva fatto sorridere, ed era stato facile perdersi in lei. Anche se era stato per poco, per un breve momento, un incontro, un istante forse di indecisione o addirittura di rabbia, ma, si era reso conto, che in quel momento non poteva, ne voleva, rinunciarci. Era durata solo due mesi, ma non rimpiangeva nulla di quello che era successo. E Clara lo aveva lasciato, giustamente. Aveva colto la palla al balzo come si dice. Era ritornata a Milano portandosi via tutto. Aveva svuotato la casa, il conto in banca, l'armadio e la sua rabbia. Non aveva più nulla, nulla oltre il lavoro. Nulla. La sua vita negli ultimi due anni era vuota come il suo frigorifero che spesso dimenticava di riempire o la sua casa che non aveva più voluto riarredare.

Si alzò per andare verso la finestra, un pallido sole faceva capolino tra le vette delle montagne che circondavano la cittadina. Aveva cinquant'anni e certe volte si sentiva così stanco.

Tornò alla sua scrivania e riprese il blocco di fogli dove aveva appuntato alcune note. Anche se aveva il computer lui si scriveva gli appunti con la penna, la tecnologia non era per lui. Aveva bisogno di rileggerle, di vederle scritte nell'ordine che gli dava per inquadrare meglio la situazione.

Si ingobbì leggermente appoggiandosi con i gomiti per guardare quello che aveva scritto poco prima.

Fabio era cresciuto nell'orfanotrofio, era un bravo studente, non aveva mai dato segni di intolleranza. Sul piccolo fascicolo che gli aveva portato suor Beatrice riguardante la vita del ragazzo, non aveva trovato praticamente nulla. Era sempre andato al mare a Bordighera tutti gli anni con gli altri ragazzi dell'orfanotrofio. Passava la sua vita tra quelle mura studiando e facendo sport, era un discreto nuotatore. A parte quella operazione subita da piccolo dovuta a quella caduta che gli aveva fatto rompere l'osso della gamba destra, godeva di ottima salute. Tutti gli ospiti di quella struttura erano seguiti non solo dalle suore, ma anche da insegnanti e medici. I ragazzi venivano preparati alla vita che avrebbero affrontato una volta usciti da lì, con insegnamenti e sedute psicologiche. Quella vita che Fabio non avrebbe mai più potuto conoscere purtroppo.

Doveva parlare con gli insegnanti di Fabio e i medici dell'orfanotrofio per scoprire se nel periodo precedente alla scomparsa fosse accaduto qualcosa di anomalo.

Era l'unica cosa che poteva fare.

© Dan Ruben

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