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Nella cassapanca che aveva in camera da letto sotto alcune coperte e vecchi abiti dismessi, trovarono, in un sacchetto di plastica, una tuta bianca tipo quella dei RIS compatibile con quella che probabilmente aveva utilizzato Willy.

Francesco disse subito che non ne sapeva nulla, ma immediatamente venne trasportato in commissariato per essere interrogato.

Era più di tre ore che era seduto lì. Nella stanza degli interrogatori dove generalmente sedeva dall'altra parte del tavolo. Ambrogi e il procuratore Nalin gli avevano chiesto spiegazioni, ma lui non sapeva cosa dire, sapeva solo che il giorno prima qualcuno era entrato in casa sua, ma da coglione non aveva presentato nemmeno una denuncia. Aveva chiesto di fare rilievi sulla serratura della porta sul retro nella speranza che chiunque fosse stato ad incastrarlo avesse lasciato qualche tipo d'impronta. Ma oltre a qualche graffio non trovarono nulla.

«C'è la vita di un bambino in gioco» disse Ambrogi «devi dirmi cosa sai?»

«Vi ho già detto tutto, io non so nulla, non so dove sia Amedeo e non so come quella tuta possa essere arrivata a casa mia»

«Capisci che se ci sarà corrispondenza tra quella tuta e il pezzo di stoffa ritrovato nella fossa numero tre verrai accusato di omicidio?»

«Faccio questo mestiere da trent'anni so benissimo come funzionano le cose» nonostante la giornata fredda e la pioggia che aveva ricominciato a cadere, stava sudando in quel momento.

«Devi dirci tutto»

«Non so nulla»

«Non potremmo aiutarti altrimenti» insistette Ambrogi.

E fu a quel punto che Francesco alzò lo sguardo puntandolo direttamente in quello dell'ispettore capo «parlerò solo con la dottoressa Ricci» disse sapendo benissimo che era stata lei l'artefice di quello che stava passando.

Ambrogi e il procuratore si guardarono.

«Avete sentito parlerò solo con la dottoressa Ricci» ripeté. Sarebbe riuscito a convincerla della sua innocenza.

***

La pioggia tambureggiava sui vetri della finestra. Aveva chiesto una sigaretta all'agente di sorveglianza che era con lui anche se aveva smesso di fumare da almeno dieci anni. Il fumo formava volute contro la finestra e gli parve di sentire, con un leggero fruscio sommesso e sibilante, un'automobile entrare nel parcheggio della caserma. Forse Elisa era arrivata. Non aveva altre possibilità, lei era l'unica che nonostante nutrisse dei dubbi su di lui poteva analizzare le cose con obbiettività. Non era uno sprovveduto, aveva alle spalle troppi anni di indagini e intrighi dipanati per non capire che chi lo aveva incastrato era uno che lo conosceva bene, uno che frequentava il suo ambiente. Elisa invece era l'unica che, arrivando da fuori, non aveva legami con nessuno in quella città e soprattutto in quel commissariato. Lei, per come ne aveva sentito parlare e aveva letto, non avrebbe lasciato dietro le sbarre un innocente.

La porta si aprì e Ambrogi ed Elisa entrarono nella stanza.

Francesco spense la sigaretta «solo la dottoressa»

«Tanto ascoltiamo tutto lo stesso da dietro il vetro» rispose Ambrogi

«Lo so, ma in questa stanza voglio solo la dottoressa» rispose calmo. Aveva bisogno di vedere i suoi occhi, di vedere se lei gli credesse e per farlo non doveva avere distrazioni.

Elisa si sedette difronte mentre l'agente di sorveglianza e il l'ispettore capo uscirono dalla stanza.

«Grazie per aver accettato di vedermi» esordì Francesco.

Elisa era tesa e nervosa, quella sensazione che aveva percepito non era mutata nemmeno ora che lo avevano arrestato «non avevo molta scelta» rispose.

Lui fece un profondo sospiro «io non so perché tu creda che io sia implicato in questa vicenda, ma so che sei l'unica che può aiutarmi»

«Aiutarti?» era incredula, lo avevano preso, se il risultato del test sul pezzo di stoffa fosse risultato compatibile con quello della tutta trovata in casa sua, non ci sarebbero stati dubbi, era lui Willy.

«Ascoltami per favore, sono sicuro che chi vuole incastrarmi è uno di qua per questo ho chiesto di te, sei l'unica di cui mi posso fidare»

«Ma cosa stai dicendo? Non aggravare la tua situazione e dicci dove nascondi Amedeo»

«Non so dove sia» si stava rendendo conto che lei non gli credeva «guardami per favore» la implorò.

Elisa portò lo sguardo su di lui

«So che tu credi che io sia colpevole, l'ho capito nel bosco e anche tu lo sai che lo avevo capito in quel momento. Credi che sia così stupido da lasciare la tuta in casa mia?» si passò una mano sul volto «l'avrei eliminata appena arrivato a casa se davvero l'avessi avuta io»

Lei scosse la testa «perché mi dici queste cose?»

«Perché sono anni che faccio questo mestiere e so riconoscere quando qualcuno mente e tu l'altra mattina nel mio ufficio eri spaventata ma non mentivi, e da quel momento in poi noi siamo sempre rimasti insieme, prima in ufficio poi alla cascina di Bisleri, per questo sono convinto che della tuta tu non ne sappia nulla» affermò.

Elisa inclinò leggermente il viso «cosa nascondi?» gli chiese a bruciapelo

«Solo una vita di merda» rispose sbuffando.

«Perché eri a Mentone nel luglio di due anni fa?»

«Per questo mi sospettate?» spalancò gli occhi sorpreso «perché vado a trovare un amico?» scosse la testa «ci vado sempre, tutte le volte che mi è possibile» rispose «devo la vita a Vittorio»

Lei si sporse leggermente sul tavolo «cosa vuol dire che gli devi la vita?»

«Perché sarei morto sepolto sotto le macerie se non fosse tornato indietro a salvarmi» il viso si trasformò in una maschera di dolore «ma dopo avermi liberato, una trave cedendo gli è crollata addosso spezzandogli la spina dorsale»

Lei rimase spiazzata, il dolore che stava vedendo sul suo volto era reale. Rimase in silenzio a osservare il suo viso mentre i pensieri si accavallavano nella sua mente. Possibile che non ricordasse di essere Willy? Oppure era un attore professionista? O magari non stava mentendo ed era davvero tutto uno sbaglio?

«Per questo eri così strano quando siamo arrivati all'istituto Santa Teresa?»

Lui si poggiò contro lo schienale della sedia «ho sempre un po' di disagio nell'entrare in un orfanotrofio, non ho passato degli anni memorabili in quel posto»

Era confusa, decisamente più confusa di quando era entrata in quella stanza «perché sono qua?»

«Perché vuoi la verità» affermò deciso

«E se l'avessi già davanti la verità?»

Lui fece una leggera smorfia «hai un unico modo per capire se sei nel giusto o meno»

«Quale?»

«Se sei arrivata a dubitare di me, significa che hai svolto un'indagine, hai seguito uno schema» disse lui guardandola e aspettando conferma.

«Si» sussurrò Elisa

«Riguardalo nuovamente, riprendi in mano tutto il tragitto che ti ha portato a me e cerca dove hai sbagliato adesso che sai alcune cose»

«Io non so nulla» rispose sulla difensiva, non voleva che lui credesse di aver insinuato in lei il tarlo del dubbio. Anche se in realtà si sentiva decisamente più confusa di quando era entrata nella stanza poco prima.

«Non è vero, adesso sai alcune cose del mio passato che prima non conoscevi e che ti hanno indotto a credere che io potessi essere Willy, ma soprattutto...» fece un sospiro carico di tensione «sai che non puoi fidarti di nessuno in questo commissariato» alzando gli occhi verso lo specchio a parete dietro la dottoressa sapendo benissimo che anche Ambrogi stava ascoltando.

© Dan Ruben

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