«Davai, umana. Sbrigati.»
Seguii Gorazd attraverso i corridoi, combattendo perché i pensieri sgomberassero la mia mente. Nel giro di poche ore la luna piena si sarebbe levata in cielo, e Flynn e io avremmo affrontato il nostro destino.
L'impellente bisogno di distrarmi dalla tensione mi aveva spinta a uscire dalla cella per andare in cerca della biblioteca, peccato che, una volta fuori, avessi trovato il mio carceriere ad attendermi.
Gorazd mi scortò fin nei sotterranei del Palast e anche quando pensai che mi avrebbe lasciata sola, la sua presenza seguitò a gravitarmi attorno tra gli scaffali, simile a un presagio di morte.
Feci scorrere i polpastrelli lungo le copertine polverose, fin quando le mie dita non incontrarono il dorso di un volume piuttosto famoso, dalle mie parti: a scuola avevamo studiato le Ballate Child, una raccolta di poesie popolari inglesi e scozzesi. La mia preferita era sempre stata quella di Sir Patrick Spens, ma nello sfogliare le pagine mi imbattei negli ultimi versi di Lord Randal.
«"Che cosa lasci al tuo vero amore, Lord Randal, figlio mio? Che cosa lasci al tuo vero amore, mio bel giovane uomo?". "Io le lascio il fuoco dell'inferno; madre, fai presto il mio letto, perché sento dolore al cuore, e mi piacerebbe coricarmi".»
Trasalii e richiusi di scatto il libro, liberando una sventagliata di polvere che mi punse le narici. Capii che il refolo d'aria ghiacciata che mi lambiva il collo non era spirato dalle feritoie, ma dal corpo senza vita del Viesczy, ora troppo vicino.
Mi rabbuiai. «Cosa stai facendo?»
Gorazd imprigionò una ciocca dei miei capelli tra l'indice e il pollice, e l'arrotolò tra le dita. Mi tirò verso di sé e la annusò, riempiendosi i polmoni cristallizzati del mio odore. «Fiuto la paura. Possiede un aroma inebriante, quando la vittima capisce che ogni via d'uscita le è stata preclusa.»
Tremai di rabbia, ma il Viesczy mi lasciò andare prima che potessi tentare qualcosa di incosciente. «Ed è qui che ti sbagli. La luna non è ancora sorta e una via d'uscita è sempre possibile.» Feci per sgusciare via, frapposta tra lo scaffale e la sua figura che incombeva su di me. «Sei talmente sicuro di te da non aver progettato neanche un piano di riserva nell'ipotetico caso in cui io riesca a svignarmela. Patetico. Non ti hanno insegnato a non sottovalutare i tuoi nemici?»
Neanche il tempo di terminare la frase che mi ritrovai attaccata alla libreria, ad annaspare in cerca di ossigeno, con il collo pressato tra gli artigli: «Lurida suka irlandese, un nemico è qualcuno di cui si ha rispetto. Credi davvero di poter guadagnare il mio?».
Mi aggrappai vanamente alle dita per concedermi aria, ma la sua presa fu irremovibile.
«La tua goffa e sciocca figura sul campo di battaglia sarebbe un insulto ai guerrieri e al tempo speso ad allenarsi per dar prova del loro valore. Se sei ancora qui, Beatricza, è perché io lo permetto. Perché io voglio vederti crollare.»
Il Viesczy allentò la presa di colpo e mi lasciò cadere a terra, la schiena contro il muro di libri e l'aria che entrava con fatica nei polmoni. Strisciai oltre la sua figura per riuscire a rimettermi in piedi. C'era un motivo se ero scesa lì sotto, e non sarebbero state le sue angherie a farmi desistere.
«Menya eto ne bolnyet [1]» sparò a secco, «tanto tra poche ore sarai morta».
Proseguii la mia ricerca nel silenzio dei sotterranei, facendomi strada attraverso l'aria umida e pregna di acari. Bastarono alcuni minuti per comprendere che non avrei ottenuto grandi risultati: il patrimonio imprigionato tra le mura del Palast era stipato alla rinfusa, senza alcun criterio che fosse cronologico o alfabetico. Tra antichi codici e libri tradotti in lingue incomprensibili, fra cui molte neanche umane, lo sconforto mi assalì nel giro di poco tempo.
«Cosa cerchi, devochka?»
La domanda di Gorazd saettò attraverso la polvere, come se il mio tentato soffocamento fosse stato solo un prodotto distorto della mente. Sospirai, infastidita. «Qualcosa che parli dello Spirito dell'Oro.»
«Cosa importa a un'umana dello Spirito dell'Oro?»
«Troverei più interessante leggere qualcosa di cui non dovrebbe importarmi piuttosto che conversare con te.» Mi morsi la lingua e alzai lo sguardo al soffitto: per quanto la cosa mi disgustasse, se speravo un aiuto da parte sua non avrei dovuto provocarlo. «E poi sono curiosa» aggiunsi. «Solo curiosa.»
Se c'era una cosa che avevo capito dell'Ombra Bianca, era che sembrava apprezzare particolarmente quella dote.
Gorazd mi venne incontro: «Perché dovrei rendermi utile?».
«Non lo so. Sei qui, ormai. E hai detto che tra poche ore sarò morta, quindi non credo abbia molta importanza.»
Il Viesczy mi scrutò a lungo. «Sei incredibile» proruppe.
«E perché mai?»
«Perché stanotte sarai carne da macello, e tu vuoi leggere.»
Alzai gli occhi fino ai suoi: avrei voluto raccontargli della piena fiducia che nutrivo in Flynn, della certezza che grazie a lui avrei rivisto l'alba sulla mia casa, ma dubitavo avrebbe capito. Gorazd sembrava impermeabile al concetto di fiducia. «Allora, mi aiuti o no?»
Il Viesczy raggiunse la stanza attigua e gli andai dietro. Sondò con un rapido sguardo la libreria che occupava la parete, guidato da segnali invisibili ai miei occhi. Le pupille si bloccarono su un punto: il tempo di un volatile battito di ciglia e lo trovai lì, aggrappato allo scaffale, che si arrampicava con la velocità di un ragno. Rallentò e annusò l'aria: aveva trovato ciò che stavo cercando.
Tornò a terra con un volume dalla copertina squamosa tra le mani, un libro rilegato in cuoio, privo di titolo, colophon o decorazioni sul frontespizio. Me lo spinse contro il petto: «Tieni».
Annichilita da cotanta delicatezza nei modi, sfogliai quello che avrebbe dovuto costituire un esemplare membranaceo, ma di testi, ornamenti e miniature neanche l'ombra. Solo una nota di possesso di un tale Hocus Ravez.
«Piuttosto difficile usufruirne: qui non c'è niente» constatai.
«Una classica trovata di quel topo da biblioteca.»
«Quindi? Cosa dovrei fare?»
«Non c'è modo di leggerlo, a meno che non sia lui a deciderlo.»
Corrugai le sopracciglia: «Il... libro ha una sua volontà?».
«Non dire sciocchezze, Beatricza. Un residuo dell'anima di Ravez si annida nella filigrana. Prova ad appoggiare il palmo della mano sulla prima pagina, se ti riterrà degna condividerà con te il suo sapere.»
«Sì, ovvio. Che stupida» sbuffai, arrendendomi all'ironia.
«In ogni caso, non ci sperare troppo. Ravez era un tipo singolare, schivo e poco propenso a rendere altre persone partecipi del suo lavoro. Se poi si tratta di te, l'impresa è ben più ardua.»
Ignorai l'ultimo insulto e seguii le istruzioni: feci aderire la pelle contro lo strato ruvido della carta erosa dal tempo. Si trattava di semplici fascicoli rilegati, me ne rendevo conto, ma a quel contatto fui percorsa da una strana sensazione: era come se la membrana respirasse. Qualcosa di caldo e invisibile mi si arrampicò lungo il braccio, simulando una leggera scossa elettrica. Poi la scarica d'energia si intensificò di colpo, strappandomi un'imprecazione. Lanciai via il libro, che cadde spalancato a terra.
Gorazd inarcò le sopracciglia e non si espresse, ma mutò radicalmente espressione quando alcune macchie si allargarono sulla carta, trasmutando in frasi di senso compiuto vergate in una versione più leggibile della scrittura carolina. Le pagine scorsero animate da un colpo di vento e si posizionarono all'altezza dell'incipit, il cui titolo recitava: Leggende e misteri degli Infiniti Mondi, a cura di Hocus Ravez. Alchimista, mago, filosofo e appassionato lettore.
«Chi l'avrebbe mai detto.» Il tono del Viesczy grondò di un cinismo e una spocchia capaci di far vibrare il mio sistema nervoso. «Probabilmente ci si ritrova, tra ratti da scaffale.»
Guardai Gorazd, in attesa che aggiungesse altro: invece mi diede le spalle e si allontanò verso l'uscita. Una volta sola, fui pervasa da una corroborante sensazione di sollievo. Andai in cerca di un posto dove potermi stabilire tranquilla a leggere e i miei piedi mi condussero verso scale che scendevano nel sottosuolo.
Sbucai in una sala dal soffitto che si elevava di parecchi metri. La roccia franata, che aveva abbattuto le pareti in più punti, ghermiva nel suo eterno abbraccio le librerie vuote. Aggirai il lampadario staccatosi dal soffitto, un immenso complesso in ferro e specchi polverosi, e presi posto alla tavolata che occupava il centro della stanza, sull'unica sedia rimasta.
Doveva essere stata usata da qualcuno negli ultimi tempi – Gorazd, con ogni probabilità – perché oltre a essere stabile, si trovava nei pressi di una piccola lampada a olio, un acciarino rudimentale e un coltello. Presi questi ultimi due e sfregai il filo falso della lama contro la barra di magnesio, in modo da sprigionare qualche scintilla che andò ad aggrapparsi alla sommità del beccuccio della lampada. Una fiammella vivida s'ingrossò davanti ai miei occhi, creando un alone di luce aranciata sulla superficie del tavolo.
Disposi il libro di fronte a me e girai la pagina. Era bianca, ma una seconda successione di macchie si articolò in una breve domanda: Cosa cerchi?
«Cavolo, meglio di un'enciclopedia» esclamai, sollevando le sopracciglia. «Ehm... Spirito dell'Oro?»
I fogli vorticarono, frustati da un vento invisibile. Saltai sulla sedia, spalancando le palpebre. Le pagine scorsero fino ad arrestarsi sul capitolo che cercavo: sotto al titolo – Spirito dell'Oro e misteri alchemici a esso collegati – figurava la xilografia stilizzata di una viverna che si muoveva attraverso il foglio, nuotando tra i bordi e i paragrafi e scomparendo di tanto in tanto, simile a un girino inseguito dal predatore.
Trassi un profondo respiro e cominciai a leggere:
I draghi, com'è noto, sono creature attratte da ricchezze e potere. Sono furbi, ma la loro intelligenza viene spesso abbacinata da ciò che brilla.
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BAZAL'TGOROD | Città di basalto (Vol. I)
FantasyCOMPLETA | Irlanda del sud, 1953. È il culmine della notte di Lammas quando Beatrice decide di mangiare le primule, "i fiori che rendono visibile l'invisibile". Lanciatasi all'inseguimento di uno Spriggan, un turbine di fate la conduce alle porte de...