La cromatura arroventata dei candelabri permeava la tenda di Gorazd, infrangendosi in cristalli di luce e ombre lungo le pareti di stoffa sufficientemente spessa perché i pochi raggi, che al mattino avrebbero baciato quella landa di desolazione, non vi penetrassero.Al centro, una superficie di legno poggiava sul tronco mozzo di un albero, su cui stavano sparpagliati fogli colmi di appunti e qualche mappa. Mi diressi verso la libreria, un mobile curioso da trasportare in guerra, e feci scorrere lo sguardo lungo il dorso dei volumi su cui comparivano targhette in cirillico.
Gorazd mi affiancò. «Prevedibile, la tua passione per i libri.»
«Presti fin troppa attenzione alle cose che mi interessano. Cosa c'è scritto qui?» Indicai la targa applicata su un volumetto sistemato di traverso sopra gli altri.
«Poučen'e, il "Testamento" di Volodimer Monomach. Un compendio di tattiche militari di ispirazione, oserei dire. Ma immagino che tu non sia pratica di storia russa.»
«Non molto.»
«Le vicende di Volodimer sono redatte nello Slovo o pogibeli rouskyja zemli, il "Canto sulla rovina della terra russa". Qualche secolo fa rubai la copia di un codice, nel Mondo Visibile. È lì accanto.» Gorazd si girò e poggiò la schiena contro lo scaffale, le braccia conserte e le iridi d'ambra che ardevano di aspettativa. «Senz'altro un personaggio interessante. Una figura umana leggendaria che conquistò molte terre. Per tenere buoni i bambini, i Cumani li ammonivano: "Se non fai il bravo, Volodimer verrà a prenderti e ti porterà con sé".»
Inspirai, preferendo ignorare il sorriso che mi rivolse. Cambiavano i tempi e i popoli, ma non certe usanze. Gorazd era stato il mio Volodimer Monomach, da bambina. Accennai a un libro più spesso, dalla ruvida copertina cremisi che non recava alcuna iscrizione. «E quello?»
«Oh, quello. Il "Canto della schiera di Igor".» Il tono del Viesczy mutò e virò verso il distaccato, come se il filo logico dei suoi pensieri stesse intraprendendo una strada che non mi era concesso comprendere. «Trovo che alcuni versi siano a dir poco... profetici. Permetti?» Si schiarì la voce e decantò: «"Ecco i venti, nipoti di Stribog, soffiano dal mare frecce contro le prodi schiere di Igor. La terra rimbomba, i fiumi torbidamente scorrono, le polveri la piana ricoprono. Gli stendardi dicono: i Cumani vengono dal Don e dal mare! E da tutte le parti hanno accerchiato le schiere russe".»
La passione, la rabbia e il trasporto con cui recitò i versi, per alcuni secondi, mi trascinarono verso quella strada: immaginai una vita consacrata a una città che gli aveva dato le spalle, al cameratismo e a un macrocosmo che trovava il suo equilibrio in regole e usanze totalmente diverse da quelle a cui ero stata abituata.
«Ma ora basta parlare di letteratura.» Gorazd si staccò dalla libreria e aggirò il tavolo, fino ad arrestarsi dall'altra parte, dietro lo schienale dello scranno in pelle consunta. «Siediti, Beatricza.»
Presi posto sul cuscino di velluto, stringendo le dita attorno al pezzo di stoffa rossa. «Cosa vuoi?»«Sospetto che una parte di te lo immagini.»
«Piantala con i tuoi dannati giochetti. Mi fai sgattaiolare fuori dal Pinnacolo per fare conversazione?»
«In parte. Sono vent'anni che non ci vediamo, moy rebonok, mi mancava parlare con te.»
Gli scagliai un'occhiata furente e serrai la mandibola. «Adesso basta. È evidente che tu voglia qualcosa da me, o avresti contattato le autorità di Bazal'tgorod.»
Gorazd scivolò attorno al tavolo e si lasciò cadere sulla sedia accanto alla mia. Allungò gli stivali tra le mappe, le dita intrecciate dietro la testa, e rovesciò il capo all'indietro. Il silenzio e il torpore che andarono ad allacciarsi fra loro immisero, all'interno della tenda, un inquietante senso di familiarità.
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BAZAL'TGOROD | Città di basalto (Vol. I)
FantasyCOMPLETA | Irlanda del sud, 1953. È il culmine della notte di Lammas quando Beatrice decide di mangiare le primule, "i fiori che rendono visibile l'invisibile". Lanciatasi all'inseguimento di uno Spriggan, un turbine di fate la conduce alle porte de...