Le rose possono sbocciare nella neve?Me lo chiesi, accarezzando i petali.
I piedi mi portarono nel giardino sul retro, quello che si affacciava sul lago, fra statue pietrificate nei loro ultimi aneliti alla vita, donne dormienti e strane creature di marmo. Avrei voluto conoscere meglio la storia di quel posto, trovare risposte alle domande che, per anni, mi ero posta su quello che viveva lì, nel mezzo, incastonato fra dimensione fisica e onirica.
Tra i canali essiccati che serpeggiavano tra le aiuole sorgeva un piccolo circolo di colonne sormontate da una cupola. La cupola stessa era attraversata da una crepa profonda, una ferita mai rimarginata. Sotto, sul podio, sedeva la statua di un uomo.
«Gorazd?»
La statua alzò il capo e mi guardò. I suoi occhi indugiarono sulla rosa che stringevo fra le dita e le radici avvolte attorno alla chiave.
«La tua ostinazione è sorprendente» sancì, monocorde. «E così, l'hai trovata.»
«Non ne sembri sorpreso.»
Gorazd scosse la testa e deviò i suoi occhi incandescenti altrove.
«Sapevi dove fosse sepolta» dedussi, raggiungendolo con andatura studiata. Non volevo che, da un momento all'altro, perdesse le staffe. In fondo, poche ore prima aveva accarezzato l'idea di uccidermi. «Perché non l'hai usata?»
Ricevetti un cupo silenzio in risposta. Il canto dei corvi appollaiati in cima alle teste delle statue fu quanto riuscii a ottenere.
«Gorazd» sospirai, azzardando un altro passo. «Non mi hai raccontato la tua storia. Non mi hai parlato di questo posto, delle statue, del perché tu sia qui. In fondo, cos'hai da perdere? Siamo solo noi.»
«Eppure è scontato, malen'kaya myshka.»
«Cosa significa?»
«Piccolo topo.»
Strinsi la rosa sul grembo, una scialba ricerca di conforto in quelle spine. «Non hai mai usato il mio nome.»
«Sì che l'ho fatto, Beatricza.»
«Beatrice» lo corressi. «In ogni caso, cosa significa che 'è scontato'?»
Gorazd alzò il mento e rilassò le palpebre a mezz'asta, le labbra distese in un sorriso che, per quanto calmo, mi trasmise una brutalità ancestrale. «Che questa sia una prigione. Gwen, la strega che vive nei cespugli di rose, è lei che ci trasforma e custodisce.» Mi guardai attorno, sentendomi improvvisamente più osservata di prima. «Oh, lei non si mostra spesso. Bisogna saperla chiamare.»
Una prigione. In fondo, la cosa non avrebbe dovuto sorprendermi più di tanto: avevo toccato un campo di forza, quel qualcosa che ci rinchiudeva lì, in una gabbia d'oro destinata a sgretolarsi.
«Aspetta, vi... trasforma?»
«Le statue, moy rebonok.»
Le statue erano di marmo, ma... c'era qualcosa di profondamente vivo, in loro.
«Se non le guardi, loro si muovono. Molte si trovano nel campo visivo di altre prigioniere, e sono destinate all'immobilità.»
Mi tornò in mente il rospo, il gracidare che mi aveva illusa, la sensazione che qualcuno mi stesse osservando. «Ma tu... perché non sei come loro?»
Un battito di palpebre dopo, Gorazd torreggiava su di me con i canini sguainati in un sorriso lugubre. «Perché non si può privare della vita qualcosa che non l'ha mai posseduta. Quindi Gwen, quella suka decrepita, mi ha tolto questo.» Mi prese la mano e mi forzò a poggiarla sulla serratura. «Il processo non poteva completarsi, considerata la mia natura. Ma sono stato fortunato: non è una maledizione. Mi impedisce di coltivare l'odio, di provare rancore, di soffrire la solitudine e la noia.»
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BAZAL'TGOROD | Città di basalto (Vol. I)
FantasyCOMPLETA | Irlanda del sud, 1953. È il culmine della notte di Lammas quando Beatrice decide di mangiare le primule, "i fiori che rendono visibile l'invisibile". Lanciatasi all'inseguimento di uno Spriggan, un turbine di fate la conduce alle porte de...