La stanza dove mi scortarono aveva pianta circolare, con il pavimento piastrellato di cremisi e le pareti e i mobili scuri. Scuro era anche il tavolo esagonale a cui ci sedemmo, Zeknerj su una poltrona intagliata nel mogano e decorata con pietre rosse e frammenti di agata nera. I candelabri intrisi di polvere inondarono la stanza con la loro luce lugubre, gettando ombre che si distorsero sulle pareti.
«Prima di cominciare, potrei avere l'onore di sapere con chi ho a che fare?» chiesi, sforzando di mantenermi cordiale all'indirizzo del Viesczy che si era unito a noi.
«Ivan il Freddo, väringr delle armate, nonché mio fratello minore.»
Ivan rimase impassibile alle parole del knjaz, gli occhi immobili su di me dietro le ciocche d'inchiostro che gli colavano sulle palpebre.
«Una perifrasi per dirmi che sarebbe meglio farmelo amico?» azzardai.
«Sei qui per uno scopo ben preciso, non per intavolare conversazioni da salotto. Chi sei? Perché sostieni che Gorazd debba avere qualcosa a che fare con te?»
Percepire il piglio predatorio del principe assieme a quello del väringr generò un annodamento di viscere simile a quello che avevo provato nella sala del trono. Non avrei saputo descriverlo con precisione, ma era come se l'occhio bianco del knjaz stesse serrando il mio cuore in una morsa d'acciaio.
Zeknerj notò il picco d'ansia che aveva fatto impennare il mio battito cardiaco, senza sforzarsi di reprimere il sorriso. «Le creature come te sono sensibili allo sheptat', il sussurro. È una lieve forma di ipnosi, mi è utile a capire se stai mentendo. La paura artificiale è solo un... effetto collaterale.»
Mi mossi sulla sedia, a disagio. Non avevo tempo per quei sudici trucchetti, ma immaginavo fossero parte delle condizioni.
«Il mio nome è Beatrice Connmhaigh e provengo dal Mondo Visibile.» Attesi che la notizia raggiungesse i noduli della loro consapevolezza. «Vent'anni fa fui catturata da Gorazd. La sua ombra incombeva da tempo sul mio paese, ma da dove provengo io si tende a non... credere nelle storie. La mia famiglia è diversa, noi sapevamo che qualcosa stava accadendo nella foresta. Mi sono imbattuta in lui, mi ha attirata nella Casa.»
«Hai incontrato l'izgoj.» Fu Ivan il Freddo a parlare. Il suo intervento fu evanescente quanto il termine di un sogno.
Annuii.
«Un'umana con l'Osservare» disse Zeknerj. «Non so molto di voi, siete una leggenda antica che non ha mai sfiorato questi luoghi. Come hai fatto a raggiungere il nostro mondo?»
«Primule. È una lunga storia» scrollai le spalle. «Ad ogni modo, come sarà evidente, sono riuscita a fuggire.»
Il knjaz accavallò le gambe, si sfiorò la tempia e mi fissò a lungo. Non mi piacque il suo silenzio. «Sì, è proprio questo che non torna.»
«Cosa intendete?»
«Sei riuscita a fuggire. Nessuno fugge da Gorazd e dalla prigione della strega di sambuco. Tu...»
«Ho fatto un patto. Con Gwen.»
Tacqui, in attesa.
Zeknerj non si era dimostrato amichevole nei miei confronti, fino a quel momento, ma appena terminai la frase il suo volto cambiò: la pupilla, l'unico baluardo di colore all'interno dell'occhio in grado di provocare lo sheptat', scomparve. Al suo posto, nient'altro che la sclera, bianca e lucida. Avvertii una costrizione invisibile premermi contro la gola, impedendomi di respirare con regolarità.
«Non sono stata la prima a lasciare quel luogo» continuai. «Flynn barattò la sua forma umana per la libertà, in passato. Io ho barattato la rottura della barriera che impediva a Gorazd di uscire e la mia autonomia. Siamo... connessi.» Presi il loro silenzio come un invito a proseguire il racconto, con la difficoltà e la riluttanza di chi se lo lascia strappare, parola dopo parola, di bocca. «Sono condannata a fuggire fino al giorno in cui mi ucciderà. Quando accadrà, otterrà il suo cuore e i suoi pieni poteri.»
Zeknerj strinse la sommità dei braccioli, conficcando gli artigli ricurvi nel legno. La pressione esercitata sulla superficie disincastrò le schegge, che andarono a piantarglisi con forza sotto le unghie.
Il knjaz scoprì le zanne: «Mi stai dicendo che l'izgoj è a piede libero e sta minacciando il mio regno per colpa di una fottuta mocciosa e dei suoi fiori».
Non fu una domanda. Il Viesczy aveva tratto le sue giuste conclusioni: la colpa, fin dal principio, era stata mia. E non era passato un singolo giorno senza che quella sensazione mi divorasse dall'interno, simile a un verme che scava con disperata devozione nel terriccio.
«Dovremmo anche tenerti sottochiave, immagino» sbraitò il knjaz, sbattendo il palmo contro il tavolo. Dal fulcro della zona colpita si diramò una raggiera di crepe. «Se qualcuno ti uccidesse, la maledizione dell'Ombra Bianca si spezzerebbe. È da considerarsi una fortuna che una... cosa fragile come te sia ancora in grado di respirare.»
Sarà stato il groppo che mi aveva annodato le corde vocali, o l'incombere dello sheptat' sui miei nervi tesi, ma la forza delle parole che premevano dal fondo della mia mente scardinò l'ultimo barlume di volontà.
«Non ho bisogno di alcuna protezione» proruppi. «E non c'è pericolo: deve essere Gorazd a uccidermi. Se lo facesse qualcun altro, lui non avrebbe alcuna possibilità di rompere la maledizione di Gwen.»
Io e il knjaz ci guardammo. Il Freddo, che fino a quel momento era rimasto immobile quanto una statua di sale, ruotò lentamente il capo verso di me. Per un attimo ebbi l'impressione di sentirlo cigolare, un meccanismo arrugginito che riprende a funzionare dopo molto tempo.
Il volto del knjaz si rilassò, assumendo una connotazione sinistra. «In poche parole, la soluzione è semplice: toglierti di mezzo ci faciliterebbe le cose.»
Il tempo si cristallizzò. Ma, come si soleva dire, les jeux sont faits.
Balzai in piedi e mi slanciai in direzione della porta, e forse sì, dovevo ammetterlo, non ero la più abile delle mediatrici.
Un istante prima che sfiorassi la maniglia, una forza prorompente mi ghermì per il collo e mi sollevò da terra. Il respiro mi si mozzò in gola, mentre i miei piedi scalciarono a vuoto e le mie dita tentarono, invano, di allentare la presa. Zeknerj, dietro di me, il braccio teso verso l'alto, spostò la mia visuale verso il centro della stanza. Cincischiò qualcosa in russo all'indirizzo del fratello che, alzatosi, sfilò lentamente quelle insolite spade dai loro rispettivi foderi.
Un'ondata di frustrazione mi pervase il corpo: non poteva finire in quel modo, uccisa per mano del nemico del mio nemico. Non aveva senso, non era giusto e, a essere onesta, trovai la prospettiva piuttosto deprimente. Dovevo fare ancora tante, troppe cose, per permettere che il mio errore mi costasse la vita prima che quella storia fosse finita.
Distesi le dita e, lasciando che il tepore fluisse attraverso il sistema arterioso, le prime ciocche si librarono in languidi ghirigori, a ricalcare l'andamento delle serpentine di fumo.
Zeknerj sussultò e caricò il pugno che mi avrebbe spezzato la schiena.
Serrai i denti. Era necessario trattenersi dallo scatenare il disastro che mi aveva portata alla morte apparente, ma il flusso fu comunque così potente che desistei dal proposito e chiusi gli occhi, poco prima che scorgessi il volto del minore dei Viesczy contrarsi in un lieve accenno di confusione.
L'onda d'urto che si sprigionò attorno a me bastò a far demordere la presa immateriale del knjaz. Crollai a terra: non ero stanca, mi sentii perfettamente in forze, ma c'era qualcosa di diverso nel mio cuore. Era leggero, quasi dovesse librarsi da un momento all'altro, carico dell'ultima stilla di energia vitale.
Ce l'avevo fatta.
Quando risollevai le palpebre, Zeknerj e Ivan erano intrappolati nella ragnatela di possenti radici che li aveva incollati alla parete, impedendo loro anche il minimo movimento. Abbassai lo sguardo sul pavimento: i rami, i rovi, serpeggiavano fuori dalle faglie che avevano spaccato il marmo cremisi.
Drizzai la schiena, ansimando.
«E questo?» ruggì il knjaz. «Sai che è tutto inutile, vero?»
Il rancore ribollì nella pupilla bianca. Ivan il Freddo, invece, palesò tutt'altra mimica: benché spiazzato non mi sarei stupita se, da un momento all'altro, avesse sorriso. Anche se dubitavo che uno come lui ne fosse in grado.
Mi spazzolai le rotule e rifilai loro un'occhiata. «Questo è il segno che, se proprio dovrò morire, ho intenzione di farlo combattendo al fianco dei popoli di cui sono portavoce e del vostro, e non in una stanza sperduta nella roccaforte di Bazal'tgorod. So che non avreste alcuna difficoltà a liberarvi, ma ascoltatemi.»
«Come potete fare questo?»
Deviai l'attenzione su Ivan, che mi scrutò con l'ultimo barlume di ciò che avrebbe dovuto trovarsi sul suo volto cereo: meraviglia. Un'emozione che strideva terribilmente considerando che, se fosse rimasto immobile e in silenzio, sarei riuscita a scambiarlo per una delle statue demoniache che sorreggevano le trabeazioni del soffitto.
«Suppongo di esserne sempre stata in grado. Non sono molto brava a gestirmi, comunque.»
«Il vostro cuore è debole» constatò.
Immaginai che il väringr potesse udire lo sfarfallio di quei battiti che stavano recuperando vigore.
Scossi la testa: «Non è importante».
«Hai ragione, non lo è.» Zeknerj snudò le zanne e si sciolse sul pavimento, per poi ricomporsi di fronte a me: «Scusati, ragazzina. Fallo nei prossimi dieci secondi e potrei concederti il lusso di conservare un braccio.»
«Zek.» Ivan inclinò il capo verso il knjaz: le vene lungo il collo di quest'ultimo si erano ingrossate per lo sforzo. «Zek, ascoltami.»
«Che vuoi? E perché parli la sua lingua?»
«Voglio che ci capisca.»
Il knjaz si arrese e, con riluttanza, concesse contatto visivo al fratello.
Ivan si schiarì la voce. «La signorina è un'umana che ha viaggiato attraverso i mondi, è riuscita a tener testa e sopravvivere all'Ombra Bianca, padroneggia la magia e, nel caso non l'avessi notato, ha messo a tacere il governatore e il primo stratega di Bazal'tgorod al primo colpo.» I due si scambiarono una lunga occhiata. «Non so tu, ma a me piace.»
Zeknerj socchiuse le palpebre: «Vorresti risparmiare la fonte di ogni nostro problema, colei che ha dato via a questa estenuante concatenazione di eventi che potrebbe portare la fine del nostro regno, perché ti piace». Ora che aveva le mani libere, mimò il gesto delle virgolette.
«Sì» rispose il väringr.
«Da quando sei diventato quello avventato, tra i due?»
«Non sono avventato.»
Assistere a quella conversazione, facendo rimbalzare lo sguardo dall'uno all'altro, iniziava a farsi esilarante.
«Tuttavia, la ragazza ha dimostrato di essere disposta a rimediare battendosi per noi. Ricordi cosa recita il Codice?»
Zeknerj si irrigidì, prima di roteare gli occhi. «Tu e il tuo dannato Codice, per Veles in gonnella.»
«"Un guerriero non negherà il sentiero della redenzione a un altro guerriero"» recitò Ivan, con una solennità che mi strappò un brivido. Il Viesczy posò le iridi color china su di me: «Voi siete una guerriera, Beatrice?».
Gelai sul posto e trattenni il respiro. «Non... non saprei, io...»
«Però dovreste sapere che il guerriero non è colui che brandisce la spada.»
Zeknerj alzò gli occhi una seconda volta, astenendosi dal commentare. Mi sfuggì un balbettio, mentre arrossivo visibilmente: «Ho sentito una sciocchezza simile da qualche parte».
Ivan annuì con convinzione. «Bene. Brat'» apostrofò suo fratello, «la ragazza ha riunito popoli che ci sono stati ostili per troppo tempo. Non credo sia saggio fare appello all'orgoglio, quando si trasforma in stupidità. Sai anche tu che rimanere soli potrebbe essere la nostra rovina».
Il knjaz si incupì e se ne stette lì, le sopracciglia aggrottate e il capo incassato fra le spalle possenti. Dal suo silenzio, dedussi che si stava verificando una furiosa battaglia dentro di lui. Fu come assistere al dialogo tra una bestia assetata di sangue e la sua coscienza.
«Nostro padre non lo avrebbe voluto.»
«Ah, no. Non farlo. Non tirare in ballo quel vecchio folle che continua a crearci problemi anche da morto.»
Ivan lo fissò così a lungo che riuscì a convincere persino me.
Zeknerj rovesciò il capo e affondò il volto tra le mani, liberando un verso frustrato che mal si addiceva a un sovrano. «Devo essere impazzito» sbuffò, e abbandonò le braccia lungo i fianchi. «Mi auguro che i cancelli di Svarga siano aperti, ma che dico, spalancati per noi, Ivan.»
«Questo sarà il nostro modo di guadagnarci l'ingresso. E prometto» dichiarò, focalizzandosi su di me, «di proteggervi affinché riusciate nel vostro scopo. Voi non morirete in queste terre».
Zeknerj osservò suo fratello come se fosse completamente uscito di senno, ma lasciò cadere qualunque considerazione per squadrarmi da capo a piedi e contorcere le labbra in una smorfia svogliata. «Hai la mia parola, ragazzina, che non ti verrà fatto alcun male. E che i hrabry, i membri armati di Bazal'tgorod, si uniranno alla maledetta Pentapoli per contrastare l'avanzata dei traditori.»
Prometto.
Hai la mia parola.
I Viesczy avevano appena stipulato un contratto vitale con me.
Gioii in silenzio, beandomi del tepore che mi sbocciò al centro del petto. Non potevamo cantare vittoria, non ancora, ma ero consapevole di aver fatto qualcosa di importante.
«Adesso metti in ordine, cazzo!» latrò il Viesczy, sottraendo un sorriso arcaico al väringr. «E vedi di non distruggermi il palazzo mentre sei qui.»
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BAZAL'TGOROD | Città di basalto (Vol. I)
FantasyCOMPLETA | Irlanda del sud, 1953. È il culmine della notte di Lammas quando Beatrice decide di mangiare le primule, "i fiori che rendono visibile l'invisibile". Lanciatasi all'inseguimento di uno Spriggan, un turbine di fate la conduce alle porte de...