Le accelerazioni cardiache, quell'ossessionante percuotere contro le pareti del cranio, sovrastarono il rintronare dell'uragano che piovve sulla Foresta Nera: migliaia e migliaia di dardi d'acqua andarono a conficcarsi nel suolo e si infransero contro la mia pelle, trascinando con sé il sangue che andò a nutrire la terra.
Una scarica di dolore si sprigionò dalla base della schiena: un istante dopo, stavo ruzzolando sul prato fradicio di pioggia. Mi fermai quando Gorazd piantò la suola dello stivale contro la laringe, mozzandomi il respiro.
Ansimai male, il fiato come lava che fluiva attraverso la trachea, tra gemiti e gorgoglii strozzati.
Il tuo corpo è una macchina, un complesso di cavi in cui scorre la linfa che ti tiene in vita.
Il Viesczy allentò la pressione quando ormai ero sul punto di soffocare e si chinò, analizzandomi con passivo interesse.
«Alzati» disse.
Cercai di eseguire l'ordine, ma mi assestò un calcio in pieno viso: qualcosa di bollente e denso sgocciolò dal naso e mi inondò la bocca, colmandola col suo sapore ferruginoso.
Sei la caldaia centrale, una batteria carica a cui l'universo attorno a te può connettersi, e che tu puoi controllare.
Gorazd si accovacciò accanto a me, affondò il dito nel sangue che mi imbrattava il volto e se lo avvicinò alle labbra, succhiandolo come un bambino che ripulisce la ciotola dall'impasto per la torta.
«Sei deliziosa.»
«Va' all'inferno.»
«Certe parole non dovrebbero uscire dalla bocca di una devushka come te.»
Smisi di respirare.
Percepii qualcosa di insolito, come se una sostanza in bilico tra lo stato liquido e aeriforme, calda e leggera, stesse scivolando via dal mio cuore e, dopo essersi immessa nell'aorta, nelle arterie e nelle vene, avesse intrapreso il suo percorso all'interno del corpo insieme ai globuli rossi.
Tenni gli occhi aperti verso il cielo, le mani aggrappate all'erba sottostante, e se anche non guardai direttamente il Viesczy mi bastò ascoltare la sua voce per capire che stava sorridendo: «Ci sei arrivata, Beatricza».
Sognavo spesso il giardino innevato, le statue di angeli piangenti e le rose che sbocciavano nella neve.
E mi svegliavo nel cuore nella notte con la sensazione che le ombre dei mostri si fossero appena ritirate sotto il letto.
Ma non era un sogno: tu eri con me.
Il tepore si dilatò al di sotto della pelle, arrivando a convergere fino alle punte dei piedi e delle mani. Sputai una colata ferrigna nell'erba e mi tirai a sedere, sopprimendo la fitta di dolore che scaturì dal fianco: «Come...?».
«La vecchia non te l'ha insegnato? "Se noi non vediamo loro, loro non vedono noi". Eppure, alimentare l'Osservare mangiando primule ti piaceva tanto, non è vero?»
«Che cosa?»
«Oh, dolce Beatricza, è così facile violare la mente di un bambino.» Gli occhi del Viesczy si illuminarono, tanto da trasmettermi l'eccitazione e la felicità che, tanti anni prima, avevo provato nel giorno di Natale alla notizia che avrei ricevuto l'edizione illustrata delle favole dei fratelli Grimm. «Gli occhi degli umani con l'Osservare sono delle porte aperte sulla vostra realtà, e i tuoi sono stati gli unici a cui potevo accedere durante i miei ultimi anni di prigionia. Rosaline era ormai un involucro decrepito e poco interessante, ma tu... tu eri una creaturina dalla mente elastica, così curiosa di tutto ciò che ti circondava, che rincorrevi gli spiriti e non facevi che chiedere, chiedere, chiedere senza essere mai satura, ogni giorno sempre meno cittadina del tuo mondo e più vicina al mio.»
Gli artigli del Viesczy si chiusero attorno al mio polso e fu con un movimento fluido come l'acqua che mi ritrovai in piedi, avvinta dalle sue braccia, guidata in una danza senza musica.
«Ho abitato la tua splendida mente e i tuoi sogni, mi sono nutrito dei tuoi incubi e ho sfiorato la parte più oscura di te, quella che probabilmente non immagini neanche di possedere.»
Poggiò la mano contro il fianco per condurre meglio.
«E, Beatricza» bisbigliò, «mia cara, meravigliosa, eterna bambina, per il sospiro di sollievo che mi hai concesso, anche se breve, io devo ringraziarti». Mi attirò a sé. «Grazie. Grazie, davvero: ti porterò sempre con me.»
La lugubre luce che irrorava i suoi occhi mi abbagliò con il suo folle entusiasmo. Fu così che, nel dolore e nella rabbia, sputai: «Sei disgustoso».
Flynn, dove sei?
Una forza sovrumana mi sbalzò lontano. Rotolai per un paio di metri, grattando la faccia contro il terreno. Lo vidi avanzare nel vento e nella tempesta, il volto bianco illuminato dalle folgori che detonavano nella notte. I soldati nazisti non erano mai approdati sulle nostre coste, ma mio padre aveva raccontato di loro. In quel momento, pensai quanto la sagoma di Gorazd che si faceva strada nel buio coincidesse con la visione distorta che si era plasmata nella mia mente.
«Ho appena iniziato» sbraitò. «Abbiamo altre quattro ore prima dell'alba. Non puoi crollare adesso!» Calò l'anfibio sulla mia schiena con una violenza tale che temetti l'avrebbe spezzata come un ramo secco. «Se aspiri a diventare una guerriera, devi alzarti. Alzati e combatti, suka irlandese.»
Mi issai sulle braccia tremanti.
Immagazzina quell'energia. Quando il serbatoio sarà pieno, potrai fare grandi cose.
Alzati e combatti, suka irlandese.
STAI LEGGENDO
BAZAL'TGOROD | Città di basalto (Vol. I)
FantasiaCOMPLETA | Irlanda del sud, 1953. È il culmine della notte di Lammas quando Beatrice decide di mangiare le primule, "i fiori che rendono visibile l'invisibile". Lanciatasi all'inseguimento di uno Spriggan, un turbine di fate la conduce alle porte de...