21 - NON IMPLORARE

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Una cantilena stridula, di cui non riuscii a cogliere il significato, smosse le falde dei tendaggi conducendo con sé il gelo delle steppe. La filastrocca russa arrivò a lambirmi il lobo, sibilata con la disturbante mollezza di una serpe che incanta la preda.

Schiusi le palpebre nell'oscurità: qualcuno aveva aperto la finestra.

La mia mente si scrollò di dosso la catartica sensazione di intorpidimento, tanto da permettermi di radunare la coscienza necessaria a capire che Flynn non fosse lì. Sentii il fruscio di un'ombra muoversi per la camera, invece, e il freddo della lama d'acciaio che avevo sistemato sotto il cuscino lambirmi i polpastrelli.

Uno.

L'ombra scivolò lungo la parete.

Due.

Strisciò fino ai piedi del letto.

Tre.

Chiusi la presa attorno all'elsa del pugnale, lo sfilai di scatto e mi tirai a sedere, un urlo feroce bloccato in gola. Non lo liberai: se l'avessi fatto, qualcuno sarebbe accorso in camera, e per qualche motivo sapevo di non volere che accadesse. Rimasi in quel modo, in una situazione di stasi, le braccia tese e la sommità dell'arma puntata in mezzo agli occhi dell'ombra accucciata sulle mie gambe.

«Non sei lui.»

Il mio tono tradì una delusione che non avrei dovuto provare, scevra dell'armatura di innocenza che avevo indossato all'inizio di quel folle volo nell'Invisibile. Non ne era rimasto neanche il ricordo. L'essere che mi sostava di fronte, i palmi rinsecchiti poggiati contro il materasso e le gambe rachitiche piegate come quelle di una rana pronta a spiccare un balzo, era un involucro di pelle appiccicata alle ossa in grado di contenere a stento la vita che lo animava. Un drappo di stoffa logora lo avvolgeva e terminava con un cappuccio che ricadeva fiaccamente sul capo, adornato da una corolla di ciocche madide e scure.

Mi fissò, tremando, e le iridi color melma scintillarono alla radiazione della Luna.

Lo agguantai per il lembo della mantellina e lo strattonai verso di me, il coltello premuto contro il collo sudicio di polvere. «Chi sei?» L'omuncolo produsse un gemito strozzato e ansimò, investendomi con una mitragliata di respiri fetidi: «Parla, bestiaccia, se non vuoi che ti strappi la lingua».

Le labbra riarse della creatura si schiusero, rivelando una chiostra di minuscole zanne erose dagli anni. «Perdonatemi, signorina» rantolò, «non sono qui per farvi del male».

«Lo spero per te. Chi sei?»

L'omuncolo deglutì. «Kozu, disonorevole membro del clan Vurdalak.»

Corrugai le sopracciglia e mi ritrassi lentamente, in modo tale da inginocchiarmi sul letto. «Quindi non sei un Viesczy.»

«No, signorina.»

«Ho sentito parlare dei vostri clan. Se non sei un Viesczy, che ragione hai per essere qui, nella mia stanza, a quest'ora della notte?» Posai lo sguardo sulla zanna spezzata che sporgeva dal labbro superiore. «Tu non fai parte del Pinnacolo e non vieni nemmeno dalla città.»

Kozu scosse con circospezione la testa e strinse le coperte tra i lunghi artigli.

«Vieni dall'accampamento degli Izgoi

«Sì.»

Trassi un respiro e lo trattenni nei polmoni. «Dammi un solo motivo per cui non dovrei ammazzarti adesso, schifoso animale.»

Il Vurdalak si rattrappì su se stesso e appoggiò la fronte contro il materasso, le mani giunte in una supplica silenziosa. «Speravo che poteste ascoltarmi. È il mio padrone, che mi manda.»       
Il mio cuore mancò un battito e la pressione sull'elsa del pugnale si intensificò: «Gorazd».

BAZAL'TGOROD | Città di basalto (Vol. I)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora