trentaseiesimo capitolo

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Quando scesi le scale al suono del citofono sentii la casa più vuota, spoglia e fredda del solito.
Mamma non era spesso in casa a causa del lavoro, quando tornava cercavamo di passare più tempo possibile con lei, perché non succedeva spesso che potesse tornare a casa.
Papà se ne era andato da quella casa qualche anno prima. Ero nel secondo anno della scuola media quando lo avevo visto con un borsone in spalla e una valigia che trascinava giù per le scale facendola sbattere a destra e a manca come se volesse attirare l’attenzione.
Ricordavo perfettamente l’odore di torta in cucina che mi svegliava ogni mattina quando io e Luke facevamo a gara per arrivare al piano di sotto per prendere il primo spicchio di torta fumante.
Non mi importava di essere considerata una totale perdente a scuola, perché la mia famiglia mi teneva in piedi con l’amore e le attenzioni che dedicavano ai piccoli di casa.
Luke era ancora un bambino, indossava le uniformi prima di uscire e un apparecchio color ferro che tintinnava contro il cucchiaino che si portava alla bocca dopo aver girato lo zucchero nel latte caldo che nostra madre preparava ogni mattina prima di lasciarci con un bacio e andare a lavorare.
Era papà ad accompagnarci a scuola ogni mattina, ci lasciava correre via dalla macchina solo dopo essersi assicurato che avevamo la merenda con noi e ci salutava da lontano prima di mettere in moto la sua enorme auto grigio scuro.
Mi ricordavo ancora le domande che ponevo a mamma quando papà tornava sempre più tardi e dimenticava di venire a prenderci a scuola, mi ero iniziata a preoccupare, ma la casa profumava ancora di torta, quindi pensai che non era niente di grave.
Il giorno che lo trovai con la valigia contro la porta sentii puzza di bruciato e capii che una torta si stava rovinando nel forno esattamente come la nostra famiglia.
Mia madre passò un periodo di depressione prima di scegliere un altro lavoro che le permetteva di viaggiare e di passare molto tempo fuori da quella casa che ormai cadeva a pezzi e sapeva di vecchio. Non le interessava passare del tempo con me e Luke, perché la voglia di scappare dai ricordi era più forte di qualsiasi sentimento.
Mi ero rifiutata di vedere mio padre, ero costretta a passare del tempo con lui solo quando io e Luke eravamo spediti a Natale a casa sua, ma la sceneggiata era durata solo un paio di anni, perché crescendo avevo capito che non volevo aver niente a che fare con lui, che negli ultimi tempi si faceva sentire solo quando io e Luke facevamo qualcosa di grave che mia madre non sapeva gestire da sola.
Stavo bene senza la sua presenza in casa, mi ero abituata ad accettare la mia vita autonoma quando, iniziate le superiori, potevo farmi accompagnare dai miei nuovi amici più grandi a scuola. Mi ero anche promessa che dal primo giorno di superiori in poi mi sarei occupata del profumo in casa, perché una casa senza odori equivale solo a quattro mura arredate decentemente.
Il profumo di vaniglia in quel momento però non era la mia priorità, era già difficile saper gestire la mia vita fuori da quella casa o con Luke.
Scesi l’ultimo gradino e riecheggiò nell’aria un inquietante silenzio.
Quando aprii la porta e mi trovai Madison davanti rimasi un attimo sorpresa, ma sempre contenta di vederla lì.
‘hey’ sorrisi.
‘ciao’ disse lei agitando debolmente la mano prima di abbassare lo sguardo pensierosa.
‘a cosa devo questa visita?’ mi appoggiai allo stipite della porta.
’ce l’hai una sigaretta per me?’
La guardai confusa. Da quando fumava?
‘io.. immagino di si..’ risposi tentennante prima di afferrare il pacchetto nella borsa buttata a terra dietro alla porta.
Uscii in giardino accostando la porta e lei mi seguì in silenzio.
‘come ti va la vita?’ mi guardò con i soliti occhioni dolci.
‘potrebbe andare meglio’ annuii tra me e me mentre le accendevo la sigaretta e gliela passavo. Lei la guardò confusa e poi guardò me.
‘Marlboro rosse?’
‘ho bisogno di roba più pesante delle winston’
‘sono quelle che fuma Ashton?’
‘già, sono proprio quelle.’ Risposi facendola passare per una casualità.
Lei fece spallucce e continuò a fumare tossendo qui e lì.
‘allora, da quando fumi?’
‘non fumo, lo faccio solo quando sono nervosa.’ Rispose.
‘motivo?’
‘eh?’ mi guardò alzando un sopracciglio.
‘perché sei nervosa?’ chiesi specificando.
‘è che..’ si grattò la nuca ‘è tutto troppo strano qui.’
Annuii. Era decisamente tutto troppo strano lì.
‘Ah, stamattina Ashton mi ha chiesto di salutarti quando gli ho detto che sarei passata qui.’
Sospirai in silenzio appoggiandomi a un albero lì vicino.
‘non sono venuta a scuola per una mattinata, non per una vita.’
‘lo so.’ Rispose fredda.
Quella conversazione era botta e risposta, nessuna di noi sapeva cosa chiedere in realtà.
‘sono venuta qui per dirti una cosa, effettivamente.’ Si fece seria e determinata improvvisamente e io rimasi agghiacciata nel vedere quel cambiamento repentino davanti ai miei occhi.
‘Cassie, non so cosa sta succedendo, ma questa situazione non mi piace. Non ti riconosco più.’ Buttò la sigaretta ‘un tempo ti importava che tuo fratello stesse bene, ma adesso sta male e non stai facendo nulla per lui.’
‘non dorme qui da un po’ ammisi.
‘I ragazzi non parlano e non sto dicendo che è colpa tua.. ma..’ si bloccò alzando lo sguardo.
‘ma lo è.
‘beh, sì’
La verità, che già mi avevano sbattuto in faccia più volte, mi investì ancora una volta, lasciando la sua coltellata nell’esatto punto delle precedenti, rendendo così la ferita più profonda.
Lei notò il mio disagio.
‘non capisco cosa siano tutte queste bugie, ma capisco che in gran parte vengono da te e dai tuoi giochi.’ Continuò ad infilare la lama.
non sto giocando, Madison’
‘sei comunque al centro dell’attenzione a scuola, quindi il tuo gioco sta funzionando.’ Sputò veleno.
‘tu pensi davvero che io stia facendo tutto questo per un po’ di attenzione?’ La guardai sconvolta non aspettando un’opinione del genere da parte sua.
Lei stette in silenzio, poi dopo qualche minuto parlò.
‘è tardi’ annunciò ‘devo vedermi con Helena per il progetto.’
‘da quando siete così amiche?’
‘da quando sembra la persona più sincera qui.’ Rispose brusca.
Helena e Charlie erano riuscite nella loro missione, ora anche Madison la riteneva sincera quando era la più bugiarda e meschina.
Mi morsi la lingua prima che potessi dire qualcosa che mi sarebbe risultata scomoda ed abbassai lo sguardo.
‘si è fatto tardi, è meglio che tu vada.’ Dissi prima che Madison si allontanasse lentamente da me.

Non misi piede a scuola neanche il giorno dopo ed aspettai Luke tutto il giorno seduta per terra davanti all’ingresso. Mi risvegliai alle due di notte sempre in corridoio e mi alzai da terra.
Dopo essermi scolata una bottiglia di birra sopra alla batteria di Ashton ed essermi fumata due canne sullo sgabello di Luke decisi che dovevo probabilmente smetterla di restare in cantina a luci spente, così salii in camera e mi buttai sul letto.
Mi rigirai tra le coperte quando mi bloccai a causa di un odore troppo familiare che mi arrivò alle narici.
Il profumo di Ashton fu il primo che riconobbi quel giorno.
‘Ashton’ mi alzai dal letto urlando il suo nome a squarciagola.
‘Ashton’ urlai ancora una volta inciampando sulle coperte appallottolate a terra e caddi sbattendo il braccio.
Mi rialzai con fatica e scesi le scale continuando ad urlare il suo nome.
Quando realizzai che ero sola e il buio mi stava soffocando tornai in camera e composi il suo numero aspettando che rispondesse.
Erano circa le tre e mezza del mattina e il buio fuori dalle finestre mi spaventava più del dovuto. Scesi le scale ed uscii di casa non sapendo dove fossi diretta.
Presi la macchina e mi diressi diretta a casa di Ashton evitando qualche macchina nelle vicinanze e correndo un po’ troppo.
Quando arrivai sotto casa sua citofonai.
Non sapevo il motivo che mi aveva spinta lì, avevo solo bisogno di non restare sola e lui era l’unico di cui mi fidassi.
Bussai un paio di volte e mi sedetti su un vaso lì davanti.
Dopo qualche minuti apparve davanti ai miei occhi un Ashton assonnato.
Aveva i capelli arruffati, degli occhiali da vista spessi, dei pantaloncini da palestra ed era scalzo. Quando mi vide al buio, seduta sul vaso, si spaventò e saltò dalla paura.
‘Cassie?’ si avvicinò con un misto di emozioni sul viso.
‘è troppo buio.’ Risposi.
‘sei ubriaca?’
‘forse.’
‘hai fumato?’
‘anche.’
Mi afferrò il braccio costringendomi ad alzarmi e mi guardò negli occhi.
‘Resti con me? Non voglio tornare in quella casa.’
‘Cassie, sei ridotta malissimo.’
Scossi la testa aggrappandomi a lui.
‘sei scalza?’
‘non lo so.’
Si guardò intorno.
‘devo accompagnarti a casa.’ Annuì a se stesso.
‘ti ho detto che non voglio andarci.’ Alzai la voce.
‘shh’ mi mise una mano davanti alla bocca voltandosi verso la porta spalancata.
‘mi dispiace’ scossi la testa poggiandola sulla sua spalla.
‘Cassie..’ disse prima che una voce sovrastasse la sua.
‘Ashton?’ una voce femminile riecheggiò da dentro alla casa.
Mi allontanai da lui guardandolo confusa.
Una figura non troppo alta si mise davanti alla luce che proveniva da dentro e subito dopo uscì fuori raggiungendoci. Ci misi un po’ per riconoscerla, ma realizzai che si trattava di Helena.
Deglutii velocemente e spostai lo sguardo confuso e frustrato su Ashton che scuoteva la testa guardandomi.
‘oh.’ Annuii mentre gli occhi si bagnavano radicalmente.
‘Cassie, aspetta’ Ashton mi afferrò per un braccio.
‘vaffanculo.’ Urlai strattonando via il suo braccio.
Feci i due scalini che mi separavano dalla strada e lui mi seguì, seguito a sua volta da Helena.
‘Non puoi tornare a casa così’
‘Perché non te ne torni a scopare con quella troia invece di rompermi i coglioni?’ Mi appoggiai alla macchina sbattendo un pugno contro lo sportello che si abbozzò.
Rimasi senza fiato per qualche secondo a causa del dolore e le lacrime mi scivolarono sulle guance prendendo l'iniziativa.
Helena mise su una falsa espressione scioccata ed afferrò Ashton per un braccio.
‘Stai bene?’ il biondo mi guardò preoccupato.
no.’ Urlai più forte possibile e tutti e due si tapparono le orecchie indietreggiando di un passo.
‘vaffanculo Ashton, vaffanculo.’ Mi misi una mano tra i capelli cercando di entrare in macchina, ma realizzando che le immagini in testa erano più confuse di prima.
‘Cassie’ Ashton mi seguì accanto allo sportello fermandomi ‘non farlo.’
‘sei mio padre per dirmi una cosa del genere?’ Lo guardai negli occhi presa dai singhiozzi.
Lui scosse la testa e io provai ad aprire lo sportello che stava bloccando.
‘lasciami andare’ Gridai piangendo.
‘Lasciala andare, Ash’ Helena lo afferrò ancora una volta.
‘Non posso, non vedi come sta?’ Gridò a sua volta preso dal panico.
Aprii lo sportello con tutta la forza contenuta nel corpo e realizzai che la mano ancora mi faceva male.
‘aspetta’
‘non ce la faccio più’ Mi misi una mano in faccia realizzando di aver tirato via gran parte di trucco che mi stava colando giù per il viso. ‘che cazzo significava quello che c’è stato, eh?’
‘io..’ scosse la testa guardando subito dopo Helena.
‘che c’è stato, Ashton?’ recitò la sua parte.
‘come se già non lo sapessi.’ Partii nella sua direzione per colpirla, ma il biondo mi fermò.
Lui la guardò confuso.
‘Ashton, lei sa tutto.’ Lo guardai negli occhi urlandogli in faccia la verità che non risultò chiara neanche così.
‘Cassie, hai bisogno di riposarti, ok?’
‘non puoi farti prendere per il culo in questo modo.’
‘vattene, sei pazza.’ Mi spinse Helena verso la macchina.
Ashton, credimi, ti prego.’
Lui scosse la testa confuso.
‘non so neanche di cosa stai parlando.’ Mi rispose.
‘sta mentendo’ lo afferrò per i pantaloncini.
‘lei non è come pensi.’
‘vattene cassie.’ Helena mi tirò uno schiaffò in faccia.
Ashton non fece nulla, la allontanò da me, ma le rimase vicino.
‘ma a te non importa, giusto?’ dissi realizzando.
‘lo sto facendo per te.’ Scosse la testa.
‘tu non stai facendo un cazzo, Ashton.’ Mi misi le mani tra i capelli prima di aprire lo sportello e di infilarmi in macchina.
Lui si mise al finestrino aperto.
‘Non puoi guidare così.’
‘Non provare a fermarmi.’ Dissi mentre una coltre di lacrime mi rendeva distinguibili solo immagini sfocate.
Chiusi il finestrino prima di mettere in moto la macchina. Ashton si mise davanti, ma io sgommai e lui fu costretto a scansarsi.
Partii a una velocità esagerata e arrivai ad un semaforo prima di andare a sbattere completamente contro un albero.
La visuale mi abbandonò completamente e non riuscii a frenare neanche quando la macchina fece un giro su se stessa e rotolò giù per un boschetto.
Uscii dalla macchina piena di dolori e riuscii a trovare una via d’uscita da quel posto buio.
Non mi fermai neanche davanti ad una macchina che mi suonò, iniziai a correre verso casa il più velocemente possibile.
Quando arrivai mi infilai dentro e salii le scale a due a due.
Mi sedetti sul letto non riuscendo a smettere di piangere, sia dallo spavento che dalla delusione profonda.
Presi le prime cose che mi capitavano in mano e le lanciai a terra. Poi passai un braccio sulla scrivania facendo cadere tutto.
Presi la borsa, il giacchetto, i vestiti nell’armadio e li buttai a terra. Io li seguii sul pavimento dopo pochi secondi.
Mi accasciai a terra presa dai singhiozzi assordanti che mi toglievano il fiato e iniziai a tremare, quando misi a fuoco tre oggettini bianchi lontani due palmi dal mio naso.
Mi tirai su leggermente e li afferrai riconoscendo le pastiche che Phill mi aveva consigliato.
Le guardai qualche secondo prima di infilarle in bocca e di ingoiare.
Non mi importava il loro effetto, ormai avevo perso il controllo di me stessa da qualche settimana.
Mi alzai fino a raggiungere lo specchio. Mi fissai notando il trucco colato e l’espressione persa dipinta sul mio viso.
Non seppi quanto tempo dovette passare prima di realizzare che la mia mente stava delirando. Subito dopo sentii dei battiti provenire dal piano di sotto, ma non mi feci nessuna domanda, perché non riuscii a respirare e caddi a terra sbattendo la testa.
Quando la vista iniziava ad offuscarsi e le lacrime a bloccarsi drasticamente fui presa da una serie di convulsioni che mi distrussero fino a farmi perdere del tutto coscienza.
La morte non è niente per noi. Ciò che si dissolve non ha più sensibilità, e ciò che non ha sensibilità non è niente per noi.”

Angolo di Claire
SCUSATE SCUSATE SCUSATE SCUSATE SCUSATE SCUSATE. 
Mi dispiace per le lacrime, gli scleri e la rabbia che può avervi causato questo capitolo.
Inizio dicendo che ho scelto di mia spontanea di scrivere questo capitolo in uno stato confusionario (chi vuole capire..), non so se avete notato che a fine capitolo vi siete sentiti un po' confusi, quella era la mia intenzione, tutto è stato scritto con un velo di confusione e una patina che offusca la visione.. sobria?
Praticamente, tradotto, la mia intenzione era quella di farvi leggere il capitolo come se foste ubriachi o fatti or whatever. Ci sono riuscita?
Il capitolo andrebbe commentato per ore, sono successe tante cose sconvolgenti e quello che vorrei chiarire è che Ashton vuole davvero proteggerla, per questo sta zitto e non da ragione a nessuno. 
Ho voluto fare un'introduzione abbastanza diversa dal solito, mi sono dedicata un po' al passato della famiglia Hemmings che ben presto verrà fuori e sarà sicuramente più chiaro di così.
Amo ognuno di voi, dai lettori vecchi a quelli nuovi, vi adoro. 
Ci sentiamo al prossimo capitolo!
68 LIKES, EH, mi fido di voi.

Claire♥

ripped jeans || ashton irwin♡Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora