Capitolo 18

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Chiudo il libro producendo un tonfo piatto e lo ripongo sul comodino alla mia destra.

Controllo l'ora: sono le 6.30 del mattino,ieri sera dopo che Ian se n'è andato mi sono addormentata e mi sono svegliata alle due di notte senza riuscire a prendere sonno.

Sono rimasta a leggere 'Guerra e Pace' praticamente per tutta la notte e mi bruciano gli occhi a causa della luce della lampada.

Dalla cucina sento dei leggeri rumori,scosto le coperte e mi alzo velocemente,Nadija è sicuramente in casa.

Senza preoccuparmi di togliermi il pigiama imbocco il corridoio e quando vedo la sua figura formosa faccio un sospiro di sollievo,ho decisamente bisogno di compagnia.

-Buongiorno Nadija- dico una volta in cucina,sta spazzando il pavimento energicamente.

-Ciao,vuoi caffé?- 

Annuisco e come la scorsa mattina ci sediamo l'una accanto all'altra a bere caffé.

Dopo aver bevuto un sorso mi volto verso di lei e osservo il suo profilo,i tratti sono morbidi e le guance sono paffute e arrossate, ma non esageratamente.

-Tu da dove vieni, Matjuška?-

Sorrido di nuovo nell'udire quel nomignolo,prima o poi le chiederò di spiegarmi il significato.

-Seattle,è verso nord-

-So dov'è Seattle- replica acida -Essere russi non vuol dire essere stupidi-

Sto in silenzio,mi ha leggermente spiazzata,ma sarei un'ipocrita a giudicarla,il suo atteggiamento non è così diverso dal mio,è freddo e ai limiti della maleducazione.

E' così che le persone mi vedono quando parlano con me? Non è per niente gradevole,anche se Nadija mi è piaciuta fin da subito quando mi risponde così mi sento attaccata,come se avessi detto qualcosa di sbagliato.

-Fai altri lavori oltre a questo?-

Sono curiosa di conoscerla meglio,non mi è mai capitato se non con Ian,appare come una donna tosta,se è venuta fin qui dalla Russia vuol dire che là non se la passava benissimo e il carattere duro scommetto che è il classico scudo che si costruisce chi ha sofferto.

Niente di nuovo,insomma.

Forse il fatto che potrebbe avere una storia simile alla mia mi fa sentire meno sola anche se spero per lei che non sia così,non auguro a nessuno quello che ho passato,non riservo vendetta verso il prossimo.

Ma i suoi occhi sono così spenti...confermo,è un meccanismo di difesa,nonostante io l'abbia fatto e lo faccio a tutt'ora è la scelta più sbagliata,si tagliano i ponti con tutti i rapporti umani e le persone,sopratutto quelle ferite dentro,esigono più degli altri vicinanza e conversazione.

-Faccio la domestica in un'altra casa a Brooklyn- sentire la parola 'Brooklyn' pronunciata con il suo accento russo è veramente buffo -Tu invece?-

-Lavoro con Ian,cioè col signor Scott-

Annuisce e dalla tasca della felpa estrae una fiaschetta argentata.

-E quella cosa sarebbe?-

-Vodka direttamente da Vladivostok- risponde orgogliosa.

-E' da lì che vieni?- 

-No,da Saratov,sul fiume-

Quando versa un po' di liquido nella tazza un forte odore di alcol mi pizzica le narici.

Bere alcol quasi alle sette del mattino è fuori dalla mia portata,sicuramente le donne dei paesi caucasici lo reggono meglio.

Finisco il caffè e ripongo come al solito la tazza nel lavandino.

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