Capitolo 55

1.1K 32 0
                                    

Apro gli occhi lentamente, mettendo a fuoco tutto ciò che è intorno a me.

Pareti bianche e una finestra con le veneziane chiuse.

Un rumore disturbante risuona frequentemente alla mia sinistra e cerco di ruotare il volto per vedere di cosa si tratta, ma non ce la faccio, sono stanca e affaticata.

Sono stesa su un letto e sono comoda, almeno fino a quando non abbasso lo sguardo e ho il desiderio di alzarmi e urlare.

Noto una flebo sul mio polso e un misuratore d'ossigeno che stringe il mio dito indice, realizzo che sono in ospedale e mi sollevo per mettermi a sedere, ma sento una fitta di dolore nella parte bassa della schiena e sono costretta a tornare sdraiata.

-Sei sveglia-

A parlare è Ian seduto alla mia destra, di cui, sfortunatamente, non mi ero accorta.

Vorrei parlargli, chiedergli perché sono qui, ma ho la gola secca e le parole mi si bloccano in bocca, non riesco nemmeno a parlare, cosa diavolo è successo?

Forse ho avuto un incidente stradale o domestico, non mi ricordo assolutamente niente ma ho il presentimento di essere ridotta male.

-Ferma qui, chiamo il dottore-

Detto questo, esce velocemente dalla stanza e mi lascia da sola, tra la mia confusione e le mille domane sul perché io sia qui e come io sia finita qui.

Con lo sguardo lo prego di non andarsene, di stare qui, insieme a me e rispondere alle mie domande, che prima o poi spero mi usciranno dalla bocca.

Dopo qualche secondo entra un uomo sulla trentina, però senza Ian, è vestito con un camice bianco e tiene una cartella tra le mani, a cui da un'occhiata prima di rivolgermi la parola.

-Ciao Greta, sono il dottor Davis. Ti trovi al Presbyterian Hospital, in terapia intensiva-

Tento di nuovo di parlare, ma la mia bocca, stavolta, si apre e si richiude velocemente, come un riflesso involontario, provo ancora a mettermi a sedere, ma il dolore lancinante alla base della schiena mi blocca sul posto.

Il dottore corre subito in mio soccorso e mettendomi le mani sulle spalle mi aiuta a chinarmi sul letto.

Emetto un gemito dolorante quando la mia testa incontra di nuovo il cuscino.

-Devi fare attenzione, sei stata in coma tre giorni e hai una rabdomiolisi renale, non puoi pensare di alzarti come se niente fosse-

Sgrano gli occhi e il monitor del battito cardiaco alla mia sinistra inizia a suonare più frequentemente, a causa della notizia mi sto agitando.

Rivolgo uno sguardo interrogativo al giovane dottore che mi guarda apprensivo.

-Hai avuto un'intossicazione di farmaci, ti ha trovata il tuo ragazzo-

Ne segue un silenzio imbarazzante, almeno per me, com'è possibile che sia successo? Sono sempre stata attenta sotto questo punto di vista.

Tutto a un tratto, come un fulmine, mi passano davanti alla mente gli ultimi giorni, la chiamata che annunciava la morte di mio padre, la litigata con Ian, dell'attacco di panico e del vino, molto vino.

Ciò che mi disturba di più è che sia stato Ian a trovarmi e sto sprofondando nella vergogna al solo pensiero.

-Sei stata fortunata, hai avuto un arresto cardiaco e ti abbiamo rianimata in tempo, somministrato del flumazenil e non appena sarai idonea subirai un piccolo intervento ai reni, ma ci penseremo più avanti-

Così, in meno di due minuti mi piovono addosso un sacco di cose pesanti come macigni e mi lasciano interdetta.

Il suo tono di voce è premuroso e gentile ma nonostante questo non riesco a stare tranquilla, tutta questa situazione è paradossale.

ChosenDove le storie prendono vita. Scoprilo ora