Capitolo 2: L'Elfo e il Compleanno del Principe

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L'Elfo e il Compleanno del Principe

II

Il giorno seguente Aragorn venne svegliato dal dolce cinguettare degli uccelli.
Il melodioso canto riempì la sua stanza, riempiendo il suo cuore di immensa gioia.
Lentamente aprì gli occhi e si passò le grandi mani contro il viso barbuto. Aveva dormito poche ore eppure era contento che il mattino fosse giunto così presto.
Con un movimento rapido della mano scacciò le coperte, lasciando che scivolassero oltre il bordo del letto. Spostò le gambe e poggiò i piedi contro il freddo pavimento di marmo nero.
Un brivido gli corse interamente lungo la schiena, raggiungendo la base del collo, peccato che quello non fosse un brivido di freddo.
Una strana sensazione gli attanagliò lo stomaco, costringendolo a rimanere seduto a lungo.
La sensazione passò velocemente così come era arrivata, lasciando il sovrano di Gondor in uno stato di insicurezza. Scosse il capo e si alzò in piedi, decidendo di ignorare i propri sensi.
Si avvicinò alla grande porta finestra che dava sulla balconata e poggiò una mano sul vetro freddo.
Il cielo si stava tingendo si giallo e la notte lentamente si ritirava.
Le stelle fuggivano, pronte a tornare quando l'oscurità avrebbe preso il sopravvento.
Anche la cittadina iniziava a svegliarsi, i contadini si avviavano nei campi tenendo gli strumenti del lavoro poggiati sulle spalle.
Aragorn sorrise, incamminandosi verso il grande armadio di legno.
Le sue ancelle si erano preoccupate di preparare l'abito adatto a quel giorno speciale.
Una lunga veste scura adornata da semplici intarsiature bianche che si avviluppavano lungo il petto, lasciando i fianchi possenti scoperti.
Una grande cintura bianca andava stretta in vita, così da creare il giusto contrasto fra l'oscurità del materiale e la pelle della cinta.
Sotto la vesta andavano un paio di pantaloni di pelle nera, sicuramente non gli abiti più comodi da indossare, ma decisamente eleganti.
Un paio di scarponi avrebbero coperto i piedi del sovrano.
Infine, la pesante corona.
Non dissimile dagli elmi dei soldati della cittadella se non per il candore che la contraddistingueva, con ali simili a quelle di un uccello marino.
Preziosi gioielli circondavano le grandi ali, aumentando il peso non indifferente di quel fardello.
Sorrise e si dedicò alla sua preparazione.
Non amava essere vestito dalle ancelle, preferiva fare tutto coi propri tempi, saggiare il tessuto della veste, accarezzare la pelle dei pantaloni e rimirare la splendida corona che gli adornava il capo durante le vicende più importanti.
Sollevò il copricapo e se lo calò sulla testa, ammirando la propria immagine riflessa nel grande specchio.
Non sembrava cambiato da quando era un giovane Ramingo.
Sospirò e prendendo coraggio si avvicinò alla porta della propria stanza, prendendo Anduril fra le mani callose. Carezzò il fodero della fidata spada, legandola poi al proprio fianco, dove era giusto che si trovasse.
Poggiò una mano sulla maniglia in ottone e lasciò le proprie stanze, dirigendosi verso quelle del figlio.

Eldarion non era riuscito a chiudere occhio.

Non appena la porta di legno si chiuse alle spalle del padre Eldarion scattò in piedi la stanza era schizzato in piedi ed era corso verso il grande armadio.
Aveva gettato alcuni vestiti a terra, cercando ciò che teneva nascosto sul fondo del guardaroba.
Una grande mantello nero regalatogli da suo nonno Elrond.
"Finalmente ci rincontriamo," sussurrò il giovane Principe, portando il tessuto profumato ad un soffio dal viso bronzeo.
Quel pesate soprabito sembrava racchiudere il profumo di un'intera foresta, dai fiori sottili al muschio che copriva la terra scura.
Si avvolse il mantello attorno alle spalle acerbe e lo fissò con una piccola spilla con la forma di una foglia di acero. Quel semplice travestimenti gli ricordava ogni singola volta il mantello che il padre aveva indossato durante la sua Missione e, in qualche modo riusciva a sentirsi parte di quel mondo avventuroso che sognava ogni singola notte.
Si alzò in piedi e con un grande sorriso si avvicinò allo specchio posto al fianco della porta.
Nessuno avrebbe potuto riconoscerlo come il Principe di Gondor, agli occhi di chiunque lo avrebbe incontrato sarebbe parso un giovane popolano. Sotto al mantello dall'ampio cappuccio indossava un sottile camiciola nera intrecciata sul petto, un paio di pantaloni del medesimo colore ed infine i pesanti stivali di cuoio, ottimi per addentrarsi nel folto del bosco.
Si legò al fianco un sottile pugnale, molto più pratico di una spada.
"Bene," sussurrò.
Lentamente camminò fino alla balconata.
Sotto di sé trovò la città silente.
Nessuno sembrava interessato a percorrere le strade a quella tarda ora. Scorse una figura solitaria attardarsi verso una delle tante locande.
Scosse il capo e si spostò lateralmente, avvicinandosi alla parete esterna dove una grande edera si arrampicava sulla parete altrimenti completamente liscia. Ringraziò gli elfi per quel piccolo tocco di verde.
Quando suo padre era divenuto Re il Principe Legolas aveva insistito affinché in città iniziassero ad essere piantati alberi di ogni tipo, così da riportare l'uomo cittadino a contatto con la natura a cui apparteneva.
Quella pianta di edera era stata piantata dal Principe di Bosco Atro in persona e suo padre l'aveva innaffiata e si era preso cura di lei fino a quando non divenne abbastanza forte per sopravvivere senza cure costanti. "Vegetazione per qualcuno, scala per qualcun altro," sussurrò Eldarion salendo con un balzo sul parapetto in marmo bianco, aggrappandosi con le grandi mani alla pianta rampicante.
La sua stanza si trovava molto in alto e, una caduta da quell'altezza gli sarebbe stata fatale perciò avrebbe dovuto fare attenzione.
Fortuna volle che, nelle vene del giovane principe scorresse il sangue degli elfi e quello dei Dùnedain, entrambi abili arrampicatori.
Scalò rapidamente la parete e quando poggiò i piedi a terra iniziò a correre.
Il lungo mantello scuro gli finì fra le gambe rischiando di farlo inciampare più e più volte.
Eldarion continuò a correre fino a quando non raggiunse le scuderie, dove il suo maestoso destriero lo attendeva. Il cavallo era un dono di sua Altezza Thranduil in persona.
Una cavalcatura dal manto bianco come la neve appena caduta.
Il pelo era lungo all'altezza delle caviglie e copriva quasi completamente gli zoccoli scuri.
Un lungo ciuffo copriva gli occhi scuri dell'animale, ma questo non ne sembrava disturbato.
"Ciao piccolo," sussurrò Eldarion, lasciando una dolce carezza fra le orecchie del destriero che scalciò contento, riconoscendo il tocco del proprio cavaliere.
Aragorn gli raccontò che quel destriero giunse a palazzo qualche giorno dopo la sua nascita, non era accompagnato da nessuno se non da una piccola pergamena che recava il nome del sovrano del Reame Boscoso.
Il Principe fissò la sella al dorso del destriero e vi salì in groppa.
"Bene Ombra, andiamo!" esclamò Eldarion facendo schioccare le redini.
Il cavallo partì al galoppo superando alcune guardie, che ignorarono il suo passaggio.
Naturalmente i soldati notarono immediatamente la sua piccola fuga, si guardarono e scoppiarono a ridere, seguendo con lo sguardo il Principe che correva lontano.
Il giovane credeva di essere silenzioso come la notte, ma la sua abilità non era minimamente paragonabile a quella del Re suo padre che sgattaiolava via senza essere visto.
Naturalmente i genitori del Principe erano a conoscenza delle due fughe notturne, Aragorn stesso lo aveva seguito un paio di volte, così da assicurarsi che il figlio non stesse compiendo qualche atto degno di rimprovero.
Eldarion si reca sempre al margine del bosco, dove gli elfi passavano la maggior parte del tempo e dove la loro luce era più forte.
Ombra correva veloce lungo le strade deserte, gli zoccoli schioccavano contro i ciottoli producendo piccole scintille che si spensero immediatamente toccarono terra.
Impiegarono poco per raggiungere il grande bosco che si apriva innanzi alla cittadella.
"Rimani qui," ordinò il Principe, sapendo che l'animale non si sarebbe mai allontanato senza di lui.
Eldarion sorrise e corse all'interno del bosco, seguendo un sentiero di sua pure immaginazione.
Con un balzo afferrò un basso ramo e con l'agilità tipica degli elfi si arrampicò sul grande albero che aveva di fronte, raggiungendone la cima con poche falcate.
Rimase in piedi su un ramo dalla forma circolare e, portandosi le mani a coppa dietro alle orecchie si mise in ascolto del bosco.
Gli animali notturni erano a caccia.
La luna piena risplendeva alta nel cielo, baciando la pelle del giovane uomo.
Un soffio d vento lo colpì alle spalle, i corti capelli neri gli caddero davanti agli occhi azzurri, accecandolo per qualche istante.
"Questa notte il bosco è silenzioso," sussurrò una voce profonda che fece sobbalzare Eldarion.
Il giovane arretrò, completamente dimentico di dove si trovasse.
Il piede destro cadde nel vuoto e lui si sbilanciò, rischiando di cadere al suolo. Una mano grande e pallida gli afferrò il polso, riportandolo al sicuro.
"Grazie!" esclamò subito il Principe, rivolgendo lo sguardo verso il basso, rendendosi conto di quanto avesse rischiato.
Sollevò lo sguardo ed i suoi occhi incontrarono la figura di un giovane elfo.
I lunghi capelli biondi gli ricadevano selvaggiamente davanti al viso affilato, abbellito da un magnifico sorriso.
La veste verde come le foglie mimetizzava la sua figura sottile con il resto della boscaglia.
"Di niente," rispose lui, lasciando libero il polso del Principe, che sorrise timidamente, completamente in imbarazzo per essere stato scoperto. "Cosa fa il Principe Eldarion in un bosco di notte? Non lo sai che qui girano tanti brutti ceffi?" domandò l'elfo sorridendo sfacciato, sfiorando con l'indice la mandibola del giovane Mortale.
Eldarion arrossì, non abituato a un contatto così ravvicinato con un altro uomo, tantomeno con un elfo di simile bellezza.
Non poté fare a meno di domandarsi se anche il Principe Legolas fosse così affascinante.
"Devo ammettere di averti scambiato per tuo padre. Ma lui non si sarebbe fatto cogliere di sorpresa," continuò l'elfo allontanando la mano candida.
I lunghi capelli biondi gli ricaddero sulla schiena possente.
Questo sollevò un braccio coperto da una leggera armatura dello stesso colore del ferro e scacciò un ciuffo da davanti il viso.
"Conosci mio padre?" domandò Eldarion voltandosi con attenzione, non volendo rischiare di piombare nel vuoto.
L'elfo sorrise accattivante, chinando la schiena in avanti, così da ritrovarsi alla medesima altezza del giovane.
"Quel ragazzino? Certamente," rispose la creatura immortale, sorprendendo non poco Eldarion.
Non tanto per la conoscenza, ma per l'appellativo con cui aveva chiamato il sovrano di Gondor, portatore di speranza.
"Non credo che mio padre sia un ragazzino," ribatté il Principe con tono vagamente seccato.
L'elfo sollevò un sopracciglio, incrociando le braccia contro al petto coperto dalla veste verde, anch'essa parte di una sottile armatura.
"Fidati giovane Principe, ragazzino era ottantadue anni fa e ragazzino rimane ora," continuò la creatura immortale, dando prova di conoscere il sovrano da molti anni.
Eldarion inclinò il capo, studiando il suo interlocutore che camminava avanti ed indietro sul ramo sottile che si inclinò pericolosamente verso il basso, costringendo il giovane Principe ad aggrapparsi al ramo superiore per non rischiare di cadere.
"E tu chi saresti?" domandò Eldarion, tenendo le mani ben strette contro la corteccia ruvida.
Tante piccole schegge di insinuarono sotto la pelle sottile e delicata.
L'elfo sollevò lo sguardo su di lui e sorrise, godendo della paura di cadere che attanagliava le viscere del Mortale. La creatura immortale aprì bocca ma prima che potesse rispondere il ramo sotto i suoi piedi si spezzò, facendolo precipitare nell'oscurità.
Eldarion si sporse in avanti, trattenendosi dal gridare.
Si guardò attorno, sperando di intravedere la figura spettrale ma non scorse nulla.
Lasciò la presa sul ramo e si lasciò cadere nel vuoto, aggrappandosi ai rami che gli capitavano a tiro, rischiando più e più volte di cadere. Mise piede a terra ed iniziò immediatamente a cercare il corpo dell'elfo con lo sguardo.
"Sono un Guardiano del Reame Boscoso," disse la creatura immortale, facendo sobbalzare nuovamente il Principe.
Eldarion si voltò di scatto, incontrando immediatamente la figura longilinea dell'elfo.
Il Guardiano era appoggiato con il fianco ad uno dei tanti alberi.
Aveva le braccia incrociate contro al petto ed un sorriso contenuto stampato sulle labbra.
Non sembrava avere subito danni dalla caduta, anzi, pareva più elegante di pochi istanti prima.
"Il Regno del Principe Legolas," disse Eldarion sorridendo.
Se un Guardiano del Bosco Atro si trovava a Minas Tirith significava che uno dei reali doveva aver abbandonato il regno.
L'elfo si sollevò, facendo qualche passo avanti.
"In verità è il Regno di Sire Thranduil. Immaginavo che tuo padre ti avesse parlato di Legolas," commentò il Guardiano, avvicinandosi maggiormente al corpo del giovane Principe che indietreggiò di qualche passo.
"Sono molto amici..." sussurrò Eldarion.
Il Guardiano sorrise divertito e si portò una mano alle labbra, leccandosi le dita.
"Certo, amici..." ribatté la creatura immortale, scostando un ciuffo biondo dal viso affilato.
Il Principe osservò le lunghe orecchie a punta.
In tutta la sua breve vita aveva conosciuto molti elfi e oltre alla loro bellezza ciò che lo aveva sempre colpito erano le orecchie, così lunghe e delicate.
"Non mi hai ancora rivelato il tuo nome," disse Eldarion, incrociando le braccia contro il petto.
Il Guardiano immortale inclinò il capo e sorrise malevolo.
"Lanthir".

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