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Sono passate già tre settimane e sappiamo tutto sul piano, o almeno come si svolgerà. Alcuni punti li abbiamo studiati per bene, altri sono ancora da approfondire ma ad ogni modo siamo a buon punto.

"Com'è nato il nome Cincinnati?" Chiedo mentre siamo fuori a pranzo, nel cortile del monastero. Stiamo parlando di come si è evoluta la loro storia d'amore.
Chi mai si sarebbe immaginato Denver padre.
Quando lo abbiamo conosciuto era il classico ragazzo bello e dannato. Criminale con precedenti che pensa solo a divertirsi invece con Monica ha messo a posto la testa.
"Meglio se te lo dice il padre." Afferma guardandomi Monica, o meglio Stoccolma.
"Volevo che l'amore della mia vita si chiamasse Cintia, perciò Cintia- Cinci- Cincinnati. 
Come la città. Come voi. La mia famiglia." Dice guardando il Professore.
E' solo grazie a lui che ci conosciamo e che abbiamo creato questa famiglia. L'unica che si possa definire tale.
"E preferivate maschio o femmina?" Domanda mia sorella seduta più distante da me.
"Beh dalla prima ecografia non si vedeva molto bene se era un maschietto o una femminuccia."
"Perché?" Chiedo incuriosita.
"Perché ne ho potuta fare solo una." Riferisce Monica.
"Ti ricordi il posto in cui l'avevamo fatta?" Domanda Denver guardando sua moglie.
"Si sembrava un officina!" Commenta Monica ridendo.
"Ma poi non è una cosa che si preferisce. Si accetta quello che viene." Aggiunge il padre di Cincinnati.
"Ah davvero?" Domanda con un sopracciglio alzato la bionda.
"Beh..."
"Volete sapere la verità? Non appena mi avevano riportato in stanza e lo hanno fatto entrare gli hanno detto che era un maschietto in inglese mi ha guardato per poi iniziare a gridare "ITABOY,ITABOY. Sembrava impazzito!" Dice ridendo Stoccolma.
Non avrei mai immaginato che Denver potesse ritrovarsi in imbarazzo.
"Itaboy?" Chiede Tokyo sconcertata.
"Si, proprio così." Ridiamo tutti mentre Denver cerca di giustificarsi per il suo inglese mancato.

Passiamo quasi tutta l'ora seguente a ridere e scherzare sino a quando non ci ritroviamo  parlare di sesso.
Palermo e la sua mente perversa quanto intelligente. Ad ogni modo abbiamo lasciato solo i maschi a tavola dirigendoci in posti diversi.
Temo che le ultime cinque settimane scorreranno troppo velocemente.

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E' Domenica.
manca un mese alla rapina.
Siamo in una sala con Nairobi, Bogotà e Denver.
Una muta sub-acquea e delle bombole dell'ossigeno posate a terra.
Ci dovremmo esercitare ad entrare in una cisterna.

"No, aspettate io li dentro non entro. Ve lo scordate." Afferma Denver vedendo il buco stretto e buio della cisterna dove ci alleneremo a nuotare.
"Prendi la bombola per l'ossigeno." Intimo.
"No, ma da qui non usciremo mai." Afferma quasi titubante.
"Da qui usciremo sempre e senza problemi." Gli dice Bogotà.
"Ma che odoraccio! Sembra merda. Ci avranno buttato dentro veleni, pesticidi o solo Dio sa cosa." Commenta.
"Ma è acqua." Gli risponde Nairobi ridacchiando.
"Dai siediti un attimo." Dico cercando di tranquillizzarlo. Per prima entrerà Nairobi quindi ha tempo prima di indossare l'ossigeno.
"Io mi siedo ma li dentro non ci entro."  Constata mettendosi poi vicino a Bogotà mentre io aiuto mia sorella a mettersi bene l'ossigeno in spalla.

"Sarebbe più facile allenarsi in una piscina, ma non lavoreremo in una piscina.
Sarà molto più difficile di entrare qui dentro." Spiega Bogotà.
"E li non ci puoi entrare se hai paura." Continua a dirgli.

Siamo stati scelti per mancanza  di persone disposte a farlo.
Io e Nairobi ci occuperemo di fondere l'oro e a volte di dare il cambio a Bogotà se sarà necessario per portare fuori la merce.
Bogotà è il nostro saldatore di fiducia e Denver è stato scelto perché Helsinki, Tokyo e Stoccolma si dovranno occupare degli ostaggi e Palermo non può di certo entrare in una cisterna essendo il vicecapo della rapina insieme a Berlino.
Perciò l'unico era lui.

"Guarda che io non ho paura." Gli risponde Denver.
"No? Ti stai cagando addosso." Gli continua a dire, mentre gli da una sigaretta e gliela accende.
"Il problema è che sei diventato padre." Constata.
"E' vero. Questa volta ti devo dare ragione Bogotà." Risponde mia sorella anticipandomi.
"Da quando sei padre pensi molto alle conseguenze di ciò che potrebbe accadere dopo una determinata situazione.
Il Denver che ho conosciuto tre anni fa sarebbe entrato dentro la cisterna quasi senza pensarci." Gli dico accendendomi una sigaretta. 

Da quando sono arrivata in Francia tre anni fa orsono, ho preso questo vizio.
Non sono una fumatrice ma una ogni tanto non mi fa schifo, anche se questo piccolo vizietto non va molto a genio al mio uomo.

"Certo perché tre anni fa mi sarei fottuto solo io, ora ci sono cose che non voglio fare come entrare in una cisterna e non lo farò." Risponde il riccio.
"Sai cosa significa essere un buon padre?" Gli chiede Bogotà mentre si gira verso di lui per guardarlo negli occhi.
"No. Cosa?" Gli domanda guardandolo.
"Essere padre significa rimanere ciò che sei senza cambiare niente di te stesso." Per poco non mi strozzo con il fumo.
"Certo andare a ballare fino all'alba per poi trascinarsi a casa sbronzo senza ricordarsi niente e fatto fino al midollo."
"Se ti piace andare a ballare lo devi continuare a fare. Senza cambiare le tue abitudini." Gli dice serio.
"Oh merda...!" Esclamo ridendo leggermente per la sua affermazione.
Sul serio? Sta parlando sul serio? "Io non sono di certo una madre, ne sono la persona più adatta questo è sicuro ma Bogotà... Questo non è sicuramente un buon consiglio!" Gli dico ridendo.
"Accidenti Bogotà. Lo sai cosa dovresti fare scrivere un libro. 'Come fare il padre senza smettere di drogarsi'." Dice Nairobi mentre si infila meglio l'attrezzatura e scaturendo una risata generale.
"Poi cosa ne vuoi sapere tu di come si fa il padre? Non hai figli." Affermo sicura di me.
"Sette. Un seme di qualità." Scherza l'uomo cominciando ad elencare tutti i nomi dei suoi figli. Tutti maschi tranne due femmine una più grande e una più piccola.
"Non pretendo niente da loro, alla fine mi corrono incontro saltandomi al collo e riempiendomi la faccia di baci. E lo sai perché?" Gli chiede.
"Non lo so, perché?"
"Perché sono il loro padre. cazzo. Sangue del loro sangue." Risponde guardandolo per poi aggiungere:"Perciò se sei rapinatore continui ad esserlo, se ti sei giocato la vita continui a giocartela."
"Forza ragazzi, cominciamo altrimenti non finiremo mai di esercitarci oggi e non mi va proprio di stare con il vostro culo a bagno tutto il giorno!" Esclamo e così cominciamo ad esercitarci.

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E' sera e sono in giardino con Berlino. Come quasi tutte le sere abbiamo steso una coperta e ci siamo stesi sul prato posteriore al convento.
Sono con la testa appoggiata nell'incavo della sua spalla. Sto così bene che non mi sposterei nemmeno se dovesse finire il mondo da un minuto all'altro.

Mi sento a casa.
Invece Berlino è pensieroso, glielo si legge in faccia. Ne lui ne il Professore a cena hanno osato rivolgere parola al gruppo, e noi altri capendo la situazione abbiamo preferito parlare tra di noi senza interrompere i loro pensieri ossessivi.
"A cosa pensi Andres?"  Gli chiedo appoggiandomi con i gomiti a terra a pancia in giù.
"A nulla." Mi risponde non guardandomi
"Non mi piace quando mi menti." Dico riprendendolo subito, non dice nulla così azzardo a chiedere se è per il piano. Alla fine non abbiamo nessun problema tra di noi e l'unica cosa che potrebbe ossessionarlo è il piano.
"E' per il piano? Magari Sergio ti ha detto qualcosa che non andava."
"Abbiamo discusso." Mi rivela guardandomi nei miei occhi chiari.
"Perché?" chiedo.
"Non si fida del piano. E' troppo azzardato." Mi rivela.
"Ma... Ci avete lavorato tu e Palermo per oltre due anni, cos'ha che non va?" Gli chiedo.
"So che sei intelligente. Il Professore non ci ha ancora parlato del piano di fuga." Mi dice.
"Lo so, me ne sono accorta. Ma cosa centra questo?" Chiedo corrucciando la fronte.
"Non c'è nessun piano di fuga." Mi rivela distogliendo lo sguardo seguendolo nel mettermi seduta a gambe incrociate.
"Vedi... Io e Palermo abbiamo pensato a tutto. Come tirare fuori l'oro, come fonderlo, di che dimensioni farlo diventare, come farlo arrivare all'esterno... Ma mai a come uscirne fuori. "
"Ma co-..."
"Gli serve più tempo." Continua a dire.
"Quanto?" Chiedo.
"Due mesi." 
"In tutto sarebbero quattro. Non abbiamo tutto questo tempo." Esclamo.
"Lo so, Raquel gli parlerà. Quando saremo dentro troveremo un modo per scappare."
"E se non lo trovassimo? Anzi se il professore non trovasse il modo per tirarci fuori di li?" Chiedo con il panico alle stelle per via della situazione.
"Lo troverà. Raquel lo tranquillizzerà." Mi spiega.
"Andres..."
"Ti prometto che tu uscirai da li insieme a me. Liberi e questa volta ce ne andremo in un posto sperduto e nessuno ci disturberà più."
Sorrido per poi baciarlo poi mi stacco appoggiando la fronte sulla sua dicendo:"Beh, potresti rapirmi per un po' ma poi potrei fare la fine di Tokyo quindi meglio evitare." Ridacchio seguita da lui.

Andrà tutto bene.
Me lo ripeto sempre nella testa ma sarà veramente così?

°♡°
💭❤

REVISIONATO

Firmato
Animanera🖤

Molto meglio dell'oro.- Berlino Y Parigi./La casa di carta.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora