(R) CAPITOLO 44: Perdono

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"Lady Katerina, avete solo dieci minuti. Il re ha deciso che le visite al prigioniero non possono essere più lunghe," mi spiegò la guardia quando varcammo la porta ferrata delle segrete. Mi pentii di aver indossato un abito tanto bello per scendere là sotto: era umido e il pavimento di pietra era sporco di fango fresco. L'odore poi... sembrava un misto tra urina e carne imputridita. Mi venne voglia di tapparmi il naso, ma non volevo comportarmi da ragazzina viziata perché era fondamentale venissi presa sul serio.

"Basteranno. Ma voglio poter parlare da sola con il prigioniero. Abbiamo un conto in sospeso che riguarda solo noi."

"Ma, signorina, potrebbe essere pericoloso!" si lamentò la guardia.

"Solo se non l'avete incatenato correttamente. Devo presumere che abbiate fatto un brutto lavoro?" chiesi, alzando il mento e indurendo lo sguardo. Meritavo davvero il premio come migliore attrice per quella mia performance.

"No, Lady Katerina, ma si tratta di precauzione," mi rispose lui, non cedendo ancora.

"Sono sopravvissuta e riuscita a scappare dall'accampamento dei ribelli: non vi preoccupate per me, me la caverò, ve lo assicuro," ribadii, senza lasciargli diritto di replica. "Ora, per favore, portatemi dove vi ho chiesto."

La guardia annuì e mi fece strada. Le segrete erano tutt'altro che silenziose, ma la cosa che mi sorprese fu quanto fossero piene. Di certo tutti i disgraziati non erano stati catturati per via della congiura, la maggior parte sembrava lì dentro già da prima. Al mio passaggio molti prigionieri si affacciarono alle sbarre, sgranando gli occhi. Alcuni mi chiamarono, altri invece mi insultarono. Mi feci scivolare addosso tutto, senza problemi. O almeno era quello che avrebbe pensato una persona vedendomi.

Giungemmo infine in una zona silenziosa, le voci sprezzanti o imploranti ormai lontane. Quell'area era molto diversa: le celle erano singole e non c'erano sbarre a chiuderle, ma pesanti porte di metallo, con solo una piccola finestrella in basso, attraverso cui immaginai facessero passare il cibo. Dovevamo essere quasi arrivati.

"Ecco, è questa," annunciò il soldato. "Dentro è buio, quindi vi consiglio di tenere questa torcia," disse, passandomene una di quelle appese al muro. La afferrai, con un senso di disagio: nell'ultima giornata avevo visto già troppo fuoco per i miei gusti.

"Grazie," dissi distratta. La guardia infilò una chiave nella toppa e la porta si aprì davanti a me. Esitai solo un secondo, gli occhi fissi sulle mani del soldato, poi presi coraggio ed entrai. Mi immersi nell'oscurità, creando una luce soffusa intorno a me. Poi la porta alle mie spalle si chiuse e rimasi da sola con lui.

"Salve Titanne," dissi con tono neutro alla figura che avevo di fronte. Era incatenato per le braccia dall'alto, impossibilitato quindi a sedersi. Il volto era imperlato di sudore e aveva un paio di macchie violacee sugli zigomi, ma per il resto sembrava riuscire a mantenere la sua eleganza anche lì.

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