Tornare a respirare

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Sono tornata dall'università da pochi giorni, un ritorno decisamente forzato in questo periodo.
Ancora non ho festeggiato la mia laurea. Sono stata per troppo tempo lontana da casa e gli amici di un tempo si sono trasferiti altrove. Beth, non è ancora tornata, la sua lunga vacanza per tutta l'Europa è appena iniziata.
Negli ultimi cinque anni sono stata in Italia a studiare Arte dopo essermi diplomata in conservatorio - come primo strumento il pianoforte e secondo violino.
Quanto mi mancava il pianoforte di casa mia!
In questi pochi giorni non mi sono staccata un attimo da quei bellissimi tasti lucidi... Beethoven, Mozart, Verdi sono tornati a riempire le mura di casa per la gioia di tutti.
La mia camera è rimasta uguale a come l'avevo lasciata, piena di fotografie e peluche, libri e videocassette, cuscini e poster...i loro poster...
Seduta sotto la mia finestra, guardo il mio albero di ciliegio. È bellissimo in questa stagione, tra le mille foglie verdi spuntano piccole macchie di colore rosso... potrei stare per ore a guardarlo accarezzando il mio violino.
La malinconia mi assale, chissà cosa stanno facendo Jared e Shannon... sono anni ormai che non ho loro notizie... da quel giorno, quando Shannon...
«Tesoro, zia Annie vuole sapere se porteresti fuori anche Beethoven quando esci con Nim», come sempre mia madre interrompe i miei pensieri.
«Certo, almeno mi faccio un po' di muscoli!».
Vorrei proprio sapere cosa sia passato nella testa di mamma e zia quando hanno comprato due cani San Bernardo per tenersi compagnia!
Quando ho chiesto spiegazioni, la risposta è stata: «Tesoro tu sei partita e papà è spesso fuori con lo zio per lavoro, in qualche modo dobbiamo pur proteggerci!».
Sì, certo, solo che se quando il cane ti si avvicina per una carezza e tu ti discosti per paura, non so quanto a quel cane può interessare di proteggerti!!
Adoro Nim e Beethoven, due cuccioloni di tre anni tutto muscoli e poco cervello, sempre alla ricerca di coccole e giochi. Da quando sono tornata a casa non faccio altro che portarli sempre con me.
Ogni mattina quando mi sveglio mi infilo un paio di calzoncini e una canottiera, cerco di sistemare i capelli che ormai sono diventati davvero troppo lunghi e decisamente indomabili, aggancio Nim al guinzaglio, passo da zia Annie che mi fa già trovare Beethoven pronto e vado in centro a prendermi un buon caffè da Starbucks o Dean & De Luca. Ci facciamo una bella passeggiata per il centro e torniamo a casa.
Verso sera, quando i cuccioloni cominciano a diventare irrequieti, smetto di suonare il piano o di prendere il sole e ci andiamo a fare un'altra passeggiata, magari al parco della città dove posso lasciarli liberi di sfogarsi con qualche bastoncino di legno, mentre leggo uno dei mille libri che mi sono rimasti indietro negli anni.
Mi sembra di aver ritrovato una sorta di pace dei sensi da quando sono tornata. Mi sto completamente dando all'ozio e, benché questa sia una situazione forzata, devo ammettere che non mi dà fastidio alcuno. Se non sto suonando il pianoforte, prendo il sole da zia, leggo, faccio una passeggiata o aiuto mamma e zia in cucina con uno dei loro nuovi esperimenti. Mi sto letteralmente rilassando, ordini supremi del dottore: fino a quando la situazione non si stabilizzerà non posso cacciarmi in situazioni di tensione e stress.
Da quando sono tornata, vedo come mi guardando tutti con apprensione. Mia madre mi chiama ogni cinque minuti se comincio a fare tardi e mi guarda con occhi supplicanti per convincermi a non uscire.
Sarà per quello che vuole sempre che porto dietro i cani?
Immagino che sentirsi chiamare nel cuore della notte da un ospedale, dall'altra parte del mondo, con Beth in lacrime che le dice che mi hanno appena ricoverata e che sono in coma, non deve essere una cosa che si dimentica facilmente, soprattutto se è una cosa che può riaccadere... meglio non pensarci.
È venerdì mattina e, seguendo la mia solita tabella di marcia, mi infilo il costume sotto i calzoncini di jeans e la canottiera bianca. Oggi il sole sembra essere più caldo degli altri giorni... un bel tuffo in piscina dalla zia non me lo toglie nessuno.
Nim è già ai piedi delle scale con il guinzaglio in bocca pronta per il suo giretto quotidiano e in lontananza sento Beethoven che abbaia come un disperato come se volesse chiamarmi.
«Mangia qualcosa prima!» urla mia madre dalla cucina.
«Mamma non ho fame! Comunque, ora vado in centro e mi prendo qualcosa lì... ok?», non sopporto quando mi guarda con quell'ansia negli occhi, mi fa pentire di essere tornata. Non sopporto di dovergli dare tutta questa apprensione.
«Oggi viene il tecnico a installare il sistema di sicurezza, pensavo di farlo installare sotto la mensola con le foto all'entrata di camera tua, che ne dici?» cerca di sorridermi.
«Non voglio quell'aggeggio in camera mia! Sto bene, come ve lo devo dire?» comincio di nuovo ad alzare la voce.
«Tesoro io ...»
Non ho voglia di discutere di nuovo, ci ho già provato ma tanto i miei hanno già deciso.
«Senti... mettilo dove vuoi, è inutile discutere. Ci vediamo dopo!», ed esco sbattendo la porta.
Sono stanca di dover rendere conto a tutti di quello che faccio e come lo faccio! Perché nessuno mi crede? Sono grande abbastanza per capire se mi sento bene oppure no.
Sovrappensiero apro la porta di casa di zia e Beethoven mi travolge con il suo "dolce" peso.
«Giù che le fai male! Orso tutto muscoli e niente cervello!!! A cuccia!», zia è in preda al panico... ne è letteralmente terrorizzata; come faccia a viverci tutto il giorno io non lo so proprio.
«Tutto bene piccola?»
Ecco di nuovo quel tono di apprensione...
«Si zia, non ti preoccupare. Mamma come al solito ha trovato il modo di mettermi di cattivo umore. Lasciamo perdere... Senti, oggi posso venire a fare un salto in piscina? Si muore di caldo.»
«E da quando c'è bisogno di chiedere?» chiede sorridendomi.
«Mi porto Beethoven a casa quando torno, te lo riporto quando vengo in piscina, almeno ti lascio respirare un po'!» vedo un misto di sollievo- gratitudine nei suoi occhi.
«E tua madre?» chiede divertita.
«Beh, in qualche maniera gliela devo far pagare, no?» le faccio un sorriso, aggancio Beethoven e mi perdo nel caldo della Luisiana.
Quando torno a casa, noto una grossa macchina nera parcheggiata davanti casa della zia.
La tenda che dà sulla veranda si chiude all'improvviso, come al solito zia si sarà assicurata che sono rientrata sana e salva.
«Papà!!!!» urlo entrando in casa, col sorriso stampato sul viso.
«Non c'è tesoro, rientra domenica sera, non ti ricordi?»
«Credevo avesse anticipato il rientro, c'è una grossa macchina nera davanti casa di zia e pensavo che fossero rientrati in anticipo.»
Mi manca tanto mio padre, è l'unico che mi guarda e tratta come se non fosse successo nulla quando ero in Italia. Non dico che non sia preoccupato, ma almeno non mi tratta da bambina e non mi controlla ogni cinque minuti.
«Non so, forse la zia ha ospiti... Oddio, che ci fa Beethoven qui?!» ecco il terrore negli occhi di mia madre. Ma come hanno fatto due donne terrorizzate dai cani ad aver comprato due cani di queste dimensioni io non lo so proprio... ma non potevano prendersi un barboncino?
«Lo hai detto tu mamma... la zia ha ospiti!» ripeto facendole un sorriso ironico mentre sparisco su per le scale diretta in camera mia seguita dalle mie due fedeli guardie del corpo.
Missione violino all'orizzonte! Penso tra me.
In Italia me lo ero potuta portare ovunque senza problemi - dato che in commercio non ho trovato la borsa di Mary Poppins, ho dovuto lasciare a casa il pianoforte- e avevo preso l'abitudine di suonarlo per un'oretta tutti i giorni... il suo suono è estremamente calmante per i miei nervi!
Mentre Nim e Beethoven si sdraiano ai piedi del mio letto, apro la finestra respirando per un attimo il profumo del ciliegio.
La finestra dei ragazzi è spalancata... la zia starà facendo prendere aria alle stanze... mi verrebbe voglia di saltarci dentro in nome dei bei vecchi tempi...
Mentre la primavera di Vivaldi si impossessa del mio corpo e della mia anima, mi muovo su e giù per la stanza, osservata dagli occhietti curiosi dei miei cucciolini, che ormai abituati a sentirmi suonare, restano sdraiati con le orecchie all'insù incuriositi da quello strano suono.
Distratta mi giro verso la finestra e chiudo gli occhi persa nel verde del mio ciliegio.
Eccoli... quegli occhi...
Smetto improvvisamente di suonare e corro verso la finestra.
Nulla, la stanza è vuota, vuota come sempre. Vuota come lo era da molto tempo.
Che cosa strana la mente... non è la prima volta che mi sembra di vedere Jared o Shannon. Spesso in questi anni, spinta forse dal desiderio di vederli, avevo l'impressione di intravederli con la coda dell'occhio...
Non mi dimenticherò mai quando di nascosto sono andata al loro concerto a Los Angeles lo scorso autunno. Avevo fatto scalo a LA solo per il concerto per poi ripartire all'istante per l'Italia.
Appoggiata alla transenna in prima fila con il cappuccio della felpa alzato con il naso all'insù cantavo insieme a tutti gli altri Echelon le loro canzoni.
Jared aveva i capelli biondi e lunghi... quanto ho riso quando l'ho visto, mi sembrava così buffo!
Poi però, in una frazione di secondo, ho alzato lo sguardo su Shannon e mi sono accorta che mi fissava... i suoi occhi... i suoi bellissimi occhi verdi!
In quell'istante sapevo già cosa stesse pensando... ero io oppure no?
Proprio in quell'attimo una fan un po' troppo scatenata, che stava cadendo accanto a me presa dall'enfasi della canzone, si era aggrappata alla mia felpa e tirandomela aveva fatto cadere il cappuccio e s'era tirato dietro la mia massa di boccoli esponendoli sulle spalle: a quel punto era impossibile che non mi riconoscesse. Mi fissava in preda al panico, combattuto se fermare la canzone o continuare, se venire a dirmi qualcosa o trovare il modo per bloccarmi.
«Mi sa che sto giro ti ha riconosciuta... non vorrai andartene anche questa volta, spero!!» aveva urlato nelle mie orecchie Beth.
Non riuscivo a smettere di guardarlo e lui non riusciva a smettere di guardare me. Mi mancava il fiato. Dopo tutti quegli anni, nascosta tra il pubblico senza farmi vedere... sapevo che era stato un errore avvicinarmi così tanto quella volta... è solo che volevo rivedere i suoi occhi...
«Sveglia, Cristine! Jared si sta avvicinando!» mi aveva tuonato in un orecchio Beth cercando di farmi tornare con i piedi per terra. All'improvviso mi sentii afferrare la mano. Era Jared che mi tirava verso di sé. Una lacrima mi accarezzò il viso mentre lo fissavo. I fans lo spintonavano e mentre lui cercava di tenermi stretta, riuscii comunque a svincolarmi. E mentre mi allontanavo sulle note finali di Oblivion, Jared al microfono disse: «Questa canzone vorrei dedicarla a colei che è stata la prima Echelon in assoluto, colei che ha permesso che questo nostro sogno si realizzasse...Ci manchi piccola!».
Sforzandomi per guardarli un'ultima volta, vidi brillare qualcosa sulla sua guancia mentre Shannon con gli occhi sgranati sembrava urlare disperato di rimanere.
Le note di Echelon accompagnarono la mia uscita.
Più tardi, sul taxi, mi guardai il polso... non avevo più la Wrist rossa da Echelon... la prima cosa loro che avevo comprato. In silenzio, accanto ad una Beth estremamente preoccupata, non potei fare altro che guardarmi il polso nudo e accarezzarmi il tatuaggio.
Seduta sul mio divanetto scendo dal pianeta Marte quando Beethoven mi poggia il suo muso umido sulla gamba nuda e mi osserva con occhi dolci mentre comincio a coccolarlo grattandogli l'orecchio destro.
«Che dici cucciolone, andiamo a casa? O facciamo innervosire ancora un po' la mamma?» gli dico con un sorrisino maligno.
Scendendo le scale i cani mi precedono facendo tremare, per via della loro grossa mole, le foto attaccate al muro del corrimano. Immagino già mia madre sbiancare in cucina sentendoci arrivare.
«È pronto? Che hai fatto di buono?»
«Loro restano?? Perché mi fissano?» dice con voce tremante attaccata al lavandino della cucina.
«Mamma, Nim è il tuo cane, lo sai vero? Beethoven lo riporto quando vado a prendere il sole dalla zia dopo, adesso almeno si tengono compagnia! Pensa quando faranno tanti bei piccoli cucciolotti, cicciotti...» Ho visto delle foto di Nim da cucciola, era così dolce, credo che mia madre si sia fatta intenerire da questo... diciamo che forse non ha pensato che sarebbero cresciuti.
«Mangiamo in giardino che hai bisogno di aria fresca.» Di nuovo quell'ansia.
«Mamma non ricominciare o chiedo alla zia di poter adottare Beethoven!», meglio sdrammatizzare o finisce che mi innervosisco di nuovo.
Un lampo di terrore attraversa i suoi occhi, sa che sarei in grado di farlo davvero e sa che la zia non aspetta altro.
Finito il pranzo riporto i miei due amici a farsi una passeggiata, prima di passare un pigro pomeriggio a cercare ombra sotto gli alberi della zia mentre io mi scaldo al sole come una lucertola.
In spalla ho la mia borsa extra large di paglia gialla comprata qualche giorno prima espressamente per tutte le volte che vado al parco o a prendere il sole. Potrebbe sembrare la borsa di Mary Poppins visto il quantitativo di cose che sono in grado di sistemare al suo interno: Mp3, libro - fino a ieri le favole di Grimm, oggi l'ultimo libro di Nicholas Sparks -, bottiglietta d'acqua, cellulare, macchina fotografica - questi primi oggetti, indispensabili per qualsiasi mia destinazione - e poi, portafoglio, crema solare, una mela, set di cucito - fondamentale per mia nonna -, un quaderno con penna - non si sa mai se mi prende l'ispirazione- crema e disinfettante per le mani, fazzoletti, Nintendo DS.... Si lo ammetto sono esagerata, ma non si sa mai cosa può accadere...
La macchina ora è parcheggiata davanti al box, gli ospiti non se ne sono andati, mi sa tanto che il bel pomeriggio in piscina sta per saltare... peccato, già mi gustavo un bel tuffo in acqua!
Vorrà dire che suonerò il piano fino allo sfinimento, o fino a quando con qualche scusa mia madre mi caccerà fuori di casa!
Quando sto per bussare, comincio a pensare che forse è il caso che tenga Beethoven con me visto che la zia ha ospiti e non avrà voglia di avere un piccolo Attila in casa.
Mentre tolgo la mano dalla maniglia e faccio un passo indietro, la porta d'ingresso si spalanca.
Restiamo così, immobili, nessuno dei due sembra avere il coraggio di parlare. Ci guardiamo fissi come due statue per quella che sembra un'eternità. Il mio cuore comincia a battere sempre più forte mentre in preda a mille pensieri fisso Shannon negli occhi incapace di muovere un solo muscolo del mio corpo.
Una leggera brezza gli smuove i capelli neri sfumati con una tinta bionda ormai decisamente troppo sbiadita, mentre i suoi occhi, quegli occhi, di un verde tanto intenso mi fissano dicendo molto di più di quello che mille parole potrebbero fare. Come sempre indossa una canottiera bianca decisamente troppo grande per la sua taglia e jeans fino al polpaccio completamente stracciati. È a piedi nudi e sembra non fare caso al fresco del marmo del pavimento d'entrata.
Mi sembra di essere finalmente tornata a respirare dopo un lungo periodo di apnea... sento di nuovo il suo profumo... l'odore della sua pelle mi circonda stordendomi.
Beethoven mi strattona il guinzaglio per correre in casa, seguito da Nim, preso dall'euforia di un nuovo ospite con cui giocare. Tira così forte che mi fa perdere l'equilibrio e cadere all'indietro. Chiudo gli occhi, facendo cadere la borsa con tutto il suo contenuto sul pavimento della veranda pronta ad accusare il colpo, ma senza nemmeno accorgermene mi ritrovo sollevata da terra, stretta in un abbraccio che non sentivo da molto, molto tempo...
Una miriade di ricordi cominciano ad affollare i miei pensieri, ricordi di quando ero bambina e Shannon veniva sempre in mio soccorso contro il solito bullo della scuola... ricordi di quando sguazzavamo felici nella piscina di casa credendo che il mondo fosse perfetto come in quel momento... ricordi di ore ed ore passate a suonare o ascoltarci suonare, ore passate sdraiati sotto un albero con un buon libro in mano... il mio ballo di fine anno, il nostro primo bacio... lui che mi stringe in un abbraccio nel nostro ultimo abbraccio che profumava di addio...
Senza accorgermene, mi ritrovo a stringerlo sempre più forte, con gli occhi stretti e le lacrime che mi rigano il viso e lui in silenzio che mi stringe così forte da farmi mancare il fiato.
Quante volte, quando aveva deciso di seguire Jared a LA, la notte mi ritrovavo a piangere stretta al suo cuscino guardando la finestra aperta con la segreta speranza che da un momento all'altro lui potesse tornare da me... quante volte ho stretto il telefono tra le mani pronta a fare il suo numero prima di scaraventarlo contro una nostra foto appesa al muro... quante volte sono entrata di nascosto in camera sua e ho rubato qualcosa dal suo armadio solo per poter sentire di nuovo il suo odore... quante volte ho pensato che con lui se ne era andata anche una parte di me...
Una volta qualcuno ha chiesto se si potesse amare tanto intensamente qualcuno da condannare se stessi all'inferno... io, credo di sì. Credo di esserci stata all'inferno...
Le notti si sono trasformate in giorni, i giorni in settimane, le settimane in mesi e di lui nessuna notizia. Infondo quello era l'accordo... perché le cose sarebbero state più facili così, almeno di questo ero convinta quando glielo dissi, ma il vuoto che mi abitava dentro sembrava non colmarsi mai, non mi dava pace, divorandomi.
Notti insonni, pasti sempre più radi.
Beth era disperata, sembrava che niente e nessuno potesse farmi tornare quella che ero.
Infondo all'epoca credevo che fossimo una persona sola.
Ricordo lo sguardo speranzoso di Beth quando arrivò a casa con l'iscrizione per la scuola d'Arte... sapevo che l'unico modo per venire fuori da questo mio inferno era partire... e così feci le valigie per l'Europa.
Ma adesso lui è qui... È qui!
E già so, che questo istante che tanto ho agognato negli anni, mi riporterà dritta sulla via dell'inferno che ho vissuto anni prima.
Un rumore di piatti in frantumi mi riporta alla realtà e mi costringe ad aprire gli occhi. In piedi che mi fissa con un sorriso tanto dolce da fare invidia a qualsiasi bambino c'è Jared. È biondo, o almeno lo era fino a quando la ricrescita ha preso il sopravvento e i suoi bellissimi occhi azzurri mi fissano più brillanti che mai! Un paio di jeans larghi e stracciati accompagnati da una canottiera nera stinta lo rendono semplicemente perfetto.
«Jared!» urlo quasi senza accorgermene e in un attimo sono già stretta tra le sue braccia, abbandonando per un istante il sentiero dei ricordi.
Dopo un interminabile abbraccio mi lascia andare chiudendo gli occhi e dandomi un piccolo bacio sulla fronte tenendomi il viso stretto tra le sue mani.

Sento Shannon avvicinarsi e quando Jared mi lascia andare, ci ritroviamo in piedi tutti e tre a guardarci senza dire una parola.

Di nuovo in quel silenzio che sembra parlare, raccontare, urlare molto più di quello che una quiete apparenza sembra mostrare.

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