IX

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Ariel Audrey Deep, appartamento della periferia di New York, New York.

"Ci deve essere un altro modo." Mi avvicinai a Mikhail, quando finì di parlottare con i suoi fratelli e li salutò definitivamente. "Un qualsiasi altro modo."

"No." La sua risposta fu secca e non mi guardò. "Non c'è."

"Insomma, nessuno dei due vuole questo matrimonio, perché diavolo dovrebbero obbligarti?" Spinsi, consapevole che la pazienza di Mikhail si stava riducendo drasticamente. "Come si può obbligare un fratello a sposare una perfetta estranea?"

Si fermò davanti all'entrata della sua camera e mi guardò con severità.

"Perché in una società ci sono delle regole, Ariel ed è il caso che tu cominci a comprendere quali siano, perché ti posso assicurare, che la Drakta non ammette ignoranza." Con la mano sulla maniglia parlò ancora, ma questa volta i suoi occhi non incontrarono i miei. "Tra due ore ci trasferiremo alla villa, vivrai nella mia ala dell'abitazione e questa sera andremo entrambi al ricevimento di un senatore. Inutile dirti che è di fondamentale importanza il farci vedere uniti e felici come due piccioncini in luna di miele."

"Senatore?" Domandai incredula, momentaneamente dimentica della rabbia e della frustrazione. "Voi conoscete i senatori?"

Annuì rigido e mi spiegò la faccenda con tono tagliente: "molti di loro ci chiedono favori politici e di altra natura: puttane, evasione fiscale, coercizione, tutto ciò che la mafia è in grado di offrire, in cambio di una lauta somma di denaro e influenza. In ogni caso, non sarà peggiore dell'incontrare la mia famiglia e i nostri sottocapi. Prendilo come un banco di prova prima del grande debutto."  Poi mi guardò da sopra la spalla ed io repressi un grugnito di sofferenza. "E se dovessi avere qualche dote nel campo della recitazione, ti conviene iniziare ad utilizzarla o ti assicuro che verrai sbranata prima di sera."

Quando si chiuse la porta dietro la schiena, rimasi per un attimo perplessa, ma quel momento di quiete durò pochi secondi, perché un'ondata di rabbia così furiosa e potente mi travolse come uno tsunami e rischiò di farmi perdere completamente il controllo.

Agguantai il primo oggetto che mi capitò a tiro e lo frantumai contro la parete, poi fu la volta del secondo e del terzo, fino a quando non iniziai ad urlare tutto il mio dolore e non mi scontrai con uno scudo impenetrabile.

Mi ritrovai accasciata sul pavimento, a piangere contro una stoffa nera con così tanta potenza, che i miei polmoni bruciarono e si dibatterono sofferenti per l'affronto; la testa e l'attaccatura dei capelli divenne così sensibile, che il solo corrugare la fronte mi procurava fitte di dolore, per non parlare della gola secca e raschiante, che mi infliggeva stilettate ad ogni suono.

"Ariel?" La voce di Mikhail penetrò i miei singhiozzi, ma non mi fece desistere. "Ariel, Ariel," sussurrò il mio nome ancora e ancora, come una dolce nenia, fino a quando anche il mio pianto non si spense del tutto.

Imbarazzata, con lentezza districai le dita dalla stoffa della sua camicia e mi schiarii la gola.

"Scusami." La voce mi grattò la trachea e storsi il naso dal fastidio. "Non avrei dovuto."

Non rispose a parole, ma decise di sollevarmi il mento con una delicatezza che non mi sembrava appartenergli, almeno non quando si trattava di me.

"Questo non è orgoglio, questo è dolore."

E quelle parole bruciarono più della verità. Ebbero il potere di irretire la mia mente e farla vagare nell'oscurità senza via di scampo. Rotolai sulla schiena e chiusi gli occhi, cercando di regolare la respirazione.

"Respira." Il sussurro di Mikhail fu tranquillizzante. "Respira, Ariel."

Ed io respirai.

Malizia |THE NY RUSSIAN MAFIA #3Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora