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Ariel Audrey Deep, Hotel Jazz Club, periferia di New York.

In un certo senso ero contenta che mi avesse concesso del tempo per riflettere, ma comunque mi aveva trattata come una pezza da piedi e questo non mi era andato del tutto a genio. Non mi sarei scusata in nessuna situazione, ma avevo avuto la possibilità di sbollire la rabbia e la vergogna. Mi aveva umiliato, non solo davanti a me stessa, ma anche di fronte alla commessa e questo non potevo perdonarglielo.

Mi asciugai le lacrime di frustrazione con un gesto veloce e quando udii bussare alla porta della stanza d'albergo, quasi scoppiai a ridere per la coincidenza.

"Cosa vuoi?" Domandai alla figura imponente appoggiata con nonchalance allo stipite in legno. "Vai via."

"Portarti all'appartamento."

Utilizzò un tono di voce dolce. Una voce che non apparteneva per nulla al ragazzo con cui avevo avuto uno scambio di vedute piuttosto colorito qualche ora prima; per questo motivo, mi insospettii, restia a credere in un cambio di giudizio.

"Grazie, ma no."

Chiusi la porta di getto ed il suo piede la intercettò, mi oltrepassò come se si trattasse di casa sua e si accomodò sul divano con un tonfo. Il piccolo divano a stento riuscì a contenere la sua fisicità impotente.

"Allora starò qui."

Chiusi l'uscio ed incrociai le braccia.

"Non credo proprio."

Lo vidi appoggiare il volto sulle mani a coppa e inspirare profondamente, con probabilità in un vano tentativo di calmarsi.

"Ariel." Portò i palmi davanti al proprio petto con esasperazione. "Cosa devo fare per avere un po' di credito con te?"

Incuriosita da quella piega della conversazione, superai il divano e lo fronteggiai.

"È molto semplice." A quelle mie parole sollevò la testa di scatto e gli occhi azzurri mi pregarono di continuare. Con tutta calma presi posto sulla sedia di fronte ed accavallai le gambe. "Primo, mi chiedi scusa per avermi tenuta prigioniera in una stanza e per non avermi dato del cibo." Sollevai una mano quando notai un inizio di replica. "E per secondo, vorrei che ti scusassi per il teatrino di poco prima."

Gli occhi mi pizzicarono ancora e per quanto lo detestassi, percepii l'ondata di vergogna e umiliazione abbattersi di nuovo su di me. Mi voltai di scatto e mi focalizzai sulla tenda del soggiorno, per evitare di scoppiare in lacrime come una bambina; fui conscia solo in parte dei suoi movimenti e quando me lo ritrovai di fronte, sussultai presa alla sprovvista.

"È orgoglio questo?" Mi prese con delicatezza il mento tra le dita e mi inclinò la testa per fare in modo che i nostri occhi si incontrassero. "Ho ferito il tuo orgoglio?" Chiese di nuovo e mi asciugò una lacrima scappata al mio controllo.

"Sì," risposi decisa con la gola che bruciava, come se un tizzone ardente vi avesse messo piede e la sua espressione si rilassò, quasi notai l'accenno di un mezzo sorriso.

"Tienitelo stretto, Ariel." Si allontanò di un passo, ma il suo calore ed il suo profumo rimasero ancora lì ad alleggiare nell'aria intorno a me. Era un'aroma calda e speziata; una di quelle che ricordava Natale, o il camino accesso durante le notti invernali. "Tienitelo stretto l'orgoglio, è l'unica cosa che ti può far sopravvivere."

"Cosa ne sai tu della sopravvivenza?" Mantenni comunque un tono di voce basso, perché mi sembrava un tono più consono per lo scambio di segreti scabrosi, che nessuno, oltre noi due, doveva udire. "Che ne sai?"

"Ah, Ariel, non confondere il potere con la perfezione." Si spettinò i capelli e non potei far altro che tacere. "Comunque, sono tornato per scusarmi."

Malizia |THE NY RUSSIAN MAFIA #3Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora