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Ariel Audrey Deep, JFK airport, New York.

Due persone mi separavano dall'aereo. Due signorine tra me e la vecchia vita. Due esseri umani che mi facevano da scudo contro i ricordi passati. Una. Ora vi era un solo passeggero tra me e la mia insulsa esistenza da fuggitiva inglese. Cercai all'interno della borsa di pelle nera il mio biglietto aereo e quando fui sul punto di consegnarlo alla hostess, un singulto generale mi indusse a girare la testa verso il possibile problema, ma sfortunatamente non colsi nulla e mi trovai costretta a riportare l'attenzione al banco dell'accettazione.

"Signorina, abbiamo il dovere di far salire sull'aereo tutti i passeggeri prima delle quindici e trenta."

La fissai con tristezza e le allungai di nuovo il biglietto.

"Mi scusi."

La hostess mi sorrise e sorvolò sui miei occhi gonfi. Fece passare il biglietto nello scanner e quando la luce divenne verde, me lo riconsegnò e mi chiese i documenti con dolcezza; me li restituì qualche secondo più tardi, quando ebbe terminato di controllare le mie generalità.

"Prego, signorina."

Agguantai il manico del troller e mi incamminai verso il lungo corridoio che mi avrebbe condotto all'aereo, ma a metà di esso udii delle grida. Mi bloccai e mi voltai verso la confusione. Strabuzzai gli occhi quando la figura di Mikhail si palesò poco prima del tornello, che saltò con nonchalance nonostante la sicurezza lo stesse rincorrendo per tutto l'aeroporto.

"Mikhail?" Mi sistemai la coda e feci un passo indietro per allontanarmi da lui. "Che cavolo ci fai qui?"

Si piegò sulle ginocchia per riprendere fiato e si strofinò il viso, eludendo il mio sguardo.

"Mikhail?" Mi spostai verso destra e incontrai i suoi occhi rossi, cerchiati e vagamente assenti. "Sei ubriaco?" Quando non mi rispose mi incazzai. "Mikhail Ivanov, hai guidato fino a qui da ubriaco?"

Lo tirai per la maglietta e per poco non perse l'equilibrio e mi capitombolò addosso.

"Ho avuto dei problemi, Ariel." Con la voce bassa mi prese la mano tra le proprie. "Vieni con me."

Chiusi gli occhi e cacciai il magone in fondo alla stomaco.

"Mikhail, tu non puoi comportarti come se non ci fossimo mai visti e piombare qui quando decido di tornarmene in Inghilterra." Sorrisi alla guardia che si stava avvicinando. "Mi scuso per la maleducazione del mio amico, ma abbiamo bisogno di un paio di minuti."

"Ci faccia sapere se la dovesse importunare."

La guardia si allontanò di qualche passo, ma decise di tenerci comunque d'occhio.

"Un amico?" Il sussurro gelido di Mikhail mi fece accopponare la pelle. "Sono quasi tuo marito, Elle."

Mi addossai alla parete del corridoio e sospirai con pesantezza. Mi stropicciai il viso e sbuffai.

"Mikhail, mi hai ignorato per quattro giorni e sappiamo tutti e due per quale motivo." Indicai la mia guancia ed una piccola lacrima scappò al mio controllo. "So che non ti piaccio più con questa cicatrice ed io non voglio elemosinare nessuna attenzione, soprattutto la tua, non mi voglio impelagare in un matrimonio in cui non può esserci amore o un blando sentimento." Di fronte all'espressione terrea di Mikhail mi spaventai e cercai di sottrarmi al suo sguardo. "Per questo me ne vado."

Quando non mi rispose, presi il troller e un po' instabile sulle gambe decisi di continuare la mia camminata verso l'ingresso dell'aereo, ma mi bloccò per un braccio.

"Che cosa hai detto?" Esplose con un tono di voce un po' troppo alto, tanto che la guardia ritornò a fissarci con un sopracciglio sollevato. "Tu credi di non piacermi per quella cicatrice invisibile?"

Abbassò il tono, ma non per questo abbandonò la furia che lo contraddistingueva.

"Io- io pensavo..." Mi portai la mano al viso e abbassai lo sguardo. "Non lo so, quattro giorni fa sei scappato dopo aver visto gli ematomi sul collo e la cicatrice."

Lo stupore esplose sul candido viso russo e gli occhi si adombrarono di nuovo.

"Tu hai creduto questo?" Sussurrò quasi con orrore. "Io me ne sono andato perché mi sentivo colpevole per quello che ti è accaduto, Elle." Utilizzò il mio nomignolo e per poco non gli svenni tra le braccia. "Come hai potuto pensare che non mi piacessi più?" Si avvicinò e i suoi occhi scintillarono come due stelle cadenti. "Non cambierei nulla di te."

Rimasi impalata e con la bocca spalancata, per poi balbettare: "mi stai dicendo che..." Mi portai una mano al cuore e cercai di vincere lo svenimento. "Che? Che?"

Mi afflosciai contro il muro e Mikhail cercò di sollevarmi, ma il mio stupore fu troppo intenso per poter rispondere ai suoi comandi. Quello stronzo del mio quasi marito mi aveva fatto credere per quattro giorni che non fossi più il suo prototipo di bellezza e adesso mi raggiungeva ubriaco, e mi diceva che era tutto frutta della mia immaginazione?

Con forza gli tirai uno schiaffo sulla guancia rasata. Il mio scoppio lo indusse a chiudere la bocca di botto e massaggiarsi la zona offesa, che con lentezza si stava arrossando.

"Brutto psicopatico del cazzo!" Tuonai, afferrandolo per la camicia. "Mi hai fatto credere per quattro giorni che fossi un mostro e adesso tu..."

Senza farmi finire il discorso mi prese il viso tra le mani e mi baciò con trasporto, facendomi aderire contro il suo corpo e il muro dietro di me. Il signore della sicurezza si schiarì la voce e Mikhail si allontanò con un sorrisino impertinente.

"Mi dispiace, Ariel. Ho avuto paura, ma ho capito che non esiste posto in cui voglia stare senza di te." Il suo sorriso si ampliò a dismisura quando mi avvicinai di nuovo alle sue labbra, perché nonostante lo odiassi, il suo tocco per me era una droga. "Vieni via con me."

Mi bloccai a metà della distanza e corrugai la fronte.

"Andare via?" Balbettai. "A-andare dove?"

Fece scivolare la mano all'interno della tasca dei pantaloni e mi sventolò due biglietti dell'aereo sotto al naso.

"Vieni via con me e sposami, Ariel Audrey Deep." Mikhail si inginocchiò di fronte a tutti i passeggeri del volo sul quale mi sarei dovuta imbarcare. "Rendimi il bastardo"—sussurrò con un sorrisino diabolico—"più fortunato di tutta la mafia russa"—la sua voce si abbassò ancor di più—"sposami, Ariel Audrey Deep." Poi mi strizzò l'occhio e aggiunse. "Ho ritardato non solo perché sono passato a comprare i biglietti, ma per l'anello, quindi, Elle, decidi in maniera saggia."

Non ci potevo credere, io non potevo credere ai miei occhi: avevo varcato la soglia di villa Ivanov per ricevere protezione e invece ero finita per innamorarmi del fratello più stronzo, fuori di testa e assolutamente sensuale dell'intera famiglia.

Quale diavolo di problema potevo avere?

Caddi in ginocchio e lo abbracciai di slancio, mentre gli applausi dei passeggeri ci scrosciarono intorno.

"Tu sei matto," gli sussurrai all'orecchio, stringendomi a lui. "Completamente matto."

Scoppiai a ridere tra le sue braccia e lui mi seguì a ruota.

"Sono un Ivanov, Ariel." Mi baciò la guancia. "Cosa ti aspettavi?"

Malizia |THE NY RUSSIAN MAFIA #3Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora