II

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Ariel Audrey Ivanov, Midwest, Stati Uniti d'America medio-occidentali.

Persi me stessa all'interno del mio lavoro; abbandonai ogni senso d'orientamento e trascorsero parecchi giorni prima che l'azione degli antibiotici desse il suo effetto. Mikhail riacquisì una blanda conoscenza ben sette giorni seguenti dalla sua liberazione e per quanto quella stanza fosse improvvisata, ringraziai alcuni degli apparecchi.

Riprese contatto con la realtà nel momento in cui i miei occhi si chiusero, dopo quattro lunghi notti insonni, e mi svegliai di soprassalto all'udire degli strani rumori; per poco non capitombolai giù dalla poltrona, quando notai Mikhail indaffarato a sfilarsi tutti gli aghi dal braccio.

"Mikhail." Al mio richiamo sobbalzò ed i suoi occhi annebbiati riuscirono a spannarsi blandamente. "Mikhail, per l'amor del cielo, stai giù."

Le sue bellissime iridi azzurre persero di nuovo lucidità, probabilmente per effetto della morfina, ma qualche ora seguente riuscii a fargli ingerire quel poco di brodo che avevo preparato durante un altro momento di sua semicoscienza.

Mi appisolai sulla sedia di fianco al letto con la sua mano destra, quella che avevo cercato di sistemare nel migliore dei modi, stretta tra le mie e fu nel bel mezzo del mio riposo, che avvertii una dolce carezza sulla testa.

"Mik?" Mi riscossi dal sonno e mi stropicciai il viso. "Mikhail, sei sveglio?"

Mi sollevai subito e gli allontanai la flebo; gli aghi collegati per l'infusione degli antibiotici glieli avevo definitivamente eliminati l'altra mattina, perché per fortuna la febbre era scomparsa e le lesioni iniziavano a risolversi, seppur davvero con estrema lentezza.

"Mh?" Grugnì e cercò di sistemarsi meglio.

"Mikhail, piano." Lo aiutai leggermente a sollevarsi e lo osservai con apprensione. "Mikhail, non dovresti, non così di scatto."

"Ho fame," mi disse e ancora i suoi occhi rimasero un po' distaccati. "Ho fame."

Aveva fame. Tirai un sospiro di sollievo. Aveva fame e significava che tutte quelle medicine avevano iniziato a fare il loro compito.

"Certo, tu stai fermo qui." Corsi in cucina, gli travasai un po' di brodo nella tazza e glielo portai con un cucchiaio. "Ecco."

Glielo passai ed il signorino storse il naso.

"Non c'è della carne?" Mi fissò con gli occhi cristallini un pochino più lucidi. "Non voglio il brodo."

La sua voce gracchiò e una piccola smorfia gli crepò il bel volto non sbarbato.

"Tesoro, non puoi mangiare cose solide, hai vomitato molto prima che ti somministrassi gli antidolorifici." Gli allungai il brodo con gesti invitanti e un sorrisino. "Prova con questo e tra qualche giorno vedremo se riuscirai a mangiare e non vomitare."

"No." Mi chiuse la bocca con uno scatto fulmineo. "No, voglio la carne."

"Ma, Mik-

"Ho detto no, Elle." Sollevò la voce e mi sbuffò in viso. "Dammi questa cazzo di carne."

Appoggiai con forza il brodo sul tavolino davanti al letto e lo fissai furente.

"D'accordo, avrai la tua maledetta carne, ma non svegliarmi questa notte quando vomiterai anche l'anima." Tornai con il vassoio della carne e con irritazione lo osservai strapparsi gli aghi restanti dalle braccia. "Che diavolo credi di fare?" Mi avvicinai con furia e lo bloccai per i polsi. "Non puoi togliertelo, sei forse impazzito?!"

"Lasciami stare, Elle." Si scostò con prepotenza. "Dio, non sto morendo, che cazzo."

Con un diavolo per capello agguantai il piatto con la carne e glielo appoggiai con scarsa delicatezza proprio sul punto in cui aveva un ematoma; mi attardai qualche secondo per osservarlo dritto negli occhi, ma il bastardo chiuse la bocca in una lunga linea rigida e non mi diede la soddisfazione di vederlo in difficoltà.

Malizia |THE NY RUSSIAN MAFIA #3Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora