IV

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Ariel Audrey Deep, New York.

La mattina seguente lo stronzo— sì, ormai l'avevo battezzato così e tale la sua descrizione sarebbe rimasta—mi aveva svegliato all'alba e mi aveva trascinato alla segreteria degli studenti all'università di New York, per ritirare il nostro piano di studi fresco di stampa.

Non avevo idea di quale facoltà avesse deciso di frequentare lo stronzo e nemmeno come, in due giorni, lui e i suoi fratelli fossero riusciti ad iscrivermi al primo anno di Neuroscienze saltando il test di ingresso, ma quello che sapevo era che per andare a quella dannata università, quella mattina, mi ero dovuta vestire con una tuta prestata dallo stronzo, che era decisamente troppo larga per il mio fisico.

Stronzo.

Mi piaceva troppo chiamarlo stronzo nella mia testa.

"Puoi riportarmi alla mia prigione?" Mi mossi con insofferenza sulla seduta in pelle della macchina che costava più di un grattacielo e spiccava tra le strade della grande mela. "Per favore?"

"No."

Mi girai verso di lui con un diavolo per capello.

"No?!"

"No," rispose rigido e continuò a fissare la strada di fronte a sè. "Ho detto no."

"Non puoi decidere tu, Mikhail." Agguantai il sedile in pelle e mi sporsi verso di lui. "Non avete il controllo sulla mia vita."

Staccò gli occhi dalla strada solo per lanciarmi un'occhiata di ilarità derisoria.

"Ah, no?" Sollevò le sopracciglia chiare. "Io credo proprio di sì, Ariel e non solo perché sei venuta da noi, ma perché sono più che certo tu stia mentendo e fino a quando non avrò scoperto la verità, non ti allontanerai da me."

Il suo tono rigido mi fece pentire di essermi rivolta a loro e aver scoperchiato il vaso di Pandora, ma non avrei potuto fare diversamente, non quando avrei rischiato grosso se... Scossi la testa e sbuffai.

"E, di grazia, dove si sta dirigendo vostra altezza lo stronzo?"

Incrociai le braccia al petto e intravidi la morte nel suo sguardo, ma non abbassai il mento, nemmeno quando fermò la macchina a lato di un marciapiede e con velocità impressionante si sporse verso di me, afferrandomi per il mento.

"Ariel, te lo dirò una sola ed unica volta." Il suo sussurro gelido fu quanto di più preoccupante avessi mai udito nella mia vita, ma quella stretta ebbe anche il chiaro potere di eccitarmi. Non che avessi chissà quale esperienza; nonostante avessi decantato le mie arti amatorie quando ero giunta a Villa Ivanov, ero vergine più di una suora, ma riuscivo a riconoscere una situazione eccitante quando ne vivevo una e la sua mano sui miei angoli mandibolari lo era. "Non hai salva la vita solo perché sei la sorella di Lily Rose." Tentai di allontanare la mano dalla mia gola, ma Mikhail mi bloccò il movimento. "Quindi, cerca di tenere la bocca quanto più chiusa possibile."

Non seppi dire esattamente il perché, considerato che eravamo solo noi due all'interno di quell'abitacolo, ma una potente ondata di vergogna mi si riversò addosso, tanto che i miei occhi iniziarono a pizzicare.

"Lasciami."

"Non tirare la corda, Ariel." Si allontanò da me e la mia attenzione si focalizzò, indispettita e un po' terrorizzata, sul parabrezza immacolato. "Non giova a nessuno questa situazione, per ultimo a me, quindi non tirare la corda."

A quella provocazione non risposi, fui troppo intenta a trattenere le lacrime della vergogna. Girai la testa sopra la spalla e guardai oltre il finestrino per tutta la durata del viaggio.

Malizia |THE NY RUSSIAN MAFIA #3Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora