Emma

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Emma aveva 17 anni.
Era magra, di carnagione chiarissima, e con i capelli corti, neri pece.
Non era l'emblema della femminilità, ma si piaceva così com'era.
A scuola era nella media. Non eccedeva, ma non era nemmeno da buttare, anzi, il suo insegnante di letteratura l'aveva anche definita "promettente".
Quella descrizione aveva reso così orgoglioso suo padre, che per un mese non fece altro che vantarsi con chiunque d'avere una figlia "promettente".
A Emma, invece, quella descrizione non aveva fatto né caldo né freddo.
In realtà niente sembrava scaturire delle emozioni in lei. Tutto era neutro.
Per lei era normale, e con il tempo aveva accettato la situazione, ma per suo padre, che era l'esatto opposto di lei, non andava bene, in quanto convinto che fosse un inizio di depressione.
Per questo, da anni la obbligava a fare delle sedute due volte alla settimana con una psicologa.
Per lei erano solo una perdita di soldi e di tempo, ma suo padre sembrava più tranquillo a mandarcela e lei lo aveva accettato, in quanto andarci o non andarci le era indifferente.
Tutto nella sua vita le era indifferente, come se niente potesse suscitare in lei un'emozione, un sentimento, un motivo che la facesse sorridere. Sorridere veramente e non quella smorfia che era solita fare, per compiacere gli altri.

Era una mattina di primo ottobre, era un giorno freddo e grigio, che faceva venire la pelle d'oca solo a guardarlo. Quei giorni in cui non vorresti alzarti dal letto, e rimanere protetto dall'abbraccio caldo delle coperte.

Emma si svegliò alle 6, come sempre.
Si alzò dal letto, si fece una doccia, si mise i vestiti preparati la sera prima e si asciugò i capelli.
Nella sua vita, tutto era perfettamente organizzato, un susseguirsi d'azioni tutte uguali. Una monotonia che eccedeva quasi nella noia, nella calma piatta, che ben si addiceva a lei.
Ormai ogni cosa era diventata un insieme di comportamenti uguali, che si ripetevano perfettamente tutti i giorni. Giorno dopo giorno, ora dopo ora. Tutto perfettamente identico.

Dopo essersi vestita si diresse in cucina.
Preparò una moka di caffè e la mise sul gas.

Sembrava un giorno normalissimo, identico a quello prima e a quello prima ancora, ma c'era qualcosa nell'aria, qualcosa che non sapeva descrivere.
Il borbottio della moka, la fece tornare alla realtà e si accorse che nella stanza era arrivato anche suo padre.

"Buongiorno tesoro" gli fece suo padre David, chinandosi per darle un bacio sulla fronte.

David era un uomo sui 50 anni. Era alto, magro e con pochi capelli.
Si vestiva in modo vintage e adorava leggere. Portava degli occhiali sulla punta del naso, e insegnava fisica nell'università della contea. Anche se esteticamente si poteva dare per scontato che Emma fosse sua figlia, data la somiglianza, altrettanto non si poteva dire caratterialmente.
Il signor David era un uomo carismatico e pieno di voglia di fare. Trasmetteva la sua grinta anche nelle sue lezioni di fisica, ottenendo così il titolo di professore preferito dagli studenti dell'Università per 5 anni di fila. Titolo di cui andava fiero, come la maggior parte delle cose nella sua vita.
Erano poche le cose che David amava di più della fisica: sua figlia Emma, la defunta madre di Emma, Cecilia e sua madre Beatrice.
La madre di Emma era morta di parto e perciò non l'aveva mai conosciuta. In compenso la figura materna l'aveva trovata nella nonna paterna.
Beatrice aveva vissuto con loro fino ai suoi 72 anni, ma poi venne ricoverata in una casa di cura in quanto malata d'Alzheimer. Nei suoi momenti di lucidità era ancora la nonna gentile e amorevole che aveva cresciuto la nipote, ma nei momenti di incoscienza, diventava aggressiva e non riconosceva nessuno, né suo figlio né sua nipote. Per questo motivo David aveva preso la dura decisione di metterla permanentemente dentro ad un istituto specializzato, così che chi di dovere potesse prendersene cura.

Emma andava a trovare la nonna tutti i giorni, e il martedì e il giovedì andava alla seduta con la psicologa.
Tornata a casa, passava le sue giornate a leggere e a fare i compiti.
Non aveva amici, "Non provi emozioni, sarebbe come avere un attaccapanni come amica. Inutile" le avevano detto i suoi compagni, dopo il primo mese di scuola.
E da lì in poi era rimasta da sola.
A Emma era indifferente, amici, non amici. Andava bene tutto.

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