Un istante alla volta

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"C'ho pensato sai, a fare ciò che mi chiedevano. A diventare come loro. Ad uccidere. Sarebbe stato tutto più semplice. Ma non ce l'ho fatta. Solo l'idea di fare del male mi distruggeva. Mio padre mi dava del codardo e un po' ho sempre pensato che avesse ragione." La voce di Al ormai era un bisbiglio, guardava fuori dalla finestra fissando sempre lo stesso punto, ma senza guardarlo veramente. "Qui mi sento bene, posso nascondere la mia realtà, aiuto chi posso aiutare per pulirmi la coscienza, ma niente ci riesce. Sono un mostro e lo sarò per sempre."

Emma scosse la testa, mentre si alzava dal suo letto e si avvicinava a lui.
Al spostò lo sguardo su di lei e la guardò.
Così pura, così innocente. Si chiedeva perché fosse ancora lì con lui, perché non fosse scappata. Ma mentre se lo chiedeva sperava che non succedesse mai.
Sperava che lei rimanesse li, a guardarlo con quegli occhi in tempesta, come stava facendo in quel momento.
Se avesse avuto il potere del tempo lo avrebbe fermato e si sarebbe beato di quella sensazione: vedere nei suoi occhi che non aveva paura di lui.
Lo faceva quasi sentire umano, lui che di umano aveva solo l'aspetto. Lo faceva sentire normale, quando di normale non c'era nulla. Ma andava bene così. In quel momento, con lei al suo fianco ogni cosa andava bene.

Gli mise una mano sulla guancia, per accarezzarlo dolcemente. Quel tocco che aveva solo ricevuto e mai dato, ora le sembrava la cosa più giusta da fare. Ma non era impacciato come lo sarebbe stato un mese prima, era normale, dolce, umano.
Perchè Al, la creatura dalle grandi ali nere, la faceva sentire umana per la prima volta in tutta la sua vita, e non un semplice pezzo di carne, che aveva bisogno d'essere aggiustato.

Si accorse che aveva ragione sua nonna, che quei rari momenti di felicità, per lei erano più forti e veri, ma invece che spaventarsi, seguì il consiglio.
Si beò di quella sensazione, vivendo la vita un instante alla volta.

"Conosco umani, che non hanno mai ucciso" disse guardando i suoi grandi occhi verdi, "forse la maggior parte di loro non sarebbe nemmeno in grado di tenere un coltello. Ma ti posso assicurare, che per quanto non abbino super poteri o vite sulla coscienza, hanno causato più dolore loro, di tutto quello che hai causato tu"
"È diverso. Loro non devono uccidere per sopravvivere"
"È questo il punto. Non gli è necessario, ma lo fanno comunque. Ti denigrano, di trattano come un oggetto, usando solo le parole, ma che dentro causano le stesse ferite, di quando ti pugnalano. Si girano dall'altra parte quando vedono del dolore, senza immischiarsi, per paura delle conseguenze, e collaborano ad ucciderti tanto quanto la persona che ti ha dato il primo schiaffo. Loro non si chiamano assassini. Loro non si ritengono dei mostri. Ma lo sono più di te"
"Non esiste un mondo in cui io non sia un mostro, Emma" rispose abbassando lo sguardo. Avrebbe voluto crederle. Dio se avrebbe voluto, ma non ci riusciva.

Un leggero sorriso illuminò il viso della ragazza e lui rialzò lo sguardo apposta per vederlo.
Quel sorriso raro, ma che ogni volta era un tuffo al cuore.

"Non esisteva nemmeno il sovrannaturale"

Si guardarono per secondi interminabili, persi uno negli occhi degli altri.

"Vuoi vedere una cosa?" Le chiese senza nascondere il sorriso che lei gli aveva procurato.
Emma annuì e si lasciò prendere il polso.
La tirò ancora più vicino a lui, e la mise rivolta verso alla grande finestra di camera sua.

"Guarda la." Disse indicando un punto nel cielo. "Quella è la costellazione del dragone. La leggenda narra che Era mise un drago a guardia dell'albero di mele d'oro che gli era stato donato dalla Terra per le sue nozze con Zeus. In un primo momento la custodia dell'albero fu affidata alle Esperidi, che però non esitarono a rubare alcuni dei preziosi frutti, furono allora sostituite dal drago Ladone. Per riuscire nella sua fatica, Ercole uccise il mostro con una freccia avvelenata.
Trovandolo morto le Esperidi piansero la sua morte, ed Era, così dispiaciuta dalla sua morte decise di portare l'immagine del suo guardiano alto nel cielo, così che tutti potessero ricordarlo per sempre."
"È una leggenda molto bella."
"Già."

Emma tolse gli occhi dal cielo e lì posò sul ragazzo e successivamente sul suo braccio, da dove si vedeva bene il suo tatuaggio del drago.
"Posso farti una domanda?"
"L'hai già fatta. Ma sarò clemente perciò continua ragazzina"
"Cosa significa il drago che hai tatuato sul braccio?"
Al sorrise a quella domanda e si guardò il braccio. Ci passò un dito disegnandone il contorno. E mentre continuava a guardarlo, iniziò a risponderle. "È un drago cinese. L'ho tatuato dopo essere scappato dalla mia famiglia. Ero sperso nel nulla e camminavo da giorni senza una meta. Ero affamato e stanco. Una signora anziana decise di prendermi in casa sua e accudirmi. Mi diede un letto e da mangiare. Mi tratto con gentilezza, cosa che nessuno aveva mai fatto con me. Non avevo ancora gli occhiali, e non ero abituato a nascondere i miei occhi, ma a lei non spaventavano. Una sera ebbi un incubo, probabilmente causato da mio padre che cercava di vendicarsi per il disonore che ho fatto cadere sulla nostra famiglia scappando. Mi svegliai tremando e piansi tutte le lacrime che non avevo mai potuto piangere. Lei per tranquillizzarmi mi raccontò la storia del drago cinese, di come fosse l'unico drago che viene visto come simbolo di buon auspicio e non come un mostro portatore di morte. Mi ha dato speranza. Una speranza che non avevo mai avuto. Mi ha fatto credere che potevo essere migliore e non il mostro che mi hanno sempre obbligato ad essere. Mi ha fatto credere che avevo una scelta e che potevo scegliere io e non mio padre."
"Che fine ha fatto quella signora?"
"È morta. Mio padre l'ha trovata un giorno mentre ero fuori a fare delle commissioni per lei. L'ha uccisa come avvertimento e da lì ho deciso che avrei passato una vita a scappare. Senza mai rimanere nell'eco stesso posto per troppo tempo. Volevo andarmene il giorno in cui sei arrivata" disse guardandola, facendo intuire che in parte era rimasto per lei, ma esplicitamente non lo avrebbe mai detto.
"Pensavo che cambiando spesso posto non mi avrebbe mai trovato, ma in realtà non sono mai riuscito a scappare veramente. Ha sempre saputo dove fossi, ma non ha mai più attaccato. Finchè non mi ha contattato con quella lettera, comunicandomi che devo sposarmi."

Devo sposarmi

Una frase, due parole, ma che in quel momento fecero scendere sotto zero la temperatura nella stanza.
Perchè per quanto potessero fare finta di niente, il problema rimaneva. Sempre lì, a ricordargli che qualunque cosa stesse nascendo, era impossibile.

"Cosa pensi di fare?"
"Non lo so" disse voltandosi verso la finestra, per perdersi di nuovo in quel cielo stellato, mentre si accendeva un'altra sigaretta. "Non lo so" ripetè.

Quella notte Emma si addormentò sopra le coperte. Non si cambio nemmeno, si addormentò beata sapendo che nella stanza c'era Al.
Si sentiva al sicuro, si sentiva protetta, e nemmeno gli incubi la spaventavano in quel momento.

Al la guardò dormire fino all'alba, incantato dalla sua innocenza.
Si avvicinò a lei qualche ora prima che si svegliasse, e le accarezzò dolcemente il viso.

"Se solo io fossi un semplice umano e tu una semplice ragazzina. Ti farei scappare da questo mondo, mostrandoti che oltre al dolore c'è anche la felicità." Le bisbigliò all'orecchio, prima di voltarsi e andarsene in camera sua.

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