Incubi

729 56 5
                                    

Il giorno dopo Emma si alzò dal letto.
Non si era mossa per tutta la notte e non aveva chiuso occhio.
Sapeva che i giorni a venire, sarebbero stati un incubo.
Lei e la sua apatia dovevano affrontare il funerale della nonna.
E ciò voleva dire: mille occhi indiscreti, che l'avrebbero osservata per tutta la cerimonia e per i giorni successivi, in attesa di una sua qualche reazione.
Avrebbero sicuramente visto di cattivo occhio, l'indifferenza della ragazza nei confronti della morte di una persona a lei cara e avrebbero colpevolizzato il padre.

Per lei l'opinione della gente non importava, le erano del tutto indifferente, ma non le piaceva che qualcuno arrivasse a conclusioni affrettate e definisse suo padre come un carnefice, responsabile per l'apatia della figlia.

Così, escogitò un piano per riuscire a passare inosservata per tutta la durata della cerimonia, e assecondare quelle vecchie arpie, che facevano finta d'essere anime buone e caritatevoli, ma non vedevano l'ora di puntare il dito contro qualcuno.
Come se il loro piatto preferito fossero i pettegolezzi e le accuse infondate. Troppo impegnate a inventare dicerie e a creare castelli di carta, per accorgersi che provavano meno emozioni ed empatia di Emma stessa.

Ma tutte queste cose Emma le avrebbe solo pensate, non avrebbe mai alzato la voce per gridarle ai quattro venti, non avrebbe mai rotto il silenzio per rispondere a tono alle loro accuse infondate.
Lei rimaneva nel suo silenzio privo d'emozioni, indifferente alle menzogne che venivano dette sul suo conto.
Rimaneva in silenzio, con l'unico scopo di non far pesare troppo la sua condizione sulla figura del padre.

Aveva quindi escogitato un piano nei minimi dettagli, perché così faceva Emma, invece di affrontare il problema a testa alta, ci girava in torno, così da assecondare tutti, ma mai lei stessa, mai la sua apatia.
Ma in fondo accontentare e gli altri e non lei stessa, le era indifferente.

Avrebbe guardato tutto il tempo il pavimento, così che nessuno avrebbe potuto vedere se essa piangeva o meno.
Sarebbe andata via subito dopo la fine del funerale e  per i giorni successivi si sarebbe rinchiusa in camera sua.
In caso di domande, avrebbe detto che era distrutta per la morte della nonna e che preferiva elaborare il lutto per conto suo.
Non era nemmeno più costretta ad andare dalla psicologa perciò l'unico inconveniente sarebbe rimasto la scuola.
Era venerdì, ed essendo una cittadina piccola quella in cui abitava, la notizia della morte di sua nonna si era sicuramente già diffusa, perciò nessuno si sarebbe aspettato di vederla a scuola quel giorno.
Il problema si sarebbe posto dal lunedì successivo, quando inevitabilmente sarebbe dovuta tornare a scuola.
Decise che l'unico modo per non destare sospetti, sarebbe stato quello di fingere d'avere delle emozioni. Avrebbe finto d'essere qualcun altro, perché questo voleva la gente da lei.

Aveva deciso che dopo il funerale avrebbe fatto delle ricerche su internet su come affrontare un lutto, e avrebbe provato davanti allo specchio a fare facce abbastanza tristi da permetterle di stare da sola per tutta la sua permanenza nella scuola.
Non che Emma di solito, fosse piena di attenzioni a scuola, anzi era pressoché invisibile. Ma dopo il funerale di sua nonna tutti avrebbero provato a starle vicino, non per fare un favore a lei, ma per farsi vedere dagli altri come amorevoli e altruisti. Perché era meglio vivere una vita d'apparenze con un'anima vuota, che vivere una vita meno finta, ma con l'anima piena di colori.

Si fece una doccia, si mise dei vestiti puliti, e dopo essersi asciugata i capelli uscì dalla sua camera.
Nel corridoio incontro suo padre.
Aveva gli occhi gonfi, di chi ha pianto tutta la notte senza mai smettere. I loro sguardi si incrociarono, ma nessuno dei due ebbe il coraggio di dire qualcosa.
Sapeva che suo padre si sentiva in colpa per ciò che le aveva detto la sera prima, perciò prese coraggio e provó a rassicurarlo, cercando le parole migliori, che in quel momento sembravo come le sue emozioni: inesistenti.

"Papà lo so che ti dispiace. Non fa niente, veramente. Non sono arrabbiata o offesa."

La sua voce risuonava nella stanza silenziosa, mentre suo padre la guardava inerte, come se stesse metabolizzando quelle parole.

Sospirò dopo qualche secondo, abbassando la testa, come un cane bastonato.

"Lo so, è questo il problema."

Disse con un filo di voce, ma che arrivò ad Emma come un grido disperato.
Si giró e se ne andò, e senza fare nemmeno colazione, prese la sua giacca e uscì di casa.

Emma si sedette sugli scalini e come un cane fedele aspetto immobile suo padre.
Avrebbe voluto provare qualcosa.
Per una volta le emozioni le avrebbero reso le cose meno impegnative, ma sapeva che anche se ci provava, le cose non sarebbero cambiate.

Lei era così. Prendere o lasciare.

Erano le 11 e suo padre non era ancora tornato. Si stava chiedendo dove fosse andato.
Non sapeva dove, e non sapeva nemmeno cosa stesse facendo, ma sperava che, qualsiasi cosa fosse, lo aiutasse a superare quella situazione.

Mentre pensava a tutto ciò il sonno si fece sempre più prepotente, finchè Morfeo non la rivendicò, facendola cadere in un sonno profondo.

Quando aprí gli occhi era in mezzo ad un bosco innevato.
Non sapeva come ci fosse finita e perché si trovasse li.
Sentiva freddo, i vestiti che aveva addosso erano troppo leggeri per quella temperatura e stava congelando.
All'improvviso senti un rumore di un ramo che si spezzava vicino a lei.
Si guardò attorno per vedere chi fosse, ma sembrava essere l'unica persona vivente nel raggio di miglia.

Una voce dentro di lei le diceva che era in pericolo e che doveva scappare.
Per una volta decise d'assecondare quella voce ed iniziò a correre più veloce che poteva.
Non sapeva dove stava andando, ma sapeva che doveva scappare, non sapeva da cosa o da chi, ma doveva farlo.

Inciampò su un sasso e cadde per terra, cercò di rialzarsi, ma un taglio profondo sul suo ginocchio non le rese le cose facili.

Vedeva il sangue scorrere prepotente, mentre il cuore accelerava, con il presentimento che le gridava che era in pericolo.

Iniziò a gridare disperata, ma nessuno sembrava sentirla, come se le sue grida fossero in relatà mute.
Si senti toccare la spalla.
Era pronta al peggio, e con il cuore che batteva all'impazzata, si voltò lentamente, rassegnata all'idea che forse la sua vita sarebbe finita in quell'istante.

ApatiaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora