La terapia di gruppo

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Emma segui l'infermiera per tutto l'edificio.

Era una vecchia fabbrica, riadattata a struttura sanitaria.
Con soffitti altissimi e finestre enormi.
Si divideva in tre ale, ognuna di un colore diverso.

"L'ala bianca è per i disturbi della personalità e per la schizofrenia. L'ala viola è per i disturbi dell'alimentazione e per le dipendenze. L'ala verde, ovvero la tua, è per i disturbi depressivi." Le aveva spiegato l'infermiera mentre camminavamo per il corridoio, che sembrava infinito.

"In questo periodo non abbiamo molti pazienti in questo settore. Stamattina abbiamo dimesso una ragazza. Sono rimasti solo quattro ragazzi. Sono qui da tanto tempo, ma sono simpatici, vedrai che ti troverai bene. Cerca solo di non abituartici, voglio vederti fuori di qui tra tre mesi" le disse, porgendole un grosso sorriso.

Dopo una camminata, che a Emma sembrò durare un'infinità di tempo, arrivarono finalmente nell'ala verde.
L'infermiera bussò ad una porta e dopo aver avuto il permesso per entrare, da una voce che proveniva dall'interno, aprí la porta.

Vi era una donna con il camice verde, seduta ad una scrivania che leggeva un quaderno.
Lo leggeva con interesse, con gli occhi che scorrevano veloci le parole, come se fosse il suo romanzo preferito.

"Dottoressa è arrivata Emma Hall" le disse l'infermiera.
La dottoressa alzò lo sguardo dal quaderno, guardò Emma e le sorrise.
Si alzò dalla scrivania e le andò incontro.

"Lascia pure la borsa di Emma in camera sua" disse rivolgendosi all'infermiera, che annuì scomparendo dietro la porta dell'ufficio, lasciando Emma e la dottoressa da sole.

Era una donna giovane e molto bella, aveva i capelli biondi, legati in una coda alta, che le incorniciava il viso magro ed elegante.
Portava gli occhiali e teneva il camice aperto, lasciando intravedere il suo vestito di tessuto pregiato.

Nella tasca del camice aveva cinque penne colorate e una targhetta argentata con su scritto: Emily Cooper.

Sembrava una donna molto elegante, d'altri tempi.
Dava l'impressione d'essere una che sapesse farsi rispettare, ma allo stesso tempo molto gentile.

"Ciao Emma. Io mi chiamo Emily. Siediti pure, o se vuoi rimani in piedi, sentiti libera di fare quello che vuoi" le disse mentre tornava alla poltrona dietro la scrivania.
"Lei è la mia psicologa?" chiese mentre si sedeva, continuando a guardarsi attorno.

La stanza era identica alla stanza della sua precedente psicologa.
Le pareti erano bianche e dietro alla scrivania c'era una finestra enorme che lasciava entrare molta luce, che illuminava la stanza.
Su una parete c'era una libreria piena di libri enormi, la maggior parte di Freud.

"Tecnicamente si" rispose, "ma non mi piace quel nominativo. Chiamami pure istruttrice o semplicemente Emily. E per favore dammi del tu, non sono ancora così vecchia"

Le porse un enorme sorriso, ma vedeva gli occhi della ragazza, continuare a scrutare la stanza.

"Non ti preoccupare. Non faremo quasi mai sedute solitarie. Faremo solo esercizi di gruppo. Io e gli altri medici abbiamo pensato che una terapia di gruppo fosse più idonea al tuo caso."
Si avvicinò a lei e l'aiutò ad alzarsi, e come aveva immaginato, le sue mani perfettamente curate erano morbidissime.
Se avesse potuto toccare una nuvola, probabilmente essa, non sarebbe stata ai livelli delle sue mani.

"Andiamo. Ti accompagno alla tua prima seduta di gruppo" riprese facendole strada, per quel corridoio, che ancora una volta, sembrava essere infinito.

Arrivarono davanti ad un'altra porta.
Stavano per entrare quando l'istruttrice sospirò.

"Mi sono dimenticata il mio taccuino" disse portando una mano alla testa, "Tu entra pure nella stanza, gli altri sono già dentro. Io arrivo subito"

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