2 settimane dopo...
Guardo fuori dalla finestra, il cielo è limpido nonostante la giornata sia abbastanza fredda e i raggi del sole baciano le foglie verdi degli alberi. Quei colori splendenti mi fanno tornare in mente i tuoi occhi, i tuoi splendidi occhi che non vedo da un po', ma che ho stampati in testa come una fotografia appesa alla parete della mia mente: verdi, come le piante illuminate da una palla di fuoco nell'azzurro immenso, e grandi, come il tuo cuore d'oro che da qualche giorno a questa parte non appartiene più a me. Ho addosso la tua maglietta, quella che ti strappai di dosso il giorno della tua partita ad hockey. Da quando non sei più con me la indosso sempre, perché porta il tuo profumo e mi rende più facile immaginarti qui accanto a me. Sono ormai più di 10 giorni che mi risveglio sola nel mio letto bianco e freddo che sembra essere troppo grande per una sola persona. Se prima mi capitava ogni tanto di fumare qualche sigaretta, adesso la desolazione e il bisogno di sfogare il mio dolore in qualche modo mi hanno spinta a farlo sempre di più, fino a non poter più farne a meno. Oggi ho appuntamento con Linds al nostro ristorante preferito, da quando sono tornata da Vancouver non ci siamo più viste e non le ho ancora raccontato nulla di ciò che è successo. Come sempre, appena sveglia mi concedo qualche minuto per una bella doccia e, per smorzare un po' la solitudine e la malinconia che da due settimane accompagnano le mie giornate, infilo le mie cuffiette e avvio in riproduzione casuale la mia playlist spotify. Mi muovo meccanicamente per casa cercando i vestiti da indossare, poi torno in bagno e inizio a pettinarmi guardandomi allo specchio. Canticchio tristemente qualche canzone osservando il mio riflesso, tentando in ogni modo di coprire quelle brutte borse che contornano i miei occhi rossi e umidi, ma mi blocco quando le note di una canzone ormai troppo familiare iniziano ad uscire dalle casse del mio iPhone: quella canzone, la nostra canzone.
I miei pensieri si rivolgono tutti completamente a te, a noi, a quello che c'è stato. Le mie mani scivolano sul mio collo, accarezzando le zone una volta marchiate dai tuoi segni rossi, ormai spariti col passare dei giorni. Un sorriso amaro e malinconico si fa spazio sul mio volto al ricordo delle tue labbra rosse a baciare la mia pelle e una lacrima prepotente solca le mie guance. È tanto che non parliamo, chissà come te la passi...
Prendo il telefono, indecisa se scriverti o meno un messaggio, quando il suono di una notifica mi distrae, facendo incurvare le mie labbra sottili in un dolce sorriso.•••
Un'altra mattina iniziava allo stesso modo, erano settimane che le giornate erano tutte uguali: una volta sveglia si concedeva una breve colazione poco sostanziosa, giusto per evitare cali di zuccheri o svenimenti, poi prendeva la bottiglia di whisky e riempiva una, due, quindici volte lo stesso povero bicchiere trasparente di quel liquido ambrato.
< Alycia, non puoi continuare così, ti stai rovinando con le tue mani, te ne rendi conto? > Maia glie lo ripeteva sempre, giorno dopo giorno, bicchiere dopo bicchiere, ma non voleva darle ascolto e puntualmente le rispondeva: < Ormai nulla ha più senso > e buttava giù un altro sorso. Aveva gli occhi gonfi per il pianto, le nocche rosse per le botte contro la parete, mentre inveiva contro una figura immaginaria solo per sfogare il suo dolore, le guance rigate dai segni delle troppe lacrime versate e lo sguardo perso, vuoto come mai prima d'ora. Non le importava più del suo aspetto, erano giorni che non usciva di casa, mangiava poco e niente e non voleva fare altro che bere sul divano di casa sua. Quella ragazza l'aveva distrutta completamente. Si era aperta a lei, le aveva dato il suo cuore, spoglio per la prima volta dopo tanto della sua armatura impenetrabile di bronzo, per paura di essere ferito di nuovo, e lei non aveva saputo fare altro che frantumarlo irreparabilmente.
"È incredibile come poche parole possano abbattere una persona in questo modo" pensava sempre tra sé e sé. Era stata presa a cannonate dalle parole della sua bionda e
l'ultimo colpo l'aveva affondata del tutto, trasformandola in un relitto infondo a un mare di disperazione e agonia.
Ogni cosa in quella casa le faceva tornare in mente quei capelli dorati e quegli occhi blu come il cielo che c'era quella mattina: più lo guardava e più immaginava di perdersi ancora nel suo sguardo splendido e ridente. Come ogni giorno da 2 settimane, alla stessa ora di sempre, Maia suonava il campanello ed entrava in casa. Era decisamente preoccupata per lo stato in cui si era ridotta la sua amica e non poteva fare altro che starle vicina ed aiutarla a superare la cosa.
< E dai Alycia smettila, sono sicura che parlandone risolverete tutto > tentava disperatamente di distoglierla dall'alcol e di tirarle su il morale.
< Maia, Eliza mi ha lasciata e mi ha detto chiaramente che non mi ama, non c'è niente da risolvere > biascicava forse un po' troppo, non faceva in tempo a riprendersi da una bevuta che tornava ad abbuffarsi d'alcol: beveva e beveva per affogare le sue pene e non pensare alla sua amata che l'aveva abbandonata.
Maia iniziava a notare qualcosa di strano nel volto della sua amica, aveva spalancato gli occhi e si guardava attorno spaesata.
< Aly tutto bene? > preoccupata si era alzata per accucciarsi di fronte a lei.
< Maia, t-ti prego, accompagnami in bagno >. Si dirigevano velocemente verso il bagno, con il braccio della sua amica intorno al suo collo per sostenerla, era talmente ubriaca che non si reggeva nemmeno in piedi. Maia le teneva i capelli raccolti dietro la testa, mentre Alycia rigurgitava quel poco che aveva mangiato a colazione. Si poggiò seduta con la schiena contro il muro, con l'affanno e il volto lucido per il sudore, rivolgeva spesso lo sguardo alla sua amica, come un sordo richiamo d'aiuto che però Maia udì forte e chiaro.
< Senti adesso mi hai veramente stancata, io non ce la faccio a vederti così > le diceva mentre la aiutava ad alzarsi da terra.
< Adesso prendi quel cazzo di telefono e la chiami >. Alycia mugolava qualcosa per scagionarsi dall'incarico che le aveva dato la sua amica: voleva chiamarla, voleva sentire ancora una volta la sua voce roca e profonda, il suo tono era così attraente e sensuale; le mancava parlare con lei, ma aveva paura di rovinare tutto, soprattutto chiamandola in questo stato, sempre se fosse possibile distruggere il rapporto più di quando non lo fosse già. Il telefono di Maia squillava insistentemente da qualche decina di secondi e dopo aver adagiato la sua amica distrutta sul divano, rispose allontanandosi un po'.
< Pronto... cosa?.... ok arrivo subito> e chiuse la chiamata.
< Boo io devo andare via subito, ti prego non cacciarti nei casini.> supplicava scuotendo la testa, quando l'amica le sorrise e annuì.
< Pensa bene a ciò che ti ho detto e fa la cosa giusta. Ah e fatti una doccia perché puzzi decisamente troppo ! > disse alzando le sopracciglia ed entrambe scoppiarono a ridere, poi si abbracciarono e Maia se ne andò. Alycia seguì il consiglio della sua amica e tornò in bagno, questa volta per farsi una doccia rigenerante. Ogni piccola goccia d'acqua che scivolava sulla sua pelle la faceva riflettere: ripensava alle parole di Maia e ancora una volta agli occhi dell'unica persona che vorrebbe tra le braccia in questo momento. Forse Maia aveva ragione, forse doveva chiamarla; non c'era niente di male nel voler sentire un'amica, perché è questo che erano ormai: amiche, solo amiche, amiche che non parlavano da 14 lunghissimi giorni. Con i capelli asciutti e la testa tra le nuvole si sedette ancora una volta sul divano, con il telefono in mano, pronta a scrivere un messaggio che però non avrebbe mai inviato.
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We deserved better
Fanfiction(Da revisionare) Eliza Taylor è un'attrice di grande successo. Bellissima e sicura di sé, interpreta Clarke Griffin, la protagonista della serie televisiva "The 100". Tutto cambia con l'arrivo di una nuova ragazza nel cast, Alycia Debnam-Carey, che...