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I genitori di Anna, per le vacanze di Natale, avevano deciso di partire per un viaggio negli Stati Uniti così, per evitare che restasse sola, la invitai a passare le vacanze con me e la mia famiglia a Roma e lei accettò.

Quando i corsi universitari furono sospesi per il periodo natalizio, Anna ed io facemmo le valigie e andammo via.

Direzione casa.

Partimmo la mattina presto, ovviamente dopo l'immancabile e inevitabile corsa. Era impensabile, per Anna, iniziare una giornata in modo diverso.

L'autobus arrivò puntuale alla stazione del treno, così riuscimmo a prendere quello delle 8.30: era quasi vuoto.

Era dicembre, ma sembrava una giornata estiva, forse perché l'aria condizionata del treno dava una temperatura equatoriale al piccolo vagone su cui viaggiavamo o forse perché non ero più abituata a vedere una giornata così bella, senza nuvole, senza nebbia.

Il viaggio mi sembrò più corto rispetto a quando ero partita, probabilmente perché adesso viaggiavo con la mia migliore amica.

«Manca ancora molto?», chiese Anna impaziente.

Era seduta davanti a me, giocherellava con la carta della gomma che stava masticando nervosamente da più di mezz'ora, ogni tanto guardava fuori dal finestrino come se si aspettasse di vedere qualcosa che le facesse capire che eravamo arrivate, ma fuori c'erano solo case e colline, nessun segnale di arrivo.

«No, siamo quasi arrivate».

«Ma è quello che hai detto l'ultima volta che te l'ho chiesto!», replicò fulminandomi con i suoi occhi disarmanti.

«Forse perché, dall'ultima volta che me l'hai chiesto, sono passati meno di cinque minuti», le feci notare sorridendo.

Come risposta mi fece una linguaccia: a volte sembrava proprio una bambina.

«Che tipo è tua madre?», mi chiese tornando improvvisamente seria.

Ci riflettei un po', non avevo mai pensato a come poterla descrivere. Quello che provavo per lei era un po' strano: un miscuglio di amore incondizionato e odio irrazionale.

«E' un po' troppo...mamma», dissi alla fine, consapevole di aver sintetizzato troppo il concetto che volevo esprimere.

«Cosa significa? Come si fa ad essere troppo mamma?», chiese infatti lei, non riuscendo a comprendere il senso delle mie parole.

«E' sempre così apprensiva...», cercai di spiegare. Anna rimase a fissarmi con espressione confusa.

«Si preoccupa di mille cose, controlla ogni mio movimento, se potesse, sono sicura che vorrebbe entrare anche nei miei pensieri, per controllare anche quelli. È troppo mamma», c'era molto altro in realtà, ma non riuscivo a spiegare, a parole, quel senso di soffocamento che stava iniziando ad assalirmi anche solo riavvicinandomi a casa.

Restò un minuto in silenzio, assorta nei suoi pensieri.

«Mi piacerebbe capire cosa significa», disse in un tono stranamente triste.

«Tua madre invece che tipo è?».

«Credo che si possa dire che è esattamente l'opposto della tua. È una di quelle donne che si preoccupano più del guardaroba che dei figli. Ha sposato mio padre più per la bella vita che poteva garantirle, che per amore», le sue parole erano dure, ma il suo volto era rilassato e tranquillo.

«Perché dici così? Magari l'amava davvero», ero colpita dal cinismo con cui stava dipingendo la sua famiglia.

«Lo so che sembra brutto, ma non sono parole mie, le ho sentito dire mille volte a mio padre che restava con lui solo per i soldi».

Lo stesso peso dell'amoreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora