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C'è una strada che corre veloce dal paradiso all'inferno,
e una porta di legno bianco per entrarci dentro.
Non guardare indietro, piccola anima, 
sorridi piano mentre sussurri il suo nome.
Amore. 

A distanza di sole poche ore, il mio paradiso personale si trasformò in un inferno.

Luca aveva saldato il suo conto con il Boss e aveva deciso di smettere. Davvero, questa volta. Così aveva buttato nello scarico del bagno le dosi che gli erano rimaste.

Mi aveva consegnato anche un paio di manette con una chiave. Nei momenti di crisi più acuta avrei dovuto legarlo al letto, per impedirgli di scappare o di farsi del male. Non gli chiesi perché avesse delle manette in casa, né dove le avesse prese: forse meno cose sapevo meglio era.

Sentivo che, finalmente, si era deciso. Si fidava di me e io non l'avrei deluso, sarei rimasta al suo fianco, ad ogni costo.

Nel giro di poche ore la situazione precipitò drasticamente. I sintomi della crisi d'astinenza, che avevo tanto temuto, arrivarono e fu terribile, oltre ogni mia previsione.

Luca peggiorava ogni minuto che passava, vederlo soffrire mi uccideva, sapevo che il peggio sarebbe passato in pochi giorni, mi auguravo solo di essere forte abbastanza. Mi auguravo che lui fosse forte abbastanza.

Avevo letto, da qualche parte, che non si moriva per una crisi d'astinenza: sperai che fosse vero.

Sperai che il suo cuore avesse retto e anche il mio.

Iniziò a tremare come una foglia, a vomitare, a piegarsi in due per il dolore allo stomaco, ma la cosa peggiore erano i suoi attacchi d'ira. In quei momenti dovevo legarlo al letto, ma non era facile.

Sapevo che, in cuor suo, voleva essere aiutato, altrimenti non mi avrebbe mai permesso di legarlo.

Quando aspettavo troppo per immobilizzarlo iniziava a rompere gli oggetti, li scagliava contro il muro e, spesso, contro di me. Così ero costretta a chiuderlo a chiave dentro la stanza in cui si trovava, sperando che non si facesse male.

Passavo le giornate a cambiare le lenzuola del suo letto e a pulire il pavimento per tutte quelle volte che non riusciva a raggiungere il bagno. A raccogliere i vetri e i pezzi degli oggetti rotti.

Eliminai dalle stanze tutto ciò che restava di fragile o pericoloso, maledicendomi per non averci pensato prima. Spostai in una stanza, che poi chiusi a chiave, i mobili dagli spigoli troppo appuntiti. Nascosi tutto quello che, in un impeto di rabbia, avrebbe potuto ferirlo o che avrebbe potuto usare per ferire me.

Con il passare dei giorni la situazione peggiorava, mi chiedevo quanto sarebbe durata, più di una volta fui sul punto di chiamare un'ambulanza o un medico, ma mi aveva fatto giurare di non farlo.

Così aspettai, ignorando le sue suppliche quando, in preda alla disperazione, mi chiedeva di dargli un po' di roba e cercando di dimenticare le minacce e gli insulti di cui mi ricopriva quando gli dicevo di no, di non farmi impietosire dalla sue lacrime o dalle sue preghiere.

Furono giorni lunghissimi. Restammo barricati in casa tutto il tempo. La notte stavo sveglia per sorvegliarlo, per cercare di evitare che urlasse troppo, mi concedevo un po' di riposo solo nei brevi momenti in cui riusciva a calmarsi.

I vicini si erano lamentati più di una volta per le grida e i rumori che provenivano dal nostro appartamento a qualsiasi ora del giorno e della notte e avevo finito le scuse, temevo che presto avrebbero chiamato la polizia.

Ma anche la notte più lunga deve finire e le cose, lentamente, iniziarono ad andare meglio.

Luca ricominciò a mangiare da solo, smise di tremare, eccetto in alcuni momenti. Il suo viso riprese un po' di colore, gli occhi, sempre stanchi e cerchiati di nero, ripresero un po' di luce.

Lo stesso peso dell'amoreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora