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Quella mattina mi svegliai presto, prima ancora che suonasse la sveglia. Finalmente il giorno che avevo tanto atteso era arrivato: partivo per l'Università.

Ciò significava nuovi amici, nuovi posti, nuove esperienze e, soprattutto, non avere più mia madre addosso in ogni singolo momento della mia vita. Sapevo che il suo controllo eccessivo era solo una manifestazione d'amore, ma non riuscivo più a sopportarla.

Non che non la capissi, sia chiaro: negli ultimi mesi mi aveva vista perdere molto peso. Probabilmente all'inizio ne era stata persino felice: avevo sempre avuto alcuni chili di troppo. Poi aveva iniziato ad accorgersi del cibo che buttavo nel bidone della spazzatura o che nascondevo nei posti più assurdi per non farmi scoprire.

Avevo cercato di coprire l'eccessiva perdita di peso con felpe e maglioni, ma ad una madre non si possono nascondere le cose troppo a lungo. Non ad una come lei.

Non era il genere di madre che fa finta di niente per non affrontare i problemi, al contrario: lei i problemi li affrontava con la grazia e la delicatezza di un carro armato.

Aveva cercato di convincermi a mangiare con dolcezza, poi con determinazione, infine con rabbia. Mi aveva supplicata, sgridata, implorata. Erano volate parole pesanti e, a volte, anche qualche ceffone, ma con il tempo si era resa conto che ogni lite, ogni supplica, ogni scontro tra noi peggiorava solo le cose. Non mi era d'aiuto, accendeva solo il mio bisogno di ribellione, la mia smania di scappare via, di chiudermi in me stessa, di scomparire.

Perciò ad un certo punto si era rassegnata al silenzio, ad un'indifferenza apparente che sicuramente le bruciava e molto.

Ora che partivo non avrebbe più potuto controllarmi. Questo la terrorizzava e ne ero dispiaciuta, ma non potevo fare a meno di gioire all'idea di allontanarmi da lei.

Mentire a mia madre mi faceva stare male, cercare sotterfugi per non cenare a casa mi faceva sentire in colpa, farla soffrire mi uccideva. Ora non avrei più dovuto farlo, avrei vissuto da sola per la prima volta in vita mia. Mi sentivo libera.

Mi preparai con calma, mentre percepivo intorno a me la casa riprendere vita: una sveglia dalla camera vicino, il profumo di caffè, i passi leggeri di mia madre, quelli pesanti e strascicati di mio fratello. I soliti rumori di casa mia, quelli che per un po' non avrei più sentito.

La mia valigia era pronta da giorni, la tenevo vicino alla porta, a portata di mano per poterci mettere le ultime cose e ben visibile perché pensare alla mia imminente partenza mi metteva di buon umore.

Mi fermai qualche secondo ad osservare la mia stanza, era il mio rifugio, l'unico posto in cui mi sentivo davvero al sicuro. Era rimasta semivuota: i pochi vestiti che avevo erano tutti in valigia, assieme ai miei pochissimi trucchi e al mio unico paio di scarpe eleganti, quelle da ginnastica erano già ai miei piedi.

Quel poco che rimaneva era in perfetto ordine: il letto appena rifatto e i libri delle superiori in fila sugli scaffali della scrivania.

«Hai preso tutto quello che ti serve?», chiese mia madre entrando senza nemmeno bussare. In fondo non era certo una novità, la privacy non esisteva in casa mia.

«Buon giorno anche a te mamma».

«Buon giorno tesoro. Hai preso tutto quello che ti serve?», ribadì la domanda, questa volta più lentamente, non accorgendosi nemmeno dell'ironia nella mia voce.

«Sì mamma».

«Sei sicura?», quel tono premuroso, intriso di angoscia e di ansia per ogni piccolo e insignificante imprevisto, non mi sarebbe affatto mancato.

«Sì, sono sicura».

«Hai lo spazzolino? Il dentifricio?».

«Sì», risposi con la massima pazienza, iniziando a trascinare la valigia fuori dalla camera e preparandomi ad affrontare la rampa di scale che mi separava dal piano terra.

Lo stesso peso dell'amoreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora