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Quella mattina mi svegliai piuttosto tardi, come mi capitava spesso da quando Anna aveva allentato la presa con la corsa. Recuperavo le ore irrequiete della notte con quelle della mattina e non mi dispiaceva perché così le giornate sembravano più corte.

Come sempre mi alzai, feci la doccia e mi preparai per andare a lezione e, come sempre, ebbi appena la percezione di ciò che stavo facendo. Mi sorprendeva un po' come la vita fosse diventata una cosa meccanica, un ripetersi di gesti a cui non davo peso.

Non trovai Anna ad aspettarmi in sala mensa e neppure nella sua stanza, nemmeno a lezione si fece vedere. Provai più volte a chiamarla ma il suo cellulare era sempre spento.

Iniziavo a preoccuparmi, non era da lei sparire in quel modo, senza avvisare.

Finalmente, mentre stavo tornando ai collegi, dopo una lezione che mi era sembrata infinita, ricevetti un suo messaggio.

"Vediamoci tra 15 minuti al bar vicino alla facoltà, quello in via Dante. Devo parlarti".

Quel messaggio troppo sintetico invece di calmarmi mi preoccupò ulteriormente. Quel sentimento di agitazione mi risvegliò dal mio stato di apatia e lo percepii ancora più intensamente.

Forse era successo qualcosa di brutto a mio fratello o a mia madre. Mi ricordai che non chiamavo casa da un paio di giorni, né mia madre aveva chiamato me, il che, a pensarci bene, era ancora più insolito.

Tornai indietro velocemente, quasi di corsa, fino al posto dell'appuntamento.

Impiegai meno di dieci minuti per raggiungere il bar ma lei non c'era ancora. Ordinai un caffè e mi sedetti al tavolo centrale, in modo che, al suo arrivo, potesse vedermi.

Chiusi gli occhi e respirai profondamente per calmarmi, sapevo che era assurdo preoccuparsi tanto, di sicuro ero io che, come al solito, immaginavo drammi inesistenti. Il fatto era che quell'improvvisa sensazione, la prima che provavo dopo tanto tempo, mi stordiva.

Mi massaggiai leggermente le tempie, per allontanare il senso di nausea che iniziava ad assalirmi e tenni gli occhi chiusi, per restare concentrata sui battiti del cuore, cercando di tenerli sotto controllo.

Cercai di sintonizzarmi sui discorsi di una coppia di ragazzi seduti al tavolo vicino, ma non erano abbastanza interessanti da riuscire a distrarmi.

Improvvisamente mi sentii toccare la mano, sussultai e aprii gli occhi sollevata.

«Finalmente, ma dove...», la voce mi rimase bloccata in gola.

Davanti a me non c'era Anna, ma due occhi che credevo non avrei più rivisto.

Sbagliavo ogni volta che li paragonavo al colore del cielo, non c'era cielo al mondo che avesse quel colore.

Era seduto davanti a me, con un sorriso triste, i capelli più corti dell'ultima volta, ma era sempre la cosa più bella che avessi mai visto.

Con le dita sfiorava la mia mano e da lì partiva una scossa di elettricità che mi rianimava il cuore.

Il sangue tornò a pompare nelle vene, il cuore si ricompose e riprese ritmo.

Istintivamente girai la mano, quella che lui stava sfiorando, con il palmo verso l'alto per farlo combaciare con il suo. Le mie dita accarezzarono il suo polso e si intrecciarono alla sua mano senza che io potessi impedirlo. Poco importava alla mia mano quanto io avessi potuto avercela con lui: lei desiderava solo toccare la sua pelle.

Evidentemente non era la reazione che si aspettava perché vidi la sorpresa nei suoi occhi. Poi sorrise.

Sollevò le nostre mani intrecciate e le avvicinò al suo viso, in modo che il dorso della mia mano lo accarezzasse e delicatamente, posò le sue labbra sul mio polso, respirandone l'odore.

Lo stesso peso dell'amoreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora