Mi svegliai tardi. Mentre i miei pensieri tornavano lucidi, i dettagli del suo viso si perfezionavano nella mia mente. A quel punto capire se si trattava solo di un sogno era quasi impossibile.
Saltai giù dal letto troppo velocemente, mi girò la testa e la stanza perse per un attimo i contorni. Mi sedetti di nuovo sul letto, per non cadere, aspettando che le cose riprendessero la loro forma e si fermassero.
Mi alzai, questa volta lentamente, cercai il cellulare. Lo trovai sepolto dai vestiti che la sera prima avevo accatastato sulla scrivania e lo accesi. Quel minuto d'attesa necessario per farlo ripartire rischiò di farmi impazzire. Finalmente il cellulare riprese vita, cercai tra i pochi nomi della mia rubrica il suo. Se non fosse stato solo un sogno avrei dovuto trovare il numero di telefono che mi aveva dato meno di ventiquattro ore prima. Lo trovai, il mio cuore scalpitò e non potei fare a meno di sorridere come una scema, con il cellulare stretto tra le mani.
Ancora su di giri mi avvicinai alla parete trasparente per spostare la pesante tenda e guardare fuori. La pioggia aveva lasciato posto ad un cielo straordinariamente azzurro, come se tutta quell'acqua l'avesse ripulito dal grigio delle nuvole. Il sole, abbagliante, disegnava quadrati di verde più chiaro. L'enorme distesa di prato sembrava una scacchiera.
Ero felice e sapevo che non era tutto merito del sole: era sabato, mancavano meno di dieci ore all'appuntamento.
Dovevo ancora raccontarlo ad Anna. Mi sbrigai a fare la doccia e mi vestii con le prime cose che trovai sotto mano, ero troppo impaziente di raccontarle tutto.
Quando bussai alla porta della stanza della mia migliore amica, lei era già tornata dalla sua corsa, era vestita, pettinata e truccata come sempre in modo impeccabile e mi stava aspettando. Io ero un disastro, come al solito.
Si contemplò per l'ultima volta allo specchio e soddisfatta si decise ad uscire.
Mentre facevamo colazione insieme, le raccontai del mio invito per quella sera. Volle tutti i dettagli, parola per parola e, alla fine del racconto, sembrava più entusiasta di me, ammesso che fosse possibile.
«È fantastico Giulia! Lo sapevo che ti avrebbe chiesto di uscire», gli occhi le brillavano di gioia e la voce le tremava di emozione. Non mi aspettavo una reazione tanto accesa.
Improvvisamente, però, la sua espressione diventò seria, poi preoccupata.
«O mio dio!», esclamò facendomi sobbalzare.
Aveva lo sguardo fisso nel vuoto, mi guardai attorno, alla ricerca di un pericolo imminente o di qualsiasi cosa avesse potuto farla reagire così.
«Cosa c'è Anna?», chiesi in ansia non avendo trovato niente di strano, almeno non nel raggio di dieci metri da noi.
«Presto, andiamo», disse tirandomi via per un braccio.
«Dove?», le chiesi preoccupata, lasciandomi trascinare.
«Ma come dove? Guardati! Dobbiamo trovare qualcosa di carino da mettere per il tuo appuntamento e renderti presentabile. Non puoi uscire con un ragazzo in tuta da ginnastica», stava quasi strillando.
«Ma mancano ancora un sacco di ore», provai a protestare.
«Ci servirà tanto tempo per sistemarti», insistette lei, non curandosi affatto di offendere i miei sentimenti.
«Tante grazie», dissi con un mezzo sorriso.
«Dai, sai cosa intendo», rispose lei tranquilla e dopo avermi trascinata in camera sua, iniziò la tortura.
«No, scordatelo: quello non lo metto nemmeno morta!», strillai.
Erano già le otto di sera, mancava solo un'ora all'appuntamento che, ormai, era diventato un incubo. Per la prima volta da molto tempo andare a pranzo era stato un sollievo: almeno la tortura si era interrotta per qualche minuto, anche se poi era ricominciata amplificata.
Avevo lottato tutto il giorno contro Anna che, con un arnese infernale, pretendeva di farmi un'assurda acconciatura a boccoli. Alla fine avevamo trovato un compromesso: le avevo permesso di passarmi la piastra sui capelli promettendole di lasciarli sciolti.
Dopo i capelli era passata al trucco. L'avevo assecondata: mi ero fatta truccare come una bambolina. Quando mi ero guardata allo specchio, però, sembravo un pagliaccio perciò, tra le sue urla, mi ero lavata il viso in fretta, ma accuratamente. Meglio al naturale che conciata come la brutta copia di un clown.
Ora mi sventolava davanti un assurdo vestito rosa confetto, senza maniche e con la gonnellina di pizzo.
«Anna, è inutile che insisti», sbuffai cercando di riprendere un tono più umano, per non litigare, «non posso mettere quel vestito».
«Perché no?», chiese sbarrando gli occhi.
«Per prima cosa è tuo, quindi a me non può entrare».
«Ma certo che ti entra, ti starà solo un po' più corto», m'interruppe.
«Non voglio uscire con il sedere di fuori. Poi è un vestito estivo, siamo in pieno inverno, vuoi farmi congelare?», provai a buttarla sul melodrammatico.
«L'inverno è quasi finito».
«È l'otto di marzo, Anna».
«Quasi primavera!», esclamò trionfante.
«È ancora freddo».
«Sopra ci metti il cappotto, poi quando entrate al calduccio togli il cappotto e resti con il tuo bel vestito. Vedrai, non potrà resisterti, sarai bellissima», aveva già lo sguardo sognante.
«Ma non so nemmeno dove andiamo. Scordatelo, non lo metto», cercai di essere categorica.
Chiusi la discussione infilando i miei jeans preferiti e un bel maglione caldo: gli stessi vestiti che avevo preso dal mio armadio cinque ore prima e che, per tutto il pomeriggio, avevo cercato di convincere Anna a farmi indossare. Solo all'idea di quell'abito fino e striminzito, mi sentivo congelare. Poi era escluso che indossassi un vestito così scoperto e aderente, il mio corpo orrendo doveva restare coperto, possibilmente sotto pesanti e larghi strati di stoffa. Odiavo tutto quello che faceva risaltare le mie forme.
Diedi un bacio sulla fronte ad Anna.
«Dai, non essere arrabbiata, domani ti racconterò tutto», le promisi sorridendo.
«È la festa della donna, oggi», disse imbronciata.
Realizzai solo in quel momento che, forse, era offesa perché non uscivo a festeggiare con lei e le altre ragazze. Anna stava programmando quella serata da settimane, ma quando Luca mi aveva chiesto di uscire non mi era nemmeno passato per la mente che il nostro appuntamento coincidesse con quella ricorrenza e, probabilmente, anche se me ne fossi ricordata avrei comunque accettato.
«Allora? Qual è il problema?», chiesi dolcemente, già in preda ai sensi di colpa. Se mi avesse chiesto di disdire l'appuntamento per stare con lei l'avrei fatto, ma mi sarebbe davvero costato tanto.
«Il problema è che, conciata così, sembri un maschiaccio», sbottò lei, ed io scoppiai a ridere.
Era incredibile quella ragazza, viveva per seguire la moda e io ero la sua più grande delusione, ma fui sollevata all'idea che il problema fosse solo il vestito.
«Divertiti stasera», le dissi prima di uscire.
«Anche tu», rispose, ma il tono era ancora imbronciato.
Infilai il cappotto e uscii ad aspettare il mio principe azzurro, lasciando Anna seduta a braccia e gambe incrociate sul suo letto.
Risi ripensando alla sua espressione offesa. Sapevo che tra dieci minuti al massimo le sarebbe passata. Lei era fatta così.
Quando arrivai nel parcheggio dei collegi era pieno di macchine. Mi ero scordata di chiedere a Luca che tipo di macchina avesse, non sarebbe stato facile riconoscerlo.
Mentre cercavo di identificare le sagome scure delle auto, nel buio del piazzale, sentii un rumore quasi impercettibile alle mie spalle e, prima che avessi il tempo di voltarmi, due mani morbide e calde si posarono delicatamente sul mio viso, chiudendomi gli occhi.
«Pronta per la sorpresa? Ti porto in un posto magico», mi sussurrò all'orecchio.
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Lo stesso peso dell'amore
ЧиклитQuanto pesa l'amore? E' leggero come una piuma o pesante come un macigno? Per Giulia il peso è l'unica ossessione. Almeno finché non conosce Luca.