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Seduto sul mio telo da mare c'era Loris: il suo bel viso sorridente mi osservava stupito, mentre il vento gli scompigliava i capelli scuri che contornavano un'abbronzatura perfetta.

Tolsi una cuffietta dall'orecchio per poterlo sentire.

«Ciao Loris. Cosa ci fai qui?».

«Veramente stavo per farti la stessa domanda. Teo mi ha chiamato poco fa, dicendomi che ci saremo visti qui, ma non mi ha detto che ci saresti stata anche tu. Lui dov'è?».

«E' andato a farsi una nuotata», risposi indicando il mare e, per un breve ma intenso istante, mi augurai che affogasse.

Certo, mi aveva incastrata, di nuovo. Ecco il perché di quei discorsi sul trovarsi un bravo ragazzo e sul dimenticare. A casa gli avrei dato qualcosa io da dimenticare.

«Come stai?», mi domandò. Si era tolto i vestiti sfoggiando il suo fisico scultoreo, mentre io ero ancora in pantaloncini e canottiera.

«Sto bene», mentii.

«Si vede. Hai un aspetto magnifico. Non ti ho mai visto così bella».

«Grazie», tornai a guardare il mare. Si vedeva che Loris non mi conosceva affatto, io non mi ero mai sentita più a pezzi di così.

«E tu come stai?», gli chiesi più per essere gentile che per reale interesse.

«Insomma... - anche il suo sguardo si perse in quell'immobile distesa d'acqua - in realtà non è un bel periodo».

« Cosa c'è che non va?».

«Niente in particolare, è solo che, a volte, mi ritrovo a fare un bilancio della mia vita. Ti è mai capitato?».

«So cosa intendi», lo sapevo bene cosa voleva dire tirare le somme di ciò che avevi fatto, ottenuto, dato nella vita, di ciò che avevi perso, lasciato, di ciò che avevi e di ciò che ti mancava. Quella terribile sensazione che il tempo scivoli via troppo velocemente, senza che tu riesca a riempire bene la pagina bianca della tua vita e ti soffoca il pensiero che forse, forse, avresti potuto scriverla meglio, avresti potuto scrivere di più, ad esempio o usare parole migliori, immagini più belle. Avresti potuto trovare personaggi più interessanti da inserirci, emozioni più vere, più intense. Avresti potuto, avresti dovuto. Forse l'avresti voluto, ma non è la stessa cosa. Se non l'hai fatto, probabilmente, è stato perché non potevi, non hai trovato il modo o, forse, non c'era un modo per renderla migliore. Forse, semplicemente, hai dato il massimo che avevi da dare. Peccato solo non sia bastato.

«E cosa viene fuori da questo bilancio?», gli chiesi.

Lui mi guardò negli occhi, sembrò rifletterci qualche secondo per cercare le parole giuste.

«Diciamo solo che non è un bilancio positivo, è più quello che ho perso di quello che sono riuscito ad ottenere. Spesso mi ritrovo a guardarmi allo specchio e, ogni volta, mi chiedo:

Ma ti rendi conto di quanto sia noiosa la tua vita? Mai una cazzata, mai una follia. E' sempre tutto così piatto e monotono.

Perfino quando ho sbagliato, ho sbagliato facendo la scelta più ovvia, quella più saggia», il suo sguardo era incredibilmente triste.

«Sì, capisco cosa intendi dire», cercai di fare in modo che si sentisse compreso, che non si sentisse solo.

«E allora dai, facciamola una stronzata per una volta nella vita! - si alzò in piedi, nello sguardo una luce strana, una scintilla di follia - «Fumiamoci uno spinello davanti alla caserma dei Carabinieri, passiamo davanti ad una veglia funebre urlando "è qui la festa?", entriamo nel bar più fighetto del centro vestiti da Antonio e Cleopatra, corriamo in mutande per la via principale alle quattro precise di un sabato pomeriggio. Prendiamo a calci in culo questo mondo schifoso finché non diventa quadrato. Ci stai?», chiese con gli occhi accesi di eccitazione.

Non mi vedeva da tanto tempo e quella valanga di parole, quello sfogo improvviso, gli era uscito spontaneo, come se fossi la sua migliore amica.

Quello era il primo discorso sensato che gli sentivo fare, ed era bizzarro che provenisse proprio da un momento di follia.

Scoppiai a ridere, una di quelle risate che nasce da dentro, da in fondo all'anima. Una di quelle risate che ti fanno stare bene, tanto da piangere.

«Ok - dissi ancora ridendo e con gli occhi lucidi - va bene, ci sto! Cosa vuoi fare?».

«Facciamo... facciamo... - non lo sapeva, cercava qualcosa di folle ma non riusciva a trovarlo - facciamo il bagno nudi», disse alla fine.

«Cosa? Scherzi vero? È pieno di gente».

«E chi se ne frega. Siamo liberi!», urlò e si tirò giù il costume restando completamente nudo.

Rimasi di sasso per qualche secondo, mentre lui mi guardava speranzoso, aspettando che lo seguissi.

Qualche secondo di indecisione. Poteva essere una scusa per farmi spogliare? Lo esclusi subito, sembrava travolto da tutt'altri pensieri.

«Ma sì, facciamolo!», esclamai, sorprendendo anche me stessa.

Presa da non so quale contagiosa follia, mi alzai e mi tolsi i vestiti, tutti quanti, costume compreso.

Loris mi prese per mano e, come due matti, corremmo dentro l'acqua urlando a squarciagola, mentre la gente attorno a noi ci guardava sbigottita.

Non mi ero mai vergognata tanto in vita mia, né mi ero mai sentita più libera.

Per qualche minuto il mio cuore riprese a battere, la mia mente si liberò di tutti quei pensieri che la opprimevano.

C'eravamo solo io e il mare azzurro, nemmeno un brandello di stoffa a dividerci.

Quando mio fratello ci raggiunse eravamo ancora in preda ad una meravigliosa follia.

Nuotavamo liberi e felici, ridendo come non avevo più fatto, da un periodo che sembrava infinito.

Teo non perse nemmeno tempo a capire cosa stesse succedendo, in quattro secondi fece volar via il costume che iniziò a galleggiare, anche lui libero, spostato appena dalla corrente.

Tre idioti, nudi come vermi, a ridere e giocare in mezzo all'acqua, mentre il sole tramontava alle nostre spalle macchiando quell'insopportabile azzurro di sfumature rosso intenso.

E restammo lì, finché il buio ci avvolse e ci riportò alla realtà. Per fortuna nessuno aveva chiamato la polizia.

A riva recuperammo i nostri vestiti e, con loro, il peso delle nostre vite, ma Loris ora sembrava più sereno e io mai avrei pensato di potermi trovare così in sintonia con lui.

«Ragazzi, avete visto il mio costume?», chiese mio fratello uscendo dall'acqua completamente nudo.

«Oh Teo, per favore, copriti! Sei uno spettacolo disgustoso», disse Loris, scherzando.

«Guarda che avete iniziato voi, io vi ho solo seguito», replicò offeso.

«Ma almeno noi non ci siamo persi i vestiti», gli feci notare. Vederlo nudo avrebbe dovuto imbarazzarmi di più, invece mi sembrava di essere tornati bambini, quando facevamo il bagno insieme come se fosse la cosa più naturale del mondo e anche con Loris era la stessa cosa. Eravamo cresciuti insieme, era come un fratello, il suo corpo era oggettivamente molto bello, ma non provocava in me nessuna emozione, niente a che vedere con un corpo ben diverso e altrettanto bello, a cui mi pentii all'istante di aver pensato. Chiusi gli occhi e mi concentrai subito su immagini diverse, per cancellare i miei stupidi pensieri.

«Vorrà dire che dovrò mettere i pantaloni senza costume. Peccato, era il mio preferito», disse e si rivestì.

Il suo costume continuò a galleggiare libero, in chissà quale punto del mare, per chissà quanto tempo.

Lo stesso peso dell'amoreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora