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«Ciao Loris, entra pure», mi sforzai di essere gentile, ma non riuscivo a sorridere, sentivo i muscoli del viso contratti. Lui entrò con un sorriso enorme, su quel suo viso fastidiosamente perfetto e in mano una scatola di cioccolatini a forma di cuore.

Oh mio dio! Urlò la mia testa.

«Questi sono per te. Buona vigilia di Natale».

Disse porgendomi i cioccolatini.

«Gra-grazie. Non dovevi», no, proprio non avrebbe dovuto.

«Figurati, per me è un piacere», rispose mostrando una fila di denti straordinariamente bianchi, in un sorriso da pubblicità.

Si tolse il cappotto lanciandomelo addosso e in meno di un decimo di secondo era già spaparanzato sul divano insieme a mio fratello a guardare uno stupido film demenziale.

L'uomo perfetto!

Confusa e rassegnata raggiunsi Anna e mia madre in cucina e le aiutai a sistemare le ultime cose.

«Tutto bene?», chiese Anna, evidentemente notando la mia espressione disperata.

«Non chiedermelo», risposi secca e lei scoppiò a ridere.

Possibile che il resto del mondo trovasse così buffi i miei problemi?

La cena fu lunga ed estremamente imbarazzante. Loris, ovviamente, si era seduto vicino a me e tra un complimento alle cuoche e una portata e l'altra, mi lanciava sguardi languidi, cercando di prendermi la mano che io, con l'abilità di un'illusionista, riuscivo sempre a spostare all'ultimo secondo.

Ogni scusa era buona per alzarmi da tavola il più possibile e correre in cucina: una volta perché mancava quello, un'altra volta perché mancava quell'altro, una volta finsi persino di aver sentito squillare il cellulare al piano di sopra. Quella cena stava diventando davvero faticosa.

All'ennesimo viaggio in cucina Loris mi seguì, me ne accorsi solo quando, appoggiata al tavolo della cucina, stavo tirando un sospiro di sollievo per quei dieci secondi di pace e mi sentii toccare la spalla da dietro.

Mi voltai di scatto, beccata in pieno!

«C'è qualche problema?», chiese lui gentilmente.

«No, tutto bene», mentii senza troppa convinzione.

«Senti Giulia, mi dispiace, non sarei dovuto venire stasera», disse con tono serio.

Un' ondata di sensi di colpa mi invase all'improvviso, togliendomi quella determinazione che avrei dovuto avere.

«No, ma che dici? Mi fa piacere che tu sia qui», facevo schifo come attrice, dovevo dirgli la verità.

«Davvero?», chiese speranzoso.

«Certo. Come amico però», precisai sperando che capisse da solo, senza dover aggiungere altro.

«Sì, l'avevo immaginato. Sapevo che era troppo sperare che potesse esserci di più».

Sorprendentemente aveva capito e gli leggevo la delusione stampata in faccia.

Al senso di colpa si aggiunse un sentimento diverso, strano, non avrei saputo definirlo con una sola parola: lui era convinto che io fossi troppo? Io, che sapevo perfettamente che non sarei stata mai abbastanza per nessuno?

«Ma dai, non dire così», cercai di recuperare la situazione, per mettere a tacere quella vocina che nella mia testa mi stava urlando i peggiori insulti. «Sei un ragazzo... bellissimo, anche troppo bello per me, ma ti vedo come un fratello».

Lo stesso peso dell'amoreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora