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In quel susseguirsi strano di giorni, riuscì ad arrivare anche la primavera. L'erba diventò più verde, i prati si colorarono di fiori, le giornate si fecero più calde e i vestiti più leggeri. Ma il peso che portavo dentro era sempre quello.

Non percepivo con troppa chiarezza ciò che mi succedeva intorno. Ero ancora avvolta in quella bolla di torpore che avevo costruito per non impazzire e mi andava bene così.

Per quanto fossi confusa, però, per quanto annebbiata fosse la mia mente, non potè sfuggirmi il fatto che da alcuni giorni la mia migliore amica si comportasse in modo strano. I miei sensi erano intorpiditi, ma non ero tanto cieca da non accorgermene.

Spesso la trovavo assorta nei suoi pensieri, insolitamente silenziosa. Riceveva continuamente messaggi che faceva finta di ignorare. Le arrivavano telefonate misteriose a cui non rispondeva, ma che la costringevano, imbarazzata, a nascondere il telefono oppure ad uscire dalla stanza per rispondere. Quando le chiedevo spiegazioni, inventava qualche scusa poco credibile e arrossiva.

Anna che arrossiva era una novità, non poteva certo passare inosservata.

Anche a lezione, quella mattina, aveva passato gran parte del tempo a scrivere messaggi sul cellulare.

Era abbastanza chiaro che mi nascondesse qualcosa.

«Mi accompagni nella libreria qui vicino? Devo comprare ancora i libri per il prossimo esame», le chiesi dopo la lezione. Per quanto non fosse la mia passione farmi accompagnare da lei in libreria, era sempre meglio che restare sola. Ultimamente la solitudine cercavo di evitarla come la peste. Dopo mesi di isolamento totale, infatti, ero entrata in quella fase in cui avevo il terrore di restare sola troppo tempo perché, appena succedeva, i ricordi mi assalivano e non riuscivo più a difendermi.

Lei guardò l'orologio, come se avesse un impegno.

«Mmm... non posso, scusa, devo prima fare una cosa, ci vediamo più tardi a mensa, ok?».

«Ok», mugugnai, ma lei era già corsa via.

Possibile che Anna avesse un altro? Che tradisse mio fratello? Ricacciai alla svelta quel pensiero, incapace di accettare un'idea simile. Mi vergognai di averlo pensato, eppure tutta quella segretezza la rendeva colpevole.

Raggiunsi la mia libreria preferita in pochi minuti, non c'era nessuno ma, come al solito, persi un po' più tempo del previsto tra gli scaffali. Era più forte di me, quando vedevo i libri perdevo il senso della realtà.

Quando riuscii ad uscire mi affrettai a raggiungere la mensa, ero certa di essere in ritardo. Anna mi avrebbe rimproverata perché l'avevo fatta aspettare.

Arrivai in sala mensa in pochi minuti, ma lei non c'era, pensai potesse essere già andata via, ma c'era così tanta gente che era impossibile avesse già fatto la fila e finito di pranzare.

Infatti, poco dopo, la vidi arrivare di corsa. Si fece largo tra le persone in fila, passando davanti a molti per raggiungermi.

Sentivo levarsi le lamentele della gente che aveva superato, ma lei, che viveva nel suo mondo, nemmeno se ne accorse.

«Scusa, ho fatto tardi», disse in evidente imbarazzo.

«Non preoccuparti, sono arrivata da poco, ho fatto tardi anch'io. Ma dove sei stata?».

«Te l'ho detto, avevo una cosa urgente da fare», rispose vaga, abbassando lo sguardo.

Capii che non voleva parlarne, perciò non feci altre domande. La conoscevo bene, era una ragazza sincera, trasparente, non sapeva inventare bugie. Quando non voleva raccontare qualcosa non accampava scuse, si manteneva sul generico per evitare di dover mentire. Sapevo anche quanto fosse testarda, perciò insistere per farla parlare sarebbe stato completamente inutile.

Lo stesso peso dell'amoreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora