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Quando riaprii gli occhi impiegai qualche secondo per capire dove fossi.

Il torpore del sonno fu cancellato dall'ondata di ricordi che mi colpì all'istante, come un pugno allo stomaco che mi tolse il respiro e la voglia di vivere.

Gli ultimi giorni erano stati un inferno, mi sembravano mesi, mi sembravano infiniti.

Il sole filtrava dalla finestra della camera di Anna, disegnava piccoli cerchi sul soffitto.

Lei non c'era, sicuramente era andata a correre oppure era già a lezione. Non sapevo, di preciso, che ora fosse.

Mentre mi rigiravo nel letto cercando di rimettere insieme i pezzi della mia vita, mi ritrovai a pensare alla normalità della sua, a tutti quei colori, quelle sfumature, quella luce che, stando in quella casa, avevo perso.

C'era troppo buio in quell'appartamento, era un carcere dorato in cui mi ero rinchiusa per troppo tempo.

Eppure, più si faceva spazio in me il sollievo di esserne fuori, più mi sentivo in colpa per quello che avevo fatto: l'avevo lasciato solo nel momento in cui aveva davvero bisogno di me.

Ero scappata.

Mi ero arresa.

Mi alzai di scatto dal letto, avevo ancora addosso i vestiti del giorno prima.

Andai in bagno cercando di raccogliere le idee, mi lavai il viso con l'acqua ghiacciata, ancora indecisa.

I pensieri mi affollavano la testa, era in atto una guerra tra cuore e cervello.

Il cervello mi diceva di stare alla larga da quella casa e da tutto ciò che conteneva.

Il cuore mi spingeva a tornare sui miei passi, a tornare da lui che, ormai, era parte di me.

Mi guardai allo specchio, il viso stanco e sfigurato, un labbro rotto, un grosso livido scuro. Ma le ammaccature che avevo fuori erano niente rispetto ai lividi che mi portavo dentro.

Il senso di colpa mi soffocava e lentamente prevalse su ogni altro sentimento. Gli avevo fatto una promessa che non avevo saputo mantenere. Ero imperdonabile.

Ora che la paura e la rabbia erano svanite, mi restava solo il peso delle mie colpe, dei miei fallimenti. Mi restava il rimorso per averlo lasciato e il timore che potesse aver fatto una sciocchezza o che potesse stare male.

L'idea di non rivederlo più, poi, era intollerabile per la mia mente, figuriamoci per il mio cuore, si rifiutava perfino di prenderla in considerazione un'idea come quella.

Improvvisamente sapevo cosa dovevo fare: dovevo tornare da lui e rimettere le cose a posto, ero ancora in tempo, potevo farcela, potevamo farcela. Sperai che il mio momento di debolezza non avesse avuto conseguenze irrimediabili.

Corsi fuori dalla stanza, fuori dai collegi.

Corsi lungo la strada che avevo fatto solo poche ore prima e che le lacrime avevano offuscato. Ora era chiara e nitida davanti ai miei occhi, sotto il mio sguardo finalmente determinato e sicuro, perché avevo fatto una scelta ed era quella giusta.

Corsi, sicura di aver preso la decisione che dovevo prendere, determinata a salvarlo, a rimediare ai miei errori.

Avrei ricominciato da capo, se necessario. Avremmo ricominciato da capo. Io e Luca, insieme.

Potevamo farcela, dovevamo farcela.

Non m'importava quanto tempo ci sarebbe voluto, gli sarei stata vicino anche tutta la vita, sarei stata la sua ancora, come lui era stato la mia e poco importava se ero un'ancora piccola e inutile, avrei fatto del mio meglio comunque. Avrei fatto in modo che trovasse il suo punto di equilibrio, anche se, forse, non sarei stata io quel punto.

Lo stesso peso dell'amoreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora