18.

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Rimasi lì per una ventina di minuti buoni, mentre la mensa si svuotava e il piatto di pasta che avevo davanti continuava a fissarmi minaccioso. Era una sfida tra me e lui. Agguantai la forchetta e la avvicinai al piatto con decisione. Infilzai ancora un po' di pasta con rabbia e iniziai a masticare, lentamente, sperando che il sapore migliorasse, poi mi decisi e mandai giù.

In meno di trenta secondi avevo perso la sfida, la pasta ne usciva trionfante perché solo l'idea di dover mandare giù quella roba nel mio stomaco già in subbuglio, mi dava la nausea.

Raccolsi le mie cose e mi alzai dal tavolo, riposi il vassoio nel porta vassoi della mensa e, all'ultimo secondo, afferrai la mela che avevo abbandonato lì, vicino al piatto. Sarebbe stata comunque una sconfitta, ma non su tutti i fronti.

Uscii dalla mensa, con la mia bella mela in mano e l'addentai. Non fu così tremendo, il sapore dolce della frutta mi nauseava decisamente meno di quello della pasta, mi dava anche meno problemi con i sensi di colpa che, inspiegabilmente ma inesorabilmente, mi assalivano dopo aver mangiato.

Masticai lentamente, riflettendo bene tra un morso e l'altro, per essere sicura che il mio stomaco l'avrebbe sopportato.

Scoprii che mangiare camminando mi piaceva, così riuscivo a distrarmi e tutto sembrava più facile.

Raggiunsi la via principale, quella che portava alla piazza centrale e cercai di concentrarmi sulle vetrine dei pochi negozi del centro.

«Sembra buona quella mela, posso darci un morso?», per poco la mela non mi andò di traverso.

«Pensavo fossi andato a casa», dissi voltandomi per guardare di nuovo quell'essere incredibilmente bello.

«Non ancora, dovevo incontrare degli amici in un bar qui vicino, ma ora torno a casa».

Ecco dove andava ogni giorno dopo pranzo, doveva vedersi con i suoi amici. In effetti, non l'avevo mai visto parlare con nessuno in facoltà, forse i suoi amici frequentavano altri corsi e dopo pranzo era l'unica occasione che avevano per vedersi. Quanto avrei voluto poterlo sommergere di domande, riuscire a sapere tutto di lui, conoscerlo davvero.

«Allora? Posso assaggiarla?», chiese indicando la mela che avevo in mano.

«Dici davvero?», chiesi, stupita da quella richiesta.

«Certo!».

«Se vuoi...», gli porsi la mela, girandola dal lato opposto a quello che avevo morso.

Lui si avvicinò a me, prese delicatamente il mio polso tra le sue dita calde, avvicinò le labbra bellissime alla mela, poi girò leggermente la mia mano addentando la mela nel punto esatto in cui l'avevo morsa io e mi restituì il braccio lasciando la presa.

«Avevo ragione, è davvero buona».

Ora c'era il segno di un morso grande, vicino a due più piccoli, ed io, come una scema, non potei fare a meno di pensare che lì, proprio lì, si erano fermate le sue labbra, proprio nel punto in cui erano state le mie.

«Torni ai collegi?», chiese risvegliandomi dai miei imbarazzanti pensieri.

«Sì», arrossii, come se lui avesse potuto anche solo lontanamente immaginare cosa passava nella mia mente contorta.

«Allora ti accompagno per una parte del tragitto. Ti dispiace se per un po' ti faccio compagnia?».

«No, certo che non mi dispiace», forse pronunciai quelle parole con un po' troppo slancio, ma a lui non sembrò dispiacere.

Mi sorrise in un modo così incantevole da farmi dimenticare la direzione in cui dovevo andare, perciò mi limitai a seguirlo.

Ricordai la strada solo quando raggiungemmo i portici che mi piacevano tanto, rallentai leggermente perché lì la superficie era sempre scivolosa e, già che le gambe mi tremavano, non volevo rischiare di cadere, non con lui ad osservarmi.

Lo stesso peso dell'amoreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora