22.

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«Mi sei mancata», sussurrò, tenendomi stretta tra le sue braccia.

«Ci siamo visti solo ieri, non sono passate nemmeno ventiquattro ore», eppure sapevo perfettamente cosa voleva dire, mi era mancato anche lui.

Rise imbarazzato dalle mie parole.

«Forse hai ragione, dovrebbe essere presto per sentire la tua mancanza quando non ci sei, eppure è così».

Quella frase, pronunciata con tanto slancio, quei sentimenti confessati in modo così diretto, normalmente mi sarebbero sembrati solo una bugia: erano sentimenti troppo intensi e prematuri per essere reali. In una situazione diversa non ci avrei creduto, ma erano gli stessi sentimenti che provavo io per lui, perciò mi fu fin troppo facile credere che fossero veri.

I suoi sentimenti erano i miei e niente, in quel momento, mi sembrava più reale.

Sciolse l'abbraccio e mi prese di nuovo la mano.

«Ti va di fare una passeggiata con me?».

«Certo», cercai di reprimere quel bisogno folle di dirgli che anche lui mi era mancato, di confessargli quanto fossi, ormai, completamente dipendente da lui.

Feci un respiro profondo per riacquistare lucidità. Dovevo continuamente ricordare al mio cuore che quel ragazzo stupendo lo conosceva appena e che ogni slancio che poteva sembrargli così naturale, non lo era e andava tenuto a freno, almeno per il momento, anche se lui non sembrava fare lo stesso.

Insieme ci avviammo verso il centro di quella piccola e magica città.

Mi piaceva il suo profumo.

Mi piaceva che mi tenesse per mano.

Mi piaceva il modo in cui mi guardava.

Mi piaceva il suo sorriso.

Mi piaceva quella città fatta di palazzi enormi e di milioni e milioni di piccoli e antichi mattoni.

Mi piaceva il sole che illuminava i suoi occhi rendendoli ancora più chiari.

Mi piaceva il suono della sua voce.

Mi piaceva il mio nome, quando lo pronunciava la sua voce.

Mi piaceva il silenzio carico di parole che ci scambiavamo con lo sguardo.

Mi piaceva lui e questo era chiaro.

«Hai voglia di pattinare un po'?», chiese quando arrivammo nella piazza davanti al Duomo.

«Pattinare?», domandai visibilmente preoccupata.

«Sì, guarda, lì in fondo c'è una pista artificiale di pattinaggio sul ghiaccio», indicò quell'infernale trappola ghiacciata.

Sapevo che c'era quella pista, era stata lì tutto l'inverno e c'ero passata davanti centinaia di volte, ma mai, nemmeno lontanamente, nemmeno nel mio incubo peggiore, mi era passato per la testa di pattinarci sopra. Ci tenevo alle gambe, mi servivano.

«Adesso?», chiesi cercando una scusa.

«Sì, oggi è l'ultimo giorno, domani toglieranno tutto. Ormai le giornate iniziano ad essere troppo calde per tenere la pista ghiacciata. È stata una fortuna passare di qui proprio oggi».

«Già, che fortuna», mormorai con sarcasmo.

«Hai detto qualcosa?», chiese lui, cercando di interpretare le mie lamentele fatte a voce troppo bassa.

«No, niente». Non mi andava di fare l'ennesima figuraccia dicendogli che non sapevo pattinare, ma di certo la figura sarebbe stata peggiore se fossi salita su quegli affari.

Lo stesso peso dell'amoreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora